L’inclusione, nella Chiesa, ha come presupposto l’accettazione della Verità. Una Verità che è dinamica: importanti le parole sullo sviluppo del dogma
di Michele Brambilla
Papa Francesco introduce l’udienza generale del 13 ottobre rammentando che «nel nostro itinerario di catechesi sulla Lettera ai Galati, abbiamo potuto mettere a fuoco qual è per San Paolo il nucleo centrale della libertà: il fatto che, con la morte e risurrezione di Gesù Cristo, siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. In altri termini: siamo liberi perché siamo stati liberati, liberati per grazia – non per pagamento -, liberati dall’amore, che diventa la legge somma e nuova della vita cristiana». Proseguendo nel discorso, «oggi vorrei sottolineare come questa novità di vita ci apra ad accogliere ogni popolo e cultura e nello stesso tempo apra ogni popolo e cultura a una libertà più grande. San Paolo infatti dice che per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano. Conta solo “la fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6)».
La Chiesa, quindi, è inclusiva, ma la sua idea di inclusione parte dall’accoglienza dell’unica Verità salvifica e dalla sua messa in pratica. Un principio “fermo”, ma allo stesso tempo dinamico, perché è sospinto dallo Spirito Santo. Il Papa ricorda che san Paolo fu molto avversato dai “giudaizzanti”, ovvero da coloro che volevano imporre il ritorno ai precetti mosaici: essi pensavano che l’apostolo volesse annacquare il credo di Israele. «Paolo, comunque, non rimane in silenzio. Risponde», infatti, «con parresia – è una parola greca che indica coraggio, forza – e dice: “È forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!” (Gal 1,10)», il quale proclamò la Verità opportune et importune.
Si può quindi dire che «il pensiero di Paolo si mostra ancora una volta di una profondità ispirata. Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo. Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo», che purifica gli usi e i costumi umani da quanto lede la dignità dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio incarnato.
«La liberazione ottenuta con il battesimo, infatti, ci permette di acquisire la piena dignità di figli di Dio, così che, mentre rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali, al tempo stesso ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse»: è l’inculturazione del Vangelo. «Nella chiamata alla libertà scopriamo» proprio «il vero senso dell’inculturazione del Vangelo. Qual è questo vero senso? Essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture. Non è una cosa facile! Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile. Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! La uniformità come regola di vita non è cristiana! L’unità sì, l’uniformità no», sottolinea Francesco. Rievoca le contestazioni che i suoi confratelli, i gesuiti del Seicento, dovettero affrontare in seno alla Chiesa stessa: «per esempio, mi viene in mente quando si è affermato il modo di fare apostolato in Cina con padre Ricci o nell’India con padre De Nobili. … [Qualcuno diceva]: “E no, questo non è cristiano!”. Sì, è cristiano, sta nella cultura del popolo» raggiunto dalla missione ed è confacente alla dottrina cattolica.
«Insomma, la visione della libertà propria di Paolo è tutta illuminata e fecondata dal mistero di Cristo, che nella sua incarnazione – ricorda il Concilio Vaticano II – si è unito in certo modo ad ogni uomo (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 22). E questo vuol dire che non c’è uniformità, c’è invece la varietà, ma varietà unita», rimarca il Pontefice. Questo metodo di inculturazione permette anche di affrontare in maniera adeguata le trasformazioni contemporanee: «la cultura, d’altronde, è per sua stessa natura in continua trasformazione. Si pensi a come siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in questo momento storico di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio» sugli altri campi del sapere e pretende di ridisegnare lo stesso essere umano. «Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati», osserva il Santo Padre, «rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni. La libertà della fede cristiana – la libertà cristiana – non indica una visione statica della vita e della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica anche della tradizione. La tradizione cresce», puntualizza, «ma sempre con la stessa natura», perché ogni sviluppo autentico della dottrina era in nuce nelle fasi precedenti. Ipotesi sull’Immacolata Concezione, ad esempio, si trovano già nella Patristica del IV sec., ma il dogma è stato ufficialmente proclamato nel 1854. «Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire», non da sigillare ad uno stadio preordinato, «ed è piuttosto la libertà» dello Spirito, ribadisce il Pontefice, «che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza. È la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà», la visio beatifica.
Francesco evidenzia, non a caso, che «questa settimana ricorrono l’anniversario dell’elezione di San Giovanni Paolo II e le memorie liturgiche di San Giovanni XXIII, Santa Teresa d’Ávila e Sant’Edvige di Slesia»: il primo (eletto il 16 ottobre 1978) fu il grande attuatore dello scopo del concilio, la nuova evangelizzazione; il secondo (memoria liturgica 11 ottobre) aprì la grande assise conciliare, che doveva unire nova et vetera verso una nuova comprensione della dottrina di sempre; sant’Edvige e santa Teresa furono grandi riformatrici degli ordini religiosi femminili nella perfetta fedeltà al carisma originario.
Giovedì, 14 ottobre 2021