La Chiesa non deve temere di “uscire”: la ricompensa è una Grazia superiore ai parametri umani.
di Michele Brambilla
«L’odierna pagina evangelica (cfr Mt 20,1-16)», spiega Papa Francesco ai fedeli riuniti per l’Angelus del 20 settembre, «narra la parabola dei lavoratori chiamati a giornata dal padrone della vigna. Attraverso questo racconto, Gesù ci mostra il sorprendente modo di agire di Dio, rappresentato da due atteggiamenti del padrone: la chiamata e la ricompensa».
Il Papa si sofferma anzitutto sulla chiamata: «per cinque volte il padrone di una vigna esce in piazza e chiama a lavorare per lui: alle sei, alle nove, alle dodici, alle tre e alle cinque del pomeriggio. È toccante l’immagine di questo padrone che esce a più riprese sulla piazza a cercare lavoratori per la sua vigna. Quel padrone rappresenta Dio che chiama tutti e chiama sempre, a qualsiasi ora», al servizio del suo Regno. Il Pontefice ribadisce un concetto a lui caro: «anche le nostre comunità sono chiamate ad uscire dai vari tipi di “confini” che ci possono essere, per offrire a tutti la parola di salvezza che Gesù è venuto a portare. Si tratta di aprirsi ad orizzonti di vita che offrano speranza a quanti stazionano nelle periferie esistenziali e non hanno ancora sperimentato, o hanno smarrito, la forza e la luce dell’incontro con Cristo. La Chiesa deve essere come Dio: sempre in uscita; e quando la Chiesa non è in uscita, si ammala di tanti mali che abbiamo nella Chiesa». Certo, uscire è rischioso, «ma è meglio una Chiesa incidentata, per uscire, per annunziare il Vangelo, che una Chiesa ammalata da chiusura. Dio esce sempre, perché è Padre, perché ama. La Chiesa deve fare lo stesso: sempre in uscita».
Quale sarebbe la ricompensa? «Come paga, Dio? Il padrone», osserva il Santo Padre, «si accorda per “un denaro” (Mt 20,2)», mentre «a coloro che si aggiungono in seguito invece dice: “Quello che è giusto ve lo darò” (Mt 20,4)». Il Papa mette a fuoco specialmente la questione della giustizia del pagamento: «e qui si capisce che Gesù non sta parlando del lavoro e del giusto salario, che è un altro problema, ma del Regno di Dio e della bontà del Padre celeste che esce continuamente a invitare e paga il massimo a tutti». Elargisce, cioè, la vita eterna anche a coloro che si convertono in punto di morte.
La giustizia di Dio corrisponde, allora, alla salvezza: «infatti, Dio si comporta così: non guarda al tempo e ai risultati, ma alla disponibilità, guarda alla generosità con cui ci mettiamo al suo servizio. Il suo agire è più che giusto, nel senso che va oltre la giustizia e si manifesta nella Grazia. Tutto è Grazia. La nostra salvezza è Grazia. La nostra santità è Grazia. Donandoci la Grazia, Egli ci elargisce più di quanto noi meritiamo», non è una retribuzione automatica e proporzionale. «Ricordiamo», invita il Pontefice, «chi è stato il primo santo canonizzato nella Chiesa: il Buon Ladrone. Ha “rubato” il Cielo all’ultimo momento della sua vita: questo è Grazia, così è Dio».
Nella parte riservata ai saluti, Francesco si rivolge ai cattolici ungheresi, ricordando loro che in questi giorni si sarebbe dovuto tenere il congresso eucaristico internazionale di Budapest: se ne riparlerà nel 2021. Nel frattempo «proseguiamo, spiritualmente uniti, il cammino di preparazione, trovando nell’Eucaristia la fonte della vita e della missione della Chiesa». In Italia è la giornata per l’Università Cattolica, che si appresta a celebrare il 100° anniversario della sua fondazione (1921): «è quanto mai importante che le nuove generazioni siano formate alla cura della dignità umana e della casa comune», secondo quanto insegna il Magistero ecologico dello stesso Pontefice.
Lunedì, 21 settembre 2020