Di Bernardo Cervellera da AsiaNews del 11/02/2020
Roma (AsiaNews) – Mentre il mondo applaude al modo maestoso con cui la Cina sta contrastando l’epidemia di coronavirus, nessuno parla del successo del governo nel combattere un altro “virus”: quello dell’informazione libera.
Giornalisti, avvocati, professori, dottori vengono presi dalla polizia, minacciati o detenuti per aver espresso preoccupazioni o diffuso immagini e cifre diverse da quelle ufficiali.
Radio Free Asia riporta che il giornalista e avvocato Chen Qiushi è stato arrestato dalla polizia e messo “in isolamento” (come i pazienti da coronavirus) per i suoi messaggi video da Wuhan. Uno degli ultimi servizi di Chen, è quello sui nuovi ospedali costruiti “in pochi giorni”. Il giornalista mostra che essi non sono fatti per trattare pazienti con malattie infettive, ma sono degli “ospedali di emergenza”, dei lazzaretti, dove i pazienti vengono ammucchiati a centinaia in camerate, spesso senza alcuna visita medica o cura.
Un’altra vittima della polizia è il prof. Zhou Xuanyi, filosofo all’università di Wuhan, denunciato dai suoi stessi studenti per aver espresso sui social una sua opinione sul fatto che il governo si sia mosso tardi nell’affrontare l’epidemia e nel comunicare la situazione alla popolazione.
Egli è stato denunciato per “aver messo in discussione il Partito comunista” e per “odio alla nazione”. Sebbene il sindaco di Wuhan e il governo abbiano riconosciuto di essersi mossi in ritardo, una nota dell’Accademia delle scienze sociali, sotto cui Zhou lavora, afferma che le sue parole “violano i parametri sul comportamento professionale che un insegnante deve tenere nella nuova era” di Xi Jinping.
All’interno di tale quadro, Rfa cita anche l’arresto di di Guo Quan, già docente universitario e attivista pro-democrazia, avvenuto a Nanjing.
Questi arresti avvengono proprio mentre l’opinione pubblica cinese esprime dolore e critiche per la morte di Li Wenliang, il dottore 35enne che per primo ha diffuso un allarme sul virus ed è stato minacciato e silenziato dalla polizia e dai suoi superiori dell’ospedale. Quest’oggi Caixin ha riportato l’intervista ad altri due dottori che hanno subito la stessa sorte di Li Wenliang. Si tratta di Xie Linka, del Centro tumori dell’Union Hospital, e di Liu Wen, del dipartimento di neurologia dell’ospedale della Croce Rossa. Anch’essi, avendo parlato già in dicembre della strana polmonite acuta, sono stati impediti dalla polizia di diffondere la notizia.
Vale la pena ricordare qui anche due personalità accademiche che hanno denunciato la mancanza di libertà d’informazione. Si tratta di Xu Zhangrun e Xu Zhiyong. Il primo, professore di legge all’università Qinghua ha pubblicato un articolo criticando la leadership per aver fallito sul controllo dell’epidemia di coronavirus. Il secondo ha pubblicato un articolo sui social in cui chiede a Xi di dimettersi perché “incapace di gestire le crisi”. Entrambi rischiano la galera.
Dall’inizio dell’epidemia, dunque, è evidente un controllo dell’informazione che ha causato danni alla popolazione cinese e alla comunità internazionale, permettendo la diffusione mondiale del virus. Non pochi si chiedono se anche l’Organizzazione mondiale della sanità, con la sua reticenza nel dichiarare l’emergenza e con i suoi spropositati elogi al “metodo cinese” di contenere l’epidemia, non abbia fatto il gioco di Pechino, senza esigere libertà di informazione e verifiche autonome sulla situazione.
Fino ad ora infatti, non ci sono altre cifre sui morti e sulle infezioni che quelle messe a disposizione delle autorità sanitarie di Pechino. Il fatto che molti Paesi abbiano chiuso le vie di comunicazione con la Cina e preso consistenti provvedimenti sanitari, mostra che essi non si fidano di quanto dicono le autorità cinesi. Ma mantengono il silenzio mentre le applaudono, lasciando loro le mani libere per soffocare ogni critica.
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