Con Forese e Bonagiunta da Lucca in un canto ricco di personaggi e di temi
di Leonardo Gallotta
Un canto, il XXIV del Purgatorio, che potrebbe pure definirsi “dei cinque poeti”, un canto sicuramente policentrico, anche se l’incontro con Bonagiunta da Lucca rimane il momento centrale per l’ovvio interesse di Dante alle battaglie poetico-letterarie del Duecento. Ben cinque sono i poeti presenti come personaggi: Dante stesso, Virgilio, Stazio, Forese e Bonagiunta. E’ chiaro che la discussione poetico-letteraria assume più importanza rispetto ad altri temi che comunque non vengono elusi e neppure minimizzati. Il canto precedente (Cfr. in questa stessa rubrica il mio Tra i golosi del Purgatorio: Dante, Forese e…Nella) ci aveva mostrato il ricordo da parte di Forese della virtuosa moglie Nella e la presentazione a lui di Virgilio e di Stazio da parte di Dante. E sull’onda delle donne virtuose Forese svela a Dante che sua sorella Piccarda trionfa beata in Paradiso e subito dopo mostra a dito due anime di golosi: Bonagiunta Orbicciani da Lucca e papa Dal Torso (Martino IV) che lì si purifica per “le anguille di Bolsena e la vernaccia” di cui era evidentemente goloso (vedi Quaestio 1).
Ancora son citati altri personaggi noti ai tempi di Dante per la loro golosità di cibo e di vino, come Ubaldino della Pila e Bonifazio Fieschi che fu arcivescovo di Ravenna nell’ultimo quarto del ‘200. E poi Marchese degli Argugliosi mai sazio di bere e non si trattava certo… di acqua. Dante si accorge che Bonagiunta è il personaggio più desideroso di parlargli e che tra le labbra mormora la parola “Gentucca”, che sarebbe – così ci dicono i dantisti moderni (vedi Quaestio 2) – il nome proprio di una donna lucchese. Tale donna, profetizza Bonagiunta, un giorno (in tempo di esilio per Dante) gli farà piacere la città di Lucca, nonostante il gran male che si diceva allora dei suoi abitanti.
Bonagiunta ha riconosciuto Dante come colui che iniziò un nuovo tipo di poesia con la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore” (vedi Quaestio 3). A questo punto Dante spiega il nuovo stile con una famosa terzina: “ I’ mi son un che quando/ Amor mi spira, noto, e a quel modo/ ch’e’ ditta dentro vo significando” (Pg. XXIV 52-54). Bonagiunta ritiene di aver capito: la differenza fra lui e i precedenti poeti come Jacopo da Lentini e Guittone d’Arezzo consisteva nell’essere più strettamente vicino al “dettato” d’Amore. Riprende allora il colloquio con Forese che chiede a Dante quando lo rivedrà. Il poeta risponde ovviamente di non saperlo e che, tuttavia, desidera allontanarsi da Firenze, città che sembra essere disposta “a trista ruina”.
Alle parole di Dante, Forese profetizza la drammatica fine del maggiore responsabile dell’infelice situazione di Firenze, suo fratello Corso, capo dei Guelfi Neri e dice: “Io lo vedo trascinato dalla coda di una bestia (cavallo) verso la valle ove non si ottiene mai la remissione dei peccati (l’Inferno). L’animale va più veloce ad ogni passo, crescendo sempre, fino a che il colpevole rimane ucciso e lascia a terra il suo corpo ignominiosamente lacerato”. Spietato nelle vendette e nelle stragi della parte Bianca, con i suoi maneggi si attirò l’odio di molti suoi nemici che lo accusarono di tradimento e gli spinsero contro le masse popolari. Fuggito da Firenze, fu raggiunto da armigeri catalani al servizio della città e, presso il convento di San Salvi, poco lontano dalle mura di Firenze, fu ucciso. Diversi sono i racconti sulla morte di Corso e di uno (quello riferito) Dante ha esasperato toni e colori con gusto realistico per il macabro e l’orrido (vedi Quaestio 4).
Arrivati a un secondo albero (il primo era stato descritto nel canto precedente) sotto il quale un nugolo di spiriti tende invano le mani per coglierne i frutti, dalle fronde esce una voce che dice di non avvicinarsi perché tale albero deriva da quello che produsse il pomo morso da Eva. La stessa voce ricorda poi esempi di golosità punita: il primo è quello dei centauri ebbri alle nozze di Piritoo, vinti e uccisi in gran parte da Teseo, presente tra gli invitati (vedi Quaestio 5). L’altro è quello di alcuni soldati ebrei al seguito di Gedeone che non seppero resistere alla sete alla fonte Carod presso Arad e furono esclusi dalla gloria di aver vinto i Madianiti (vedi Quaestio 6). I poeti riprendono allora il cammino e giungono davanti all’angelo della temperanza che cancella dalla fronte di Dante un’altra P.
QUAESTIONES
1) Perché relativamente a papa Martino IV, Dante parla proprio delle anguille di Bolsena e della vernaccia?
Martino IV, detto da Tours (Dal Torso dice Dante) perché fu custode del tesoro di quella cattedrale, fu papa dal 1281 al 1285. I commentatori antichi raccontano che faceva affogare le anguille del lago di Bolsena (Viterbo) nel vino bianco della Vernaccia per renderle più saporite e poi le mangiava arrostite. Alla sua morte fu composto un epitaffio burlesco: “Gaudeant anguillae, quia mortuus hic iacet ille, Qui quasi mortae reas escoriabat eas”. Traduzione: “Godano le anguille, perché morto qui giace colui che le scorticava come se fossero colpevoli di morte”.
2) Qual era l’interpretazione di ‘Gentucca’ da parte dei dantisti antichi?
Gli antichi commentatori non collegavano il termine “Gentucca” con il verso 43 che suona: “Femmina è nata e non porta ancor benda” (la ‘benda’ era il velo prescritto per le donne maritate). Pensavano invece che significasse gentuccia, cioè ‘gente da poco’ e che fosse riferito agli spiriti che erano lì attorno oppure ai nemici politici di Dante. Ma già il Buti sospettò che si trattasse di un nome proprio e che si potesse collegare con la ‘femmina’ della profezia di Bonagiunta. Dagli archivi risultano parecchie donne lucchesi di nome Gentucca, ma la difficoltà di identificare quella messa in boccaa Bonagiunta permane tuttavia.
3) Perché come inizio dello Stilnovo Bonagiunta pone la canzone di Dante “Donne ch’avete”?
Eppure sia Bonagiunta (anche dissentendo) sia Dante riconoscevano in Guido Guinizzelli il ‘padre’ degli stilnovisti con la canzone-manifesto “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Ora Bonagiunta si riferisce alla novità della poetica dantesca con la prima canzone della Vita Nuova in cui Danteprecisa i termini della poetica stilnovistica. La definizione dantesca di stilnovo da parte di Dante nella Commedia dà soddisfazione a Bonagiunta che non chiede più nulla e “quasi contento, si tacette”. Non è tuttavia così facile precisare la portata della definizione dantesca. Sicuramente si tratta di un nuovo stile rispetto ai siciliani (Jacopo da Lentini), ai siculo-toscani (lo stesso Bonagiunta) e alle astruserie da trobar clus di Guittone d’Arezzo e dei guittoniani. Ed è dolce per l’utilizzo di una terminologia poetica che accarezza l’orecchio con dolci suoni. Si tenga anche presente che per Dante il termine ‘dolce’ identifica la poesia d’amore. Quanto alla novità della canzone in oggetto bisogna ricordare che nella Vita Nuova (XVII-XIX) Dante dice che a un certo punto si era proposto di utilizzare “matera nova e più nobile che la passata” a cui segue la canzone “Donne ch’avete” ed è per questo che viene citata da Bonagiunta. Non è che Dante considerasse non-stilnovistiche le poesie precedenti, ma da quella canzone in poi la felicità di Dante consisterà nelle parole che lodano la sua donna. Per molto tempo la definizione data da Dante nella Commedia è stata interpretata ‘romanticamente’, nel senso di fedele adesione all’interno fluire del sentimento, ma così non è. E “Donne ch’avete” rappresenta una svolta nel processo di progressiva interiorizzazione e spiritualizzazione descritto nella Vita Nuova. La ‘loda’ inaugurata dalla canzone “Donne ch’avete” consiste solo nella contemplazione grata della bellezza di lei, con la consapevolezza che essa importa necessariamente uno slancio verso l’alto: la materia nuova è questo slancio (Umberto Bosco). Nella storia della poesia d’amore ci son sempre state due specie di amore, la sensuale e la spirituale. Nel caso di Dante e degli altri stilnovisti (più o meno consapevoli) l’amore di tipo spirituale è ‘amore-virtù’, puro slancio verso il bene. Se non si capisce ciò, diventa molto difficile pensare in modo realistico all’amore e alle donne degli stilnovisti.
4) Quali furono i diversi racconti sulla morte di Corso Donati?
Il Villani (Cron.,VIII,96) narra che mentre gli armigeri catalani lo conducevano verso Firenze, egli si sarebbe lasciato cadere da cavallo e allora uno di quelli lo ammazzò con un colpo di lancia. Il Benvenuto e altri commentatori antichi dicono che mentre cadeva da cavallo, gli rimase impigliato un piede nella staffa e fosse quindi trascinato per lungo tratto dall’animale. Si deve poi tener presente che in alcuni Comuni le leggi prescrivevano come pena dei traditori l’esser legati alla coda di un cavallo e trascinati fino al patibolo o fino alla sopravvenuta morte.
5) Chi era il Piritoo del primo esempio di gola punita?
Piritoo, personaggio della mitologia greca, fu figlio di Issione, re dei Lapiti e visse nella città di Larissa in Tessaglia. Partecipò alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro e fu grande amico di Teseo. In occasione delle nozze con Ippodamia, figlia di Adrasto re di Argo tra gli invitati c’erano anche i Centauri (figli di Issione e di Nefele), mezzi uomini e mezzi cavalli, che in preda ad una colossale sbornia, persero completamente il senno, molestarono e cercarono di rapire e stuprare la sposa ed altre donne presenti alla festa di nozze. Si scatenò allora una violenta rissa in cui i Tessali, con l’aiuto di Teseo, riuscirono a respingere e ad uccidere gran parte dei centauri. Questo episodio andò sotto il nome di ‘Centauromachia’. La fonte di Dante fu senz’altro Ovidio (Metamorfosi, XII 210-535) e forse anche Virgilio nelle Georgiche.
6) Chi era il Gedeone del secondo esempio di gola punita?
Gedeone è un personaggio biblico che fu giudice della tribù di Manasse, le cui gesta sono descritte nel libro dei Giudici. Nella guerra contro i Madianiti che vessavano gli Ebrei, per consiglio del Signore, Gedeone mise alla prova i futuri combattenti e il Signore gli disse “Quanti – alla fonte Carod – lambiranno l’acqua con la lingua, come la lambisce il cane, li porrai da una parte; porrai da un’altra quanti per bere , si metteranno in ginocchio” (Giudici VII, 5). Il numero di quelli che, inginocchiati, bevvero portandosi alla bocca l’acqua con la mano fu di trecento uomini. Con questi trecento che mostrarono controllo di sé nel bere Gedeone vinse i Madianiti e dopo la vittoria gli Israeliti chiesero a Gedeone di diventare loro re, ma egli rimase semplicemente giudice. Fedeli solo a Dio e alla sua Legge, come consigliato da Gedeone, essi godettero della pace per quarant’anni.
Sabato, 19 giugno 2021