Di Federico Fubini da Il Corriere del 26/01/2021
Le grandi crisi globali rafforzano la Cina e ieri Xi Jinping, al World Economic Forum, ha detto che è tempo per gli Stati Uniti e l’Europa di prendere atto della nuova realtà. Ha osservato, il segretario del partito comunista e presidente della Repubblica popolare cinese, che le lancette non torneranno indietro. Ha lasciato capire che il loro incedere sull’economia internazionale presto dovrà avere conseguenze politiche più visibili.
«La storia avanza e il mondo non tornerà quel che era in passato» ha detto Xi, che oggi ha 67 anni e da quasi nove controlla il suo Paese in modo sempre più autocratico. «Dovremmo stare al passo con i tempi invece di rifiutare il cambiamento». Xi sa di cosa parla: ha vissuto trasformazioni radicali sulla sua pelle per tutta la vita. È nato nel privilegio, figlio di un vicepremier molto vicino a Mao. È vissuto da ragazzo di strada tra i dodici e i quattordici anni, dopo che Mao per un capriccio fece arrestare suo padre e sua sorella fu uccisa o spinta al suicidio. Ma quando finalmente ha raggiunto il posto di Mao, Xi ha cancellato ogni limite di tempo alla sua presidenza in modo da poter regnare a vita come il dittatore che aveva segnato il destino della sua famiglia. A un uomo così — duro, scaltro — i conti del reddito e della produzione non possono sfuggire e le loro conseguenze politiche neppure. Nel 2009, sul fondo della recessione da crisi finanziaria, l’economia cinese crebbe quasi del 10% mentre l’area euro perdeva il 4,5% e gli Stati Uniti il 2,5%. E nel 2020, durante la pandemia, la Cina ha continuato a crescere (del 2,3%) mentre l’area euro tracollava (meno 7,5%) e gli Stati Uniti subivano una caduta violenta dell’economia (meno 3,7%). I grandi choc internazionali tipici degli ultimi decenni sono sempre asimmetrici: lievi o quasi impercettibili per la Cina, destabilizzanti per le vecchie potenze industriali. Non solo. Nel pieno della crisi da Covid-19 le banche centrali dei Paesi avanzati sono state costrette a monetizzare masse crescenti di debito pubblico e privato, mentre la Banca del popolo di Pechino ha potuto evitare di farlo. La Cina esce dunque vincente dei grandi choc di questi anni, poco importa che li abbia innescati lei stessa come accaduto con Covid-19. E al World Economic Forum lo si è avvertito nelle parole di Xi, venate di spirito di sfida e di rivalsa verso gli Stati Uniti e — specificamente — il tentativo di Joe Biden di coalizzare le democrazie del resto del mondo per contenere la potenza in ascesa di Pechino.
Xi ha messo in guardia il nuovo presidente americano dal proseguire le guerre commerciali di Donald Trump e il suo tentativo di strangolare l’ascesa tecnologica della Cina limitando la fornitura di microchip e la penetrazione all’estero dei suoi colossi del Big Tech. «L’approccio fuori strada dell’antagonismo e dello scontro, sia esso sotto forma di guerra fredda, guerra calda, di guerra commerciale o guerra tecnologica — ha detto Xi — finirà per danneggiare gli interessi di tutti». Resta da capire se sia davvero portatore di pace ed armonia l’approccio di Pechino, basato sulla sorveglianza di Stato e la sottomissione di decine di Paesi vassalli attraverso la concessione di prestiti a condizioni odiose. Certo gli equilibri si sono spostati. E il recente accordo sugli investimenti di Xi con l’Unione europea lo dimostra: Bruxelles di fatto chiude entrambi gli occhi e accetta di fatto le pratiche disastrose della Cina in materia di tutela dell’ambiente o diritti umani dei lavoratori.
Ma quell’accordo e il discorso di Xi ieri al World Economic Forum in realtà sono solo i primi segni di una stagione che sta cambiando. La nuova guerra fredda è una realtà, anche con Biden. Anche l’Italia, tra non molto, dovrà decidere da quale parte stare.
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