Il giusto equilibrio tra san Paolo e san Giacomo
di Michele Brambilla
Al centro dell’udienza generale del 29 settembre sta una delle domande “capitali” della storia della teologia cattolica: «cos’è, la giustificazione?». Significa, dice Papa Francesco, che «noi, da peccatori, siamo diventati giusti. Chi ci ha fatto giusti?». Dio, tramite la Redenzione.
«È vero, abbiamo i nostri peccati personali, ma alla base siamo giusti», perché siamo stati chiamati ad una vita di santità. «Questa è la giustificazione», conferma il Santo Padre: «si è tanto discusso su questo argomento, per trovare l’interpretazione più coerente con il pensiero dell’Apostolo e, come spesso accade, si è giunti anche a contrapporre le posizioni», basti pensare alla Riforma protestante. Il Papa riconosce che «non è facile arrivare a una definizione esaustiva, però nell’insieme del pensiero di San Paolo si può dire semplicemente che la giustificazione è la conseguenza della “misericordia di Dio che offre il perdono” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1990)» attraverso Cristo morto e risorto. «E questo è il nostro Dio», insiste, «così tanto buono, misericordioso, paziente, pieno di misericordia, che continuamente dà il perdono, continuamente. Lui perdona, e la giustificazione è Dio che perdona dall’inizio ognuno, in Cristo. La misericordia di Dio che dà il perdono. Dio, infatti, attraverso la morte di Gesù – e questo dobbiamo sottolinearlo: attraverso la morte di Gesù – ha distrutto il peccato e ci ha donato in maniera definitiva il perdono e la salvezza», che ritroviamo nei Sacramenti.
San Paolo pensava spesso alla sua parabola personale, da persecutore ad apostolo, quindi sottolinea che i meriti della giustificazione sono tutti in Cristo: è Lui che, quando eravamo ancora peccatori, ha saldato il nostro debito col Padre sul legno della croce. La giustificazione ci riporta quindi al rapporto che avevamo con Dio alle origini, benché non ne saremmo degni: «l’Apostolo ha sempre presente l’esperienza che ha cambiato la sua vita: l’incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco. Paolo era stato un uomo fiero, religioso, zelante, convinto che nella scrupolosa osservanza dei precetti consistesse la giustizia. Adesso, però, è stato conquistato da Cristo, e la fede in Lui lo ha trasformato nel profondo, permettendogli di scoprire una verità fino ad allora nascosta: non siamo noi con i nostri sforzi che diventiamo giusti, no: non siamo noi; ma è Cristo con la sua grazia a renderci giusti».
La fede per Saulo-Paolo è una categoria più ampia della definizione abituale: «la fede ha per l’Apostolo un valore onnicomprensivo. Tocca ogni momento e ogni aspetto della vita del credente: dal battesimo fino alla partenza da questo mondo, tutto è impregnato dalla fede nella morte e risurrezione di Gesù, che dona la salvezza». Le opere vanno valutate all’interno di questa premessa, «perciò non dobbiamo concludere, comunque, che per Paolo la Legge mosaica non abbia più valore; essa, anzi, resta un dono irrevocabile di Dio, è – scrive l’Apostolo – «santa» (Rm 7,12). Pure per la nostra vita spirituale è essenziale osservare i comandamenti, ma anche in questo non possiamo contare sulle nostre forze: è fondamentale la grazia di Dio che riceviamo in Cristo, quella grazia che ci viene dalla giustificazione che ci ha dato Cristo, che ha già pagato per noi. Da Lui riceviamo quell’amore gratuito che ci permette, a nostra volta, di amare in modo concreto».
Doveroso citare, a questo punto, la Lettera di Giacomo, che permette di bilanciare questo discorso: «in questo contesto, è bene ricordare anche l’insegnamento che proviene dall’apostolo Giacomo, il quale scrive: “L’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede – sembrerebbe il contrario, ma non è il contrario –. […] Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Gc 2,24.26). La giustificazione, se non fiorisce con le nostre opere, sarà lì, sotto terra, come morta. C’è, ma noi dobbiamo attuarla con il nostro operato. Così le parole di Giacomo integrano l’insegnamento di Paolo», evitando quell’unilateralità che fece le fortune di molte eresie. Non si può distinguere la dottrina della giustificazione dalla storia della Salvezza, dal complesso della cristologia e da una sana ecclesiologia.
Contro ogni pessimismo antropologico il Papa precisa che «noi non siamo condannati, alla base, no: siamo giusti. Permettetemi la parola: siamo santi, alla base», perché santo è il piano della Creazione, «ma poi, con il nostro operato diventiamo peccatori. Ma, alla base, si è santi: lasciamo che la grazia di Cristo venga su e quella giustizia, quella giustificazione ci dia la forza di andare avanti. Così, la luce della fede ci permette di riconoscere quanto sia infinita la misericordia di Dio, la grazia che opera per il nostro bene. Ma la stessa luce ci fa anche vedere la responsabilità che ci è affidata per collaborare con Dio nella sua opera di salvezza. La forza della grazia ha bisogno di coniugarsi con le nostre opere di misericordia, che siamo chiamati a vivere per testimoniare quanto è grande l’amore di Dio», come sancì una volta per tutte il concilio di Trento (1545-63).
Giovedì, 30 settembre 2021