Di Luciano Capone da Il Foglio del 02/08/2024
La farsa venezuelana sta raggiungendo li suo acme. Il Consiglio nazionale elettorale (Cne) non pubblica i risultati da quattro giorni, ma ha già proclamato la vittoria del dittatore Nicolás Maduro. Il Cne, a spoglio ancora in corso, ha mostrato le immagini di una riunione presieduta da Maduro con i vertici militari, il Consiglio di stato e il Procuratore generale della repubblica che, poco prima, aveva annunciato l’incriminazione di María Corina Machado, la leader dell’opposizione che ha trascinato alla vittoria il poco conosciuto Edmundo González, per aver tentato di manipolare le elezioni.
Il giorno successivo, invece di pubblicare i risultati elettorali con i verbali seggio per seggio, Maduro ha presentato un ricorso contro fantomatici “hacker” al soldo dell’opposizione al Tribunal Supremo de Justicia (la Corte Costituzionale), che nel frattempo – sempre senza dati ufficiali – si era già congratulato con lui per la vittoria. La denuncia è stata messa nelle mani della presidente del Tribunal Supremo de Justicia, Caryslia Rodríguez, che è una storica militante del partito chavista e fino a poco tempo fa pubblicava video sui social in cui invitava a votare per “il nostro amato presidente Maduro”. A prima vista, non pare il funzionamento di una democrazia regolata dai princìpi dello stato di diritto.
Eppure in Italia il modello chavista è stato celebrato come una grande innovazione democratica, giuridica e costituzionale. Non da quattro squinternati dei centri sociali o dai residui di Rifondazione comunista, ma da una prestigiosa università e da giuristi che avevano avuto la massima responsabilità nelle istituzioni italiane. Nel 2016, il dipartimento di Giurisprudenza della Federico II di Napoli organizzò, per celebrare i 15 anni della costituzione bolivariana, una lectio magistralis dal titolo: “La divisione dei poteri nella Costituzione del Venezuela”. A tenere l’alta lezione un presunto di Montesquieu di Caracas, l’allora ambasciatore del Venezuela Isaías Rodríguez, già vice presidente della Repubblica con il “comandante” Chávez, di lì a poco sanzionato dagli Stati Uniti per il golpe istituzionale del 2017.
A celebrare la separazione dei poteri venezuelani e ad assistere alla lectio di Rodríguez c’era il rettore della Federico II e attuale sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi; tanti giuristi dell’università napoletana e non, addirittura due presidenti emeriti della Corte Costituzionale come Francesco Paolo Casavola e lo scomparso Francesco Amirante. Il costituzionalista benecomunista Alberto Lucarelli, appassionato studioso del chavismo, elogiava le virtù del “neo-costituzionalismo” venezuelano, spiegando che “il populismo in Sudamerica” è diverso dal nostro che ha “posizioni escludenti”: a Caracas, con Maduro, ha “l’obiettivo dell’allargamento dei diritti”. In quegli stessi giorni, non ora, si allargavano le carceri, con la repressione di massa in piazza e gli arresti mirati dei dissidenti politici.
Mentre i giuristi progressisti italiani celebravano la “La divisione dei poteri nella Costituzione del Venezuela” con un esponente del regime, il regime aveva sbattuto nel carcere militare di Ramo Verde il leader dell’opposizione Leopoldo López. L’escalation autoritaria di questi giorni in Venezuela è il prodotto di quello stesso regime e di quella stessa Costituzione magnificata a Napoli, in un giorno di vergogna per la Federico II.