
Da Avvenire del 06/12/2018. Foto da universitarianweb.com
La medicina tecnologizzata e la scienza che esplora regioni sinora considerate inaccessibli promettono di portare l’uomo dove neppure immagina. Qualcuno ascolterà ancora i bioeticisti, se non si adeguano al clima di ottimismo fideista? Andiamo a sentire come la pensa uno (giovane) di loro, Antonio Casciano, dottore di ricerca in Etica e filosofia del diritto, specializzato in Bioetica e in Diritti umani, collaboratore del cardinale Elio Sgreccia, padre della bioetica cattolica, nella fondazione «Ut vitam habeant».
Si potrà trovare un punto di equilibrio tra ricerca e rispetto della dignità umana?
L’accrescimento esponenziale del potere biotecnologico, sempre più teso a fare dell’uomo un ‘esperimento di se stesso’, pone con urgenza il problema di modulare le attese connesse a questa montante utopia biotecnologica. Il potenziale che la tecnica affida all’uomo rischia di trasformarsi nelle sue mani in un potere illimitato sull’uomo stesso, un potere da cui abbiamo il dovere di guardarci e proteggerci.
Quali sono le prerogative umane che vanno considerate non alterabili dalla scienza e dalla tecnologia?
Va riproposta l’imprescindibile distinzione tra interventi terapeutici, orientati al ripristino della salute, e puramente migliorativi, spesso mossi da intenti chiaramente eugenetici. Si potrà poi procedere a mettere in discussione quegli interventi che, precludendo per sempre al soggetto umano la possibilità e il diritto di considerarsi autore unico della propria vita, incrinano in maniera irreversibile la simmetria ideale che fonda le relazioni tra persone libere e uguali.
Si può ottenere che la comunità scientifica si riconosca su alcuni punti non derogabili rispetto alla ricerca sull’uomo?
Qualsiasi intervento capace di operare modificazioni che incidono sui processi di selezione e sul pool genetico della nostra specie va considerato escluso. La cultura sottesa a questo tipo di interventi manipolativi, migliorativi o potenziativi risente della pretesa propria della società moderna che, ispirata dalla ‘mistica della perfezione’ e illusa dai progressi delle tecnoscienze, rifiuta alla radice l’idea del limite, che connota invece in modo essenziale la condizione umana.
L’intervento sulla generazione umana si fa sempre più invasivo e diffuso. È ancora possibile porre limiti alla procreatica?
Il desiderio – non il diritto – di genitorialità domanda di innestare il gesto unitivo dei coniugi in una progettualità che li comprende e li supera infinitamente, facendo propria la concezione che vede il figlio come un dono. La determinazione delle sue fattezze, non solo somatiche, non potrà mai essere nella disponibilità esclusiva dei genitori. Paolo VI nella
Humanae vitae ci ricorda che uscire da questa idea della progettualità procreativa rappresenta l’unico modo per arginare interventi orientati per mezzo della tecnica a realizzare il sogno di un figlio in tutto rispondente ai nostri desideri.
L’etica riuscirà a farsi ascoltare dalla scienza resa più consapevole dalla portata delle sue scoperte sull’uomo?
Sì, ma solo se la scienza si riappropierà di una concezione dell’uomo nella forma di una piena responsabilizzazione di fronte a ciò che dall’esterno lo qualifica e lo interpella per essere non solo cosciente ma anche rispettoso dei propri limiti.
Che spazio vede per la bioetica nel futuro?
L’esistenza di un contesto sociale e scientifico contraddistinto da un innegabile pluralismo non sminuisce ma semmai accentua il ruolo anche pubblico della riflessione bioetica. La condizione è che la bioetica possa contare su assunti ontologici scaturiti dalla natura e dalla relazionalità essenziali dell’essere umano. Solo così infatti sarà in grado di arginare derive culturali, dottrinali e operative che attentano alla dignità personale dell’essere umano.
Francesco Ognibene