di Michele Brambilla
Le parole che Papa Francesco pronuncia alla recita dell’Angelus il 15 luglio è una breve esegesi dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del beato Papa Paolo VI (1897-78), pubblicata l’8 dicembre 1975.
Prendendo spunto dalla pagina di Vangelo della XV domenica del Tempo ordinario (cfr. Mc 6, 7-13), che «[…] narra il momento in cui Gesù invia i Dodici in missione», il Santo Padre spiega che il primo invio dei discepoli nel mondo corrisponde a «[…] una sorta di “tirocinio” di quello che saranno chiamati a fare dopo la Risurrezione del Signore con la potenza dello Spirito Santo» e che dunque compete ai cattolici di ogni epoca. «Questo episodio evangelico riguarda anche noi», sottolinea il Pontefice, «e non solo i sacerdoti, ma tutti i battezzati, chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo». Esattamente come affermato nella Evangelii nuntiandi (cfr. nn. 15 e 60).
Il Papa dunque ammonisce: «Il brano evangelico si sofferma sullo stile del missionario, che possiamo riassumere in due punti: la missione ha un centro; la missione ha un volto. Il discepolo missionario ha prima di tutto un suo centro di riferimento, che è la persona di Gesù». Nel 1975, il beato Paolo VI, di fronte a missionari che si limitassero a compiere mera assistenza sociale o a sobillare alla lotta armata marxista, diceva: «[…] anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata […] esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù» (Evangelii nuntiandi, n. 22).
Echi di questo magistero riverberano anche nel prosieguo del discorso di Francesco, che è una citazione quasi letterale della Evangelii nuntiandi ai nn. 60-62: «Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano».
L’apostolato dei primi discepoli fu volutamente privo di mezzi “spettacolari”. «La seconda caratteristica dello stile del missionario è, per così dire», prosegue Francesco, «un volto, che consiste nella povertà dei mezzi. Il suo equipaggiamento risponde a un criterio di sobrietà. I Dodici, infatti, hanno l’ordine di “non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura” (v. 8). Il Maestro li vuole liberi e leggeri, senza appoggi e senza favori, sicuri solo dell’amore di Lui che li invia, forti solo della Sua parola che vanno ad annunciare». Il significato autentico della povertà evangelica è lasciar risaltare la potenza di Dio contro la tentazione dell’orgoglio umano, uno dei motori, quest’ultimo, della Rivoluzione anticristiana, non depotenziare in partenza il proprio apostolato inseguendo un pauperismo ideologico. «In via di principio, è chiaro che l’azione controrivoluzionaria merita di avere a propria disposizione gli strumenti migliori», scrive il pensatore e uomo d’azione cattolico contro-rivoluzionario brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-95) in Rivoluzione e Controrivoluzione, «tuttavia dobbiamo riconoscere che, in concreto, l’azione controrivoluzionaria dovrà spesso realizzarsi senza questi mezzi» (VI,1), spesso non vedendo neppure un risultato immediato, come coloro che compirono la prima evangelizzazione dell’Europa tra il secolo VI e il IX.
Tutta la storia della Chiesa, ricorda Francesco, è contrassegnata dalla missione, e il secolo XXI non fa eccezione. «La Vergine Maria, prima discepola e missionaria della Parola di Dio, ci aiuti a portare nel mondo il messaggio del Vangelo in una esultanza umile e radiosa, oltre ogni rifiuto, incomprensione o tribolazione».
Lunedì, 16 luglio 2018