Di Leone Grotti da Tempi del 04/01/2022
«Come diceva Solzenicyn, “la violenza non ha altro dietro cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza”. La chiusura di Memorial ci dice purtroppo che la Russia è molto avanti su questa strada». È addolorata Anna Bonola, codirettore del Centro studi Vasilij Grossman e docente ordinario di Slavistica presso l’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano. E definisce a Tempi «molto preoccupante» la sentenza con cui il 28 dicembre la Corte suprema russa ha chiuso, anzi «liquidato», Memorial Internazionale, il centro di ricerca fondato nel 1989 dal grande fisico perseguitato Andrej Sakharov per preservare la memoria delle repressioni sovietiche.
L’immenso lavoro storico di Memorial
Memorial non è un’associazione qualunque. Nata in un momento in cui l’Unione Sovietica stava per crollare e gli archivi segreti cominciavano ad aprirsi, ha svolto un’enorme lavoro di ricerca per ricostruire le vicende dei perseguitati dal regime comunista e si è spesa per l’opera di cui forse la Russia aveva più bisogno: raccontare la verità storica sugli orrori della dittatura e dei gulag per permettere ai russi di riconciliarsi con il proprio passato.
Oltre a questo fondamentale lavoro storico, Memorial ha spesso preso posizione a difesa delle libertà civili, denunciando le persecuzioni politiche del governo di Vladimir Putin, attirandosi così le inevitabili antipatie del Cremlino. Il termine scelto dalla giustizia in Russia per la chiusura del centro di ricerche, «liquidazione», rievoca in modo sinistro le purghe di epoca staliniana e non si tratta soltanto di un’assonanza.
Le motivazioni della condanna
«La condanna è avvenuta su un dato formale», spiega Bonola. Memorial, avendo sedi in tutto il mondo e ricevendo fondi anche dall’estero, era stata infatti inserita in base a una legge del 2012 in un elenco di istituzioni classificate come agenti stranieri. «Alle associazioni presenti nell’elenco la legge richiede di apporre l’etichetta di “agente straniero” su tutti i propri materiali. Memorial è stata condannata perché non avrebbe apposto questa etichetta».
A essere «allarmante», per le ripercussioni culturali e politiche sulla Russia di oggi, è però la requisitoria fatta dal pubblico ministero. Secondo l’accusa, Memorial ha «interpretato scorrettamente la storia sovietica», creato «una falsa immagine dell’Urss raffigurandola come Stato terrorista» e «criticato gli organi del potere». In particolare, l’associazione sarebbe colpevole di aver riabilitato alcuni internati accusati di collaborazionismo con i nazisti.
La Russia torna alle «categoria staliniane»
Ma la storia è complessa, precisa il codirettore del Centro studi Vasilij Grossman, che con Memorial collabora da molti anni. Infatti, «durante la seconda guerra mondiale i soldati sovietici catturati dai nazisti, una volta liberati, venivano spesso spediti nei gulag dai comunisti in quanto “traditori del popolo”. La cosa più preoccupante è che oggi vengano ancora usate etichette e categorie staliniane dell’epoca sovietica. Come allora, a decidere dell’innocenza o della colpevolezza non sono i fatti ma l’ideologia e le sue etichette: essere “amico” o “nemico” del popolo».
Se in Russia, nel 2022, un pubblico ministero utilizza ancora simili categorie, significa che il paese, contrariamente a quanto auspicava il grande scrittore e giornalista Grossman, non ha ancora fatto i conti con la complessità del proprio passato. E che il presidente Vladimir Putin non ha alcuna intenzione di iniziare ora: «Il nazionalismo putiniano ha costruito una propria narrazione della storia russa, ma manipolare la storia e riprendere cliché di epoca staliniana sembra essere sempre più una via senza uscita», aggiunge Bonola. «Come infatti recita il comunicato di Memorial Internazionale, la Russia “ha bisogno di interpretare in modo onesto e sincero il passato sovietico; è questa la chiave del suo futuro. È ridicolo pensare che la ‘liquidazione giuridica’ di Memorial Internazionale possa eliminare questo problema dall’agenda politica. La memoria delle tragedie del passato è necessaria a tutta la società russa”».
L’errore politico di Putin
La chiusura di Memorial potrebbe, inoltre, non aiutare Putin politicamente. Secondo un sondaggio del centro statistico Levada, citato in aula, il 30 per cento della popolazione russa conosce Memorial, «una percentuale non indifferente per il paese», precisa Bonola. Di questi, ben il 60 per cento ne ha un’opinione positiva. «Come diceva Grossman, censurare la verità non può che avere la violenza come esito. Tornare al tempo dell’eliminazione dei nemici ideologici non farà che instradare la Russia di Putin verso il ritorno alla dittatura. Questo è l’esito inevitabile di un potere che si fonda sulla menzogna».