Maurizio Milano, Cristianità n. 412 (2021)
1. Premessa
Nel corso della storia il denaro ha acquisito una centralità crescente nella vita economica, sociale e politica delle comunità, innanzitutto come mezzo di scambio e, conseguentemente, come riserva di valore e unità di conto. L’evoluzione dei sistemi monetari contemporanei, dopo il tramonto definitivo del sistema aureo nel 1971 (1) e in particolare nell’ultimo quarto di secolo, sta portando a un fenomeno di progressiva «finanziarizzazione» dell’economia, con derive inquietanti che non è eccessivo qualificare con l’espressione «socialismo finanziario» (2). Un’economia davvero libera, infatti, non può sussistere in un sistema in cui la produzione di denaro a mezzo delle banche centrali e delle banche commerciali a riserva frazionaria (3), persa ogni dimensione etica e pressoché ogni vincolo, cresca esponenzialmente, in modo totalmente scorrelato rispetto alle esigenze dell’economia reale. L’alterazione politica del potere d’acquisto del denaro, infatti, produce opachi e ingiustificati trasferimenti di redditi e di ricchezza, a detrimento soprattutto dei piccoli e medi risparmiatori e imprenditori, nonché dei titolari di redditi fissi — salari, stipendi, pensioni e così via —, insieme a pericolose distorsioni dei prezzi e quindi dell’allocazione delle risorse, sia nell’economia reale sia nei mercati finanziari. Il rischio è quello di scompaginare l’ordine sociale e d’infiacchire quelle virtù morali — laboriosità, sobrietà, prudenza, previdenza — che sono precondizioni indispensabili per lo sviluppo di una vita economica e sociale giusta, ordinata e prospera.
Le «bolle finanziarie» e i cicli economici di boom-and-bust — crescite artificiali seguite da violente contrazioni —, sempre più ravvicinati dall’inizio del secolo, sono la cartina al tornasole di un sistema economico-finanziario che sta andando fuori controllo. Con, sullo sfondo, il «Grande Reset» (4) vagheggiato dal World Economic Forum di Davos e dalle élite tecnocratiche, che punta a una governance mondiale centralizzata, a scapito della proprietà privata, della piccola e media impresa, della famiglia, dei corpi intermedi, della privacy e della libertà — non solo economica —, arrivando a restringere l’autonomia decisionale degli stessi Stati sovrani.
2. Il «denaro»: che cos’è?
Il denaro costituisce un tema costante nelle scelte di lavoro, consumo, risparmio e investimento (5). Tutti noi comprendiamo intuitivamente come, al di là del suo valore nominale, ciò che rileva è solo il potere d’acquisto del denaro, nel tempo e nello spazio. Mentre è chiara a tutti la sua funzione come «mezzo di scambio», non sapremmo forse definirne chiaramente la quidditas, che cosa sia. In effetti, non esiste un consenso unanime nella dottrina economica sull’origine, sulla natura e sulla qualificazione giuridica del denaro: varie sono le posizioni, che oscillano dalla visione «nominalistica» a quella «realistica».
2.1 La visione «nominalistica» del denaro
Secondo la visione nominalistica, dominante ai giorni nostri, è denaro ciò che l’autorità politica legittima definisce come tale, un semplice segno: per esempio, un pezzo di carta su cui è scritta una certa cifra, accettata quindi esclusivamente sulla fiducia. Nei sistemi monetari moderni, a tutte le latitudini e longitudini, il denaro è diventato esclusivamente denaro fiat, fiduciario, emesso in regime di monopolio legale da una banca centrale che lo crea ex nihilo e immesso nei circuiti come «moneta bancaria» dalle banche commerciali. Denaro considerato legal tender — a corso legale — per imposizione pubblica, con il dovere quindi dei creditori di accettarlo nei pagamenti e dei contribuenti di usarlo per pagare le tasse.
2.2 La visione «realistica» del denaro
Nell’accezione realistica, invece, il denaro nasce dal basso, come un’evoluzione sociale spontanea e non pianificata degli scambi in natura.
Nella sua opera Denaro (6) lo spiega molto bene Carl Menger (1840-1921), fondatore della Scuola Austriaca di economia (7), ripercorrendone l’origine storica. Menger individua la nascita del denaro nel momento in cui gli scambi fra le persone superano la fase iniziale del baratto, quando la merce «a» viene scambiata direttamente con la merce «b», «arance contro banane», per esempio. Nelle economie primitive alcune merci, particolarmente desiderate, assumono un po’ per volta il ruolo di «denaro-merce», iniziano cioè a essere richieste non solo per sé stesse, come merci, ma anche per intermediare gli scambi di tutti gli altri beni. Nel momento in cui merci come il sale, il bestiame o un certo metallo sono già oggetto di forte domanda per sé stesse, diviene infatti più economico scambiare i beni che si intendono vendere con queste merci particolari, che si possono «immagazzinare» e poi utilizzare più facilmente in un secondo momento per acquisire i vari beni e servizi di cui ultimamente si abbisogna. Dal baratto si passa così, un po’ per volta, allo scambio indiretto, con il denaro-merce che inizia ad assolvere il ruolo di mezzo universale di scambio. L’origine storica del denaro-merce ha lasciato un’impronta nel linguaggio: il termine «salario», infatti, deriva dal latino «sal»,sale, con cui venivano pagati i magistrati e i soldati romani; così il termine «pecunia» deriva dal latino «pecus», bestiame, utilizzato come mezzo di pagamento dalle popolazioni primitive.
La funzione di mezzo universale di scambio si va quindi ad aggiungere alla funzione d’uso della merce divenuta «denaro», aumentandone la fungibilità e di conseguenza la domanda e il valore. In un lungo processo di selezione naturale tendono a emergere solo una o poche merci, che assurgono al ruolo di denaro. Nel corso del tempo potrebbe anche capitare che la funzione originaria della merce divenuta denaro si perda ma che questa conservi comunque la sua funzione di mezzo di scambio e quindi il suo potere d’acquisto, indipendentemente dalla presenza o meno di un valore intrinseco residuo.
Menger afferma che in origine il denaro sorge dalla consuetudine e in modo spontaneo od «organico», come un semplice mezzo per soddisfare nel miglior modo possibile i propri bisogni individuali. Si tratta quindi di una «conseguenza non intenzionale di azioni umane intenzionali»: molte altre istituzioni umane — sottolinea Menger —, come il linguaggio, il costume, il diritto, la divisione del lavoro, il mercato, le città e lo Stato nascerebbero dalla libera interazione tra le persone, senza necessariamente un progetto iniziale o una intenzione specifica. Solo in una fase di sviluppo successiva subentrano decisioni intenzionali e scelte legislative e organizzative coscienti e deliberate. Questo aspetto «sociale ma non politico» del denaro, evidenziato da Menger, è un punto fondamentale perché implica che il denaro appartenga sì alla res publica ma non all’autorità politica e, quindi, non possa da questa esserne manipolato a piacimento pena una violazione dei diritti di proprietà e dei contratti, con conseguenti ingiusti e opachi effetti redistributivi della ricchezza e dei redditi, di distorsione degli scambi e dell’efficiente allocazione delle risorse.
2.3 La nascita del denaro fa da volano alla crescita economica
Il valore aggiunto del denaro è evidente: la sua diffusione permette di superare lo scambio in natura e quindi favorisce una crescente divisione e specializzazione del lavoro, con una maggiore cooperazione volontaria e pacifica fra le persone e un incremento esponenziale della produttività e della ricchezza prodotta. Gli scambi commerciali sono certamente possibili anche in assenza del denaro, e la storia economica lo conferma; la nascita e la diffusione del denaro, tuttavia, favoriscono grandemente la creazione di mercati sempre più ampi e raffinati. L’istituzione sociale«mercato» si sviluppa come luogo — non solo in senso fisico ma concettuale — dove convergono liberamente le persone per soddisfare i propri bisogni, come consumatori, produttori o mercanti, con scambi basati non sullo status bensì sul libero accordo contrattuale. L’assenza di costrizione implica che solo soddisfacendo i bisogni altrui si riuscirà a soddisfare anche i propri, senza la necessità di una pianificazione centralizzata e di un apparato burocratico, in modo flessibile e creativo, aperto all’innovazione continua. Secondo una pura logica del «do ut des», certamente, e quindi a soddisfacimento dei soli bisogni solvibili, ma comunque a vantaggio del benessere materiale sia del singolo sia della comunità, perché la libera e leale concorrenza consente di selezionare continuamente i migliori, abbassando i prezzi e migliorando la qualità.
Il processo di selezione del mercato induce le persone a prediligere merci che per le proprie caratteristiche intrinseche — in quanto scarse, non deperibili, facilmente trasportabili, suddivisibili, e così via — sono oggetto di forte domanda di per sé stesse e divengono così anche particolarmente utili per gli scambi. I metalli preziosi divengono tali, cioè «preziosi», proprio per la loro scarsità e per le loro intrinseche caratteristiche chimico-fisiche di purezza, conservabilità, divisibilità, trasportabilità e così via: candidati ideali, quindi, per assolvere la funzione di «merce-denaro». In particolare, l’oro e l’argento si diffondono così ovunque come mezzi universali di scambio.
2.4 La nascita della moneta
Il passaggio alla monetazione è un’evoluzione naturale di tale processo: è molto più semplice, veloce e sicuro contare delle monete di cui si conosce il titolo e il peso piuttosto che pesare dei pezzi informi di metallo e cercare di sincerarsi sulla qualità del metallo stesso. I nomi stessi delle varie monete — lira, sterlina, dollaro — esprimono infatti in origine un’unità di peso, una determinata quantità di metallo prezioso. Le monete nascono anch’esse come istituzione sociale, ma non politica: sono inizialmente emesse da privati in concorrenza fra loro — e quindi attenti a non perdere la fiducia dei propri utilizzatori sulla bontà delle proprie emissioni, pena dovere chiudere la propria zecca — e solo in un secondo momento dagli Stati.
Uno degli snodi storici-chiave è proprio quello in cui gli Stati iniziano a battere moneta per accaparrarsi il beneficio di «signoraggio», di per sé lecito nella misura in cui la certificazione conferisce un valore aggiunto al metallo non monetato, rendendolo più fungibile. Il problema si presenta quando gli Stati pretendono di svolgere tale attività in regime di monopolio: lo ius cudendi, il diritto di battere moneta, diviene così un modo semplice e veloce per aumentare le entrate dello Stato, meno trasparente delle tasse e più facile del ricorso all’indebitamento, particolarmente importante per finanziare le guerre, come dimostra l’esperienza storica.
2.5 La falsificazione della moneta nella visione della tarda Scolastica
Su tale punto un testo fondamentale è il Tractatus de origine, natura, iure et mutationibus monetarum (8) del pensatore della tarda Scolastica, vescovo, matematico, fisico, astronomo ed economista francese Nicola d’Oresme (1320 ca.-1382). Tale studio, composto in latino nel 1355-1356 e successivamente tradotto in volgare francese a beneficio del Delfino, il futuro sovrano Carlo V di Francia (1338-1380), rientra a pieno titolo nel genere testuale degli specula principum, con finalità formative e prescrittive. Il Magister sostiene la teoria realistica della moneta-merce, ripresa cinque secoli dopo dalla neonata Scuola Austriaca di economia di Menger, contro la visione nominalistica che vedeva la moneta come un semplice segno. Il suo obiettivo è quello di condannare moralmente le manipolazioni monetarie dei prìncipi, anticipando di due secoli la famosa «legge di Gresham», teorizzata dal mercante e banchiere inglese, sir Thomas Gresham (1519-1579), consigliere economico del re Edoardo VI Tudor (1537-1553), e delle regine Elisabetta I Tudor (1533-1603) e Maria I Tudor (1516-1558) d’Inghilterra, sulla «moneta cattiva che scaccia la moneta buona».
Il momento storico in cui scrive d’Oresme è quello della cosiddetta Guerra dei Cent’anni (1337-1453) tra Francia e Inghilterra, che nel decennio 1350-1360 è caratterizzata da una vera e propria «anarchia monetaria», con frequenti alterazioni del contenuto delle monete in circolazione per far fronte alle spese belliche. La moneta, per d’Oresme, non appartiene al principe ma a tutta la comunità e il principe deve proteggerne l’integrità: la tutela della bontà della moneta è ordinata alla difesa della proprietà privata, alla correttezza degli scambi e dei contratti, rientra quindi a pieno titolo nel bonum commune, che costituisce il fine ultimo della comunità politica e, quindi, il dovere primo del sovrano. Il governante che «commette falsa testimonianza» divenendo «falsario» per cupidigia dei beni dei propri sudditi, a cui sottrae indebitamente ricchezza — violando quindi in un colpo solo il settimo, l’ottavo e il decimo comandamento (9) —, diviene un tiranno, «ex defectu exercitii». A tal proposito, d’Oresme scrive che «ricavare lucro dalle mutazioni monetarie, così come accrescerlo, è un atto fraudolento, tirannico e ingiusto; una tale pratica non può essere perseguita a lungo senza che il regno non si snaturi, non essendo più tale, e non degeneri, anche in molti altri aspetti, in una tirannide» (10).
La violazione della fiducia su cui si deve fondare la comunità, per di più da parte del Principe, che ne deve essere il supremo garante, è intollerabile e non può che portare alla rovina l’intero Stato. Un signoraggio basato sull’alterazione della purezza della lega e/o sulla riduzione del peso, all’insaputa della comunità, costituisce una falsificazione moralmente illecita e turpe che va a ledere «in modo irracionabiliter et iniuste, ac eciam in preiudicium multorum» la fides che ogni civis deve poter riporre nella propria moneta: non può trovare giustificazione alcuna.
Mezzo secolo prima, Dante Alighieri (1265-1321) aveva fortemente condannato la turpe pratica della falsificazione della moneta di Maestro Adamo (?-1281), che dai conti Guidi di Romena fu indotto «[…] a batter li fiorini ch’avevan tre carati di mondiglia» (11) — cioè a falsificare la moneta di Firenze, togliendo al fiorino tre dei ventiquattro carati d’oro da ciascuna moneta e sostituendoli con metalli vili — finendo poi scoperto e condannato al rogo. Il Poeta lo colloca al termine delle Malebolge, nel fondo dell’inferno, nella decima bolgia dei falsari, a conferma della gravità morale attribuita a tale peccato.
Dal momento in cui gli Stati hanno assunto il monopolio dell’emissione della moneta, imponendola come unico mezzo legale di pagamento, la tentazione di falsificarla da parte del detentore dell’autorità pubblica è purtroppo stata una costante, spesso spinta dalla necessità di finanziare campagne militari o di ripagare debiti. Il salto di qualità, per così dire, si è poi avuto con il passaggio alla carta-moneta, inizialmente considerata convertibile in metalli preziosi a seconda del tipo di regime monetario — in oro o in argento tipicamente, i cosiddetti gold standard e silver standard —, poi sganciata progressivamente dal collegamento con il sottostante. Con l’istituzione di banche centrali, in particolare nei secoli XIX e XX, il processo di gestione politica e centralistica della creazione del denaro è andato intensificandosi, di conserva con l’espansione del perimetro di intervento degli Stati moderni nella vita economica e sociale delle nazioni.
2.6 Il sistema monetario aureo
Il periodo storico più recente in cui il sistema monetario, in molti Paesi, è stato un vero gold standard, con circolazione quindi di monete d’oro, è stato il cinquantennio fra il 1870 e l’inizio della Prima Guerra Mondiale (1914-1918), un periodo di forte crescita economica e sociale, nonché di stabilità dei prezzi. Lo sconvolgimento conseguente al primo conflitto europeo, l’esplosione degli indebitamenti degli Stati per far fronte alle esigenze belliche e della ricostruzione, oltre alla «grande depressione» economica degli Anni Trenta del secolo scorso, vedono un ruolo crescente dell’interventismo statale e delle banche centrali, la diffusione del denaro cartaceo e il tramonto del sistema aureo. Al termine della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) le potenze vincitrici si accordano per ridefinire le istituzioni e il funzionamento del sistema monetario e finanziario mondiale: con gli accordi di Bretton Woods — località del New Hampshire (USA) — del 1944 vengono costituite la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale e si definisce un rapporto di cambio fisso fra le principali divise nazionali e il dollaro statunitense. Il dollaro, a sua volta, viene ancorato all’oro, con un rapporto che passa dai 20 dollari USA per oncia pre-Seconda Guerra Mondiale ai 35 dollari USA per oncia. Si tratta però di uno pseudo-sistema aureo, di tipo indiretto, da cui la definizione di Gold-Exchange Standard: non circolano più monete d’oro, infatti, e i cittadini non possono convertire le banconote in metallo prezioso. Tale facoltà è riservata alle principali banche centrali nazionali, che possono chiedere alla Federal Reservestatunitense (FED) di convertire in oro le proprie divise. Ciò costituisce certamente un freno alla libertà di inflazionare le varie divise nazionali, ma il sistema è strutturalmente fragile, sia per la rigidità dei tassi di cambio fissati una tantum fra le varie divise nazionali e il dollaro USA, sia per la possibilità di fatto concessa alla FED di «inflazionare» il sistema aumentando la produzione di dollari — divenuto la divisa di riserva del mondo — al di là delle proprie riserve auree (12).
Sulle banconote in dollari, oltre alla dicitura ancora presente oggi «this note is legal tender for all debts, public and private», cioè «questa banconota è a corso legale per tutti i debiti pubblici e privati» — che indica il biglietto verde emesso dalla FEDcome l’unico tipo di banconota a corso legale negli Stati Uniti d’America, da utilizzare quindi per tutti i tipi di debiti, pubblici e privati — compariva anche l’espressione, poi rimossa, «[…] and is redeemable in lawful money at the United States Treasury, or at any Federal Reserve Bank» («ed è redimibile in moneta legale presso il Tesoro degli Stati Uniti o qualsiasi Banca della Riserva Federale»), che indicava la sua convertibilità in «denaro legale» e qualificava quindi la banconota come un titolo rappresentativo di un deposito in metallo prezioso, una «nota di banco». In Italia, nelle banconote in lire la scritta «pagabile a vista al portatore» è rimasta come finzione giuridica fino all’introduzione il 1° gennaio 2002 delle banconote in euro, che non la riportano più. Sulle sterline emesse dalla Bank of England, invece, compare tuttora la dicitura «I promise to pay the bearer on the demand the sum of…», cioè «Io prometto di pagare al portatore su richiesta la somma di…», che non ha più alcun significato reale.
3. Il sistema monetario contemporaneo
Il 15 agosto 1971, il presidente statunitense Richard Milhous Nixon (1913-1994), stremato dalle spese per la guerra in Vietnam (1955-1975) e dall’onerosità del programma di welfare soprannominato «Great Society» varato nel 1964 dal suo predecessore Lyndon Baines Johnson (1908-1973), a fronte dell’insufficienza delle riserve auree rispetto alle spese crescenti, annunciò nella residenza presidenziale di Camp David (Maryland) la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, seguita nel dicembre dello stesso anno dallo «Smithsonian Agreement», che pose fine agli accordi di cambio fisso tra le principali divise mondiali e il dollaro stesso, come era stato sancito dagli accordi di Bretton Woods nel 1944 (13). Con il tramonto definitivo del sistema monetario a cambio aureo e dell’obbligo di convertibilità, le banche centrali acquisiscono di fatto la facoltà di creare denaro ex nihilo: sia quando aumentano la base monetaria, sia quando espandono i propri bilanci attuando il cosiddetto «quantitative easing», «alleggerimento quantitativo», acquistando asset (attività finanziarie) sui mercati finanziari, principalmente obbligazioni governative e private, oltre a titoli obbligazionari legati ai mutui. Nel mese di agosto del 2020, dopo mezzo secolo di espansione monetaria, le quotazioni dell’oro hanno raggiunto un massimo storico di 2.089 dollari/oncia, 59 volte tanto la quotazione fissata a Bretton Woods.
3.1 La «creazione» di denaro da parte delle banche commerciali a riserva frazionaria: un esempio di «usura» istituzionale
Anche le banche commerciali — ed è meno intuitivo — creano moneta bancaria dal nulla, ogni qualvolta erogano un prestito: il meccanismo della riserva obbligatoria frazionaria consente infatti di «moltiplicare» (14) il controvalore degli impieghi, nell’area-euro fino a un massimo teorico a livello di sistema pari a cento volte tanto i depositi, stante la riserva minima attualmente fissata dalla BCE all’1% — abbassato dal livello precedente del 2%, in vigore fino al gennaio 2012, in corrispondenza della crisi dei debiti sovrani dei Paesi periferici dell’area-euro: Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. Ciononostante, la singola banca commerciale non rischia generalmente di trovarsi nella condizione di non potere far fronte a richieste improvvise e simultanee di prelievo dei propri correntisti — il cosiddetto «bank run» — perché è supportata a livello interbancario dalle altre banche con cui intrattiene rapporti di tesoreria ed è coperta, nei casi più gravi di insolvenza, dalla propria banca centrale che agisce da «prestatore di ultima istanza», con una potenza di fuoco virtualmente infinita. Ciò accresce però il rischio di una espansione imprudente degli impieghi; anche la garanzia legale sui depositi — in Italia la copertura dei depositi fino a 100mila euro per depositante, per singola banca, da parte del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi — ha come effetto indesiderato la scarsa attenzione dedicata dai risparmiatori nella selezione dell’Istituto a cui affidare i propri risparmi, con un implicito incentivo all’azzardo morale da parte delle banche.
Il «moltiplicatore dei depositi» costituisce così un esempio di «usura istituzionale»: contrariamente all’opinione comune, le banche commerciali non si limitano infatti a prestare il denaro dei propri clienti, ricevuto in deposito o giacente sui conti correnti, ma «creano» denaro dal nulla, nel momento stesso in cui erogano un prestito. Il sistema monetario contemporaneo, sia lato banche centrali sia lato banche commerciali, è quindi completamente nominalistico e a forte leva finanziaria: il denaro è fiat, cioè su base fiduciaria, non convertibile, comunemente accettato solo perché imposto politicamente in regime di monopolio legale. Tutto ciò contravviene alla nota locuzione latina «ex nihilo nihil fit», ponendo problemi di equità e di sostenibilità (15).
3.2 Inflazione, bolle speculative e indebitamento
Il sistema monetario contemporaneo è quindi intrinsecamente inflazionistico. Nell’accezione comunemente utilizzata ai giorni nostri con il termine «inflazione» si intende solamente la variazione nel tempo degli indici dei prezzi di beni e servizi; in una seconda accezione, più articolata — che è quella tradizionale, mantenuta dalla Scuola Austriaca di economia — si fa riferimento invece all’estensione (dal latino inflare, gonfiare) della quantità nominale dei mezzi di pagamento da parte del sistema creditizio oltre la quantità che sarebbe prodotta dal libero mercato, con vari effetti possibili, fra cui certamente anche, ma non solo, il rialzo del costo del carrello della spesa (16).
A partire dalla Grande Crisi Finanziaria (GCF) degli anni 2007-2009 — conseguente alla bolla immobiliare-finanziaria scoppiata negli USA nel 2007 — si è avuta certamente una crescita inflazionistica, per lo meno nell’accezione «austriaca» sopra richiamata, in quanto è stata gonfiata sistematicamente ed esponenzialmente la quantità dei mezzi di pagamento disponibili. La liquidità globale denominata «M2» — la cosiddetta liquidità secondaria, comprendente oltre alla moneta e ai depositi in conto corrente anche tutte quelle altre attività con elevata liquidità e valore certo — è cresciuta in modo sempre più scorrelato rispetto alle dinamiche delle economie reali. A livello mondiale, in termini di dollari USA si è passati da una ventina di migliaia di miliardi all’inizio del secolo ai 40mila miliardi circa ai tempi della GCF fino agli 80mila miliardi pre-CoViD, per spingersi a ridosso di 100mila miliardi a fine ottobre 2021: una crescita esponenziale, ulteriormente accentuata dalla gestione della pandemia (da marzo 2020 la liquidità aumenta di circa 33 miliardi di dollari extra al giorno).
L’accelerazione nell’espansione creditizia dopo la GCF è rimasta confinata all’interno dei circuiti finanziari fino al 2020, producendo «soltanto»una forte inflazione delle attività finanziarie — negli USA anche del settore immobiliare —, la cosiddetta «asset inflation»: i corsi obbligazionari mondiali hanno macinato continuamente nuovi record — con contestuale collasso dei rendimenti verso e sotto lo zero — e le quotazioni azionarie hanno intrapreso un cammino di rialzo poco giustificato dalle dinamiche dell’economia reale. Dalla GCF ad oggi, infatti, le quotazioni azionarie mondiali — guardando all’indice azionario globale MSCI ACWI (Morgan Stanley Capital Index, All Country World) —, sono più che quadruplicate, con un’evidente forte correlazione fra la liquidità immessa nei circuiti finanziari e i rialzi di Borsa.
I vantaggi di tali dinamiche inflazionistiche sono andati prevalentemente alle classi più abbienti, nei cui portafogli sono in genere presenti cospicui investimenti azionari, mentre la classe media e medio-bassa, più tradizionalmente investitrice in titoli obbligazionari, subisce da diversi anni il mancato flusso cedolare e quindi si trova costretta o ad alzare l’asticella del rischio spostandosi su investimenti più aggressivi o a mantenere in liquidità, non remunerata, i propri risparmi: in tal modo si rischia di accrescere le ineguaglianze in modo iniquo. A partire dalla primavera del 2020 la strozzatura delle filiere mondiali di produzione-distribuzione (la cosiddetta supply-chain disruption) provocate dai lockdown generalizzati attuati dai principali governi mondiali per gestire l’emergenza sanitaria — ed esacerbate dall’impennata artificiale della domanda innescata dai fiumi di liquidità immessi nel sistema —, insieme alle politiche fiscali fortemente espansive dei governi e, ultimamente, ai costi esorbitanti legati alla cosiddetta transizione energetica, hanno iniziato a generare inflazioneanche nel senso comune del termine, cioè un aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi. Fino agli inizi dell’emergenza sanitaria l’effetto sui prezzi non si era verificato per tre motivazioni principali: per via della maggiore concorrenza indotta dalla cosiddetta globalizzazione economica; grazie all’innovazione tecnologica; per l’effetto calmierante sulla domanda finale indotto dall’invecchiamento demografico. I nodi, tuttavia, hanno iniziato a venire al pettine: nel mese di ottobre 2021, l’inflazione negli USA, anno su anno, è balzata al +6,2%, il livello più elevato dal novembre del 1990, mentre nell’eurozona il dato medio è salito al +4,1%, anch’esso ai massimi da molti anni. Un’escalation indotta in particolare dal balzo delle materie prime energetiche e delle altre commodities e che è destinata a traslarsi anche sui prezzi del carrello della spesa, mettendo a rischio risparmi e redditi fissi (17).
Oltre alla speculazione finanziaria, l’iperliquidità creata dal sistema bancario con il denaro a tassi bassissimi ha fortemente incentivato l’indebitamento, pubblico e privato, cresciuto esponenzialmente fino a circa 250mila miliardi di dollari statunitensi pre-CoViD e ai 277mila miliardi stimati alla fine del 2020 dall’Institute of International Finance (18), circa il 365% del Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale; considerando solo il debito pubblico il valore è pari a circa il 101,5% del PIL mondiale. Nel corso del 2021 il debito globale è continuato a crescere, portandosi sui 296mila miliardi di dollari, ancorché in discesa in termini percentuali rispetto al PIL globale (353%) (19). In Italia, il rapporto debito pubblico/PIL è balzato dal 135% circa pre-CoViD al 156% circa alla fine del 2020, per l’effetto congiunto dell’incremento del disavanzo di bilancio e del crollo del PIL (ad oggi è ridisceso verso il 153%).
È importante evidenziare che l’epidemia e la sua gestione politico-sanitaria hanno sicuramente accentuato l’accumulo del debito globale, in specie della componente pubblica, ma che tale tendenza è iniziata in modo marcato già a partire dalla GCF del 2007-2009: in un’audizione al Congresso statunitense tenutasi nel novembre del 2019, infatti, il Chair della Federal Reserve, Jerome Powell, aveva già dichiarato: «Il debito sta crescendo più velocemente dell’economia. È molto semplice. Ciò è per definizione insostenibile» (20). Un problema che accomuna tutti i Paesi sviluppati. Con l’incremento dell’indebitamento post-CoViD, unitamente alla marcata contrazione delle economie mondiali, la capacità di sostenere tale macigno, per di più in un contesto di invecchiamento demografico, è diventata ancora più ardua: da qui la strategia di «uscita inflazionistica» messa in atto dall’azione, di fatto concertata, delle banche centrali mondiali, come spiegato più avanti (21).
3.3 «Cripto-valute» e «divise digitali» delle banche centrali
L’ultima evoluzione del denaro fiat è quella di andare verso una completa smaterializzazione delle transazioni, fino a eliminare del tutto l’uso del denaro fisico, cioè banconote e monete, già in forte riduzione per la crescita esponenziale, accentuata dalla pandemia, delle transazioni con pagamenti elettronici. Nell’ultimo decennio, inoltre, sono nate le cosiddette «divise digitali»: il bitcoin e altre cripto-valute, come l’ethereum e il ripple, sono asset finanziari sui generis, che possono diventare anche mezzi di pagamento alternativi, generati dal basso attraverso un processo detto «mining» con cui vengono introdotte quotidianamente nuove unità attraverso l’elaborazione di complessi algoritmi, che richiedono grande potenza di calcolo e comportano anche elevati consumi di energia elettrica. La tecnologia su cui si basano le cripto-valute, la cosiddetta «blockchain», è a prova di hacker perché le informazioni sono distribuite in nodi virtualmente infiniti, decentrati a molteplici livelli, e ciò costituisce ovviamente una sicurezza che, unitamente alla tutela della privacy, va a contemperare il rischio legato all’immaterialità della divisa digitale.
L’espansione del bitcoin, la cripto-valuta più popolare, è legata ad una progressione secondo una serie geometrica che avviene ogni quattro anni, che tende asintoticamente a un ammontare massimo predefinito, pari a ventuno milioni di unità. Il limite massimo fissato ex ante la rende non inflazionabile e dunque appetibile per una scommessa sulla salita del suo valore nel corso del tempo. Dall’introduzione a ridosso dello zero nel 2008, il bitcoin è rimasto al di sotto dei 1.000 dollari USA fino alla primavera del 2017, per poi balzare verso quota 20.000$ alla fine del 2018 e, quindi, collassare fino a un minimo a 3.850$ durante la prima fase di diffusione della pandemia CoViD-19. A partire da metà di marzo del 2020, contestualmente alle fortissime iniezioni di liquidità, il bitcoin è letteralmente esploso fino a registrare un nuovo massimo storico a quota 69.000$ a inizio novembre del 2021, a conferma degli effetti «inflazionistici» sugli asset delle politiche monetarie ultra-espansive. L’euforia sulle quotazioni del bitcoin, percepito come una sorta di «oro digitale», negli ultimi anni ha attratto, nonostante l’estrema volatilità, un numero crescente di risparmiatori alla ricerca di un’alternativa agli investimenti tradizionali nelle divise fiat delle banche centrali, a rischio crescente di perdere potere d’acquisto. E così da semplice asset finanziario, per quanto molto particolare, il bitcoin è gradualmente diventato anche mezzo di pagamento, cioè «denaro» utilizzabile direttamente in molti scambi: è stata quindi superata definitivamente la fase in cui gli investitori istituzionali lo guardavano con scetticismo e le banche centrali con indifferenza e snobismo.
Tanto che ora le stesse banche centrali stanno copiando l’idea e progettano anch’esse l’introduzione di proprie «divise digitali», le cosiddette CBDCs,Central Bank Digital Currencies (22). La più avanti di tutte è quella cinese — il che è già sufficiente a guardare con sospetto all’idea —, ma anche la BCE ha avviato ufficialmente un progetto pilota, mentre la FED, più indietro, sta effettuando un progetto di studio.
L’introduzione di divise digitali è un ulteriore passo in avanti verso la visione nominalistica del denaro: la sua completa smaterializzazione, che lo rende completamente digitale, è l’ultima tessera del mosaico. Le banche centrali e i governi andranno ad acquisire sempre più informazioni anche sulla ricchezza finanziaria liquida, su chi detiene che cosa e su tutti i trasferimenti di denaro, con la possibilità quindi di tracciare tutti i flussi finanziari e — in linea teorica — di effettuare «analisi comportamentali» e «profilazioni» delle persone, mettendo a serio rischio la privacy e la stessa libertà. E questa è una differenza non da poco rispetto al bitcoin e alle altre cripto-valute, che vengono invece scambiate nell’anonimato peer-to-peer, fra privati. «Informazioni» per fare che cosa? «Per contrastare l’evasione finanziaria» — ovviamente! — e per evitare fenomeni di riciclaggio di denaro, ma anche — soprattutto? — per imporre un «Grande Fratello» finanziario a cui non sfuggirebbe più nulla e nessuno fino a giungere, in linea teorica, alla possibilità da parte del sistema politico di limitare i pagamenti per quei cittadini la cui «identità digitale» li classifica come poco «meritevoli».
A mano a mano che si diffonderà il denaro digitale, quello fisico potrà essere ritirato, un po’ per volta, fino ad arrivare al miraggio distopico di una cashless society in cui nessun pagamento sarà più sottratto alla rete digitale creata. A quel punto le banche centrali potranno anche imporre tassi nominali negativi sui conti correnti, cosa che adesso il sistema bancario non può fare in modo sistematico perché scatenerebbe la corsa agli sportelli dei risparmiatori per ritirare i propri risparmi e detenerli in contante: tale «bank run», fra l’altro, costringerebbe le banche centrali a far girare le proprie presse a getto continuo, visto che la gran parte del denaro impiegato nel sistema è «moneta bancaria» creata ex nihilo dalle banche commerciali nel momento in cui erogano un prestito, con un rapporto impieghi-depositi a forte leva, per il meccanismo di «moltiplicatore dei depositi» sopra ricordato.
4. L’illusione del denaro facile nella letteratura: dal Faust a Pinocchio
Vi è un equivoco molto diffuso: se l’economia è in crisi, perché non «stampare» denaro o, più modernamente, inondare di liquidità i circuiti finanziari ed economici con politiche monetarie ultra-espansive? Perché non gettare denaro fresco di stampa sulla folla da un elicottero o accreditare direttamente i conti correnti dei cittadini per stimolare i consumi e far riprendere l’economia? Semplificando, è quanto propone la cosiddetta Modern Money Theory (23), riprendendo l’immagine molto evocativa dell’helicopter money dell’economista statunitense Milton Friedman (1912-2006). Perché non aumentare poi la spesa pubblica a debito, per fare da volano alla crescita?
4.1 La «creazione dal nulla» della ricchezza
L’illusione nasce dal far coincidere il concetto di denaro con quello di capitale. Il denaro è solo un mezzo di scambio e non serve aumentarne artificialmente la quantità, mentre i beni e i servizi, gli impianti e i macchinari, i beni mobili e immobili e tutta la ricchezza «reale» — il «capitale» fisico e umano — rimangono inalterati. Così non si «crea» nuova ricchezza, si hanno solo effetti redistributivi, con vantaggio di chi riceve il denaro per primo — quando i prezzi non sono ancora cambiati — e svantaggio di chi lo riceve per ultimo, quando la crescita di mezzi monetari avrà iniziato ad alterare i prezzi di titoli finanziari, beni immobili, materie prime, prodotti e servizi: è il cosiddetto «effetto Cantillon», dal nome del banchiere ed economista irlandese Richard Cantillon (1680-1734). Sarebbe molto bello se fosse così facile «creare» ricchezza, varrebbe la pena farlo sempre, senza neppure attendere i tempi di crisi.
A metà dello scorso secolo ci provò il presidente argentino Juan Domingo Perón (1895-1974): dopo avere dilapidato le riserve auree e gettato il Paese nella rovina, ostentò tranquillità vista la possibilità di stampare tutti i pesos necessari per far fronte alle esigenze dei propri concittadini. Ovviamente la moneta si svalutò, perdendo più dei 4/5 del suo valore e nel 1955 il suo regime fu rovesciato da un colpo di Stato militare. L’esperimento monetario non finì bene, insomma.
4.2 La tentazione mefistofelica
Contro ogni tentazione «alchemica» di creare ricchezza dal nulla, scimmiottando il Creatore, sono illuminanti alcune pagine del Faust, il capolavoro di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832). Mefistofele, nei panni del buffone, parla all’imperatore, che si lamenta della situazione finanziaria critica in cui versa il Regno, e dice: «Dove non si manca da qualche parte in questo mondo? A chi questo, a chi quello, ma qui manca il denaro» (24).L’imperatore risponde: «Cosa vuoi adesso con la tua predica quaresimale? Io sono sazio di questo eterno come e se; manca il denaro, va bene, allora procuralo!» (25).
«Ich schaffe, was ihr wollt, und schaffe mehr»: «Io procuro, quello che volete, e procuro di più; in verità è facile, ma è la facilità difficile», risponde in modo enigmatico Mefistofele. All’imperatore e a tutti gli uomini del regno, accomunati dal non avere mai abbastanza soldi, il diavolo propone la geniale intuizione del denaro di carta. Fra i mormorii eccitati dei cortigiani Mefistofele spiega che non occorre garantire il nuovo denaro con l’oro già estratto e se qualcuno chiederà garanzie gli si indicherà la terra e gli si dirà di scavare: ci sono tesori infiniti che giacciono inutilizzati, sottoterra. Più tardi Mefistofele, nell’euforia generale, aggiunge: «Una tale carta, di oro e perle al posto, è così comoda, si sa per certo cosa si ha; non si ha più bisogno di mercanteggiare, né di barattare, ci si può a piacere in amore e vino inebriare» (26). Nel secondo atto del Faust lo Stato può liberarsi del suo debito e la domanda dei consumatori privati aumenta grandemente, alimentando la ripresa: gli interessati sono così felici di tutto questo che neanche sospettano la piega che prenderanno gli eventi. Un po’ per volta, infatti, la nuova liquidità provocherà una inflazione distruttiva, con la moneta che perderà rapidamente il suo valore. Goethe fa finire molto male, in inflazione e in rovina, la soluzione monetaria suggerita da Mefistofele.
Goethe fu davvero buon profeta: il celebre poeta tedesco, infatti, per ironia della sorte morì proprio a Weimar, la cui fragile Repubblica (1918-1933) — divenuta insolvente per l’impossibilità di far fronte agli esosi pagamenti delle riparazioni di guerra imposti nel trattato di pace di Versailles del 1919 — tentò senza successo di uscire dall’impasse proprio stampando banconote. Il risultato fu un’iperinflazione che travolse la vita economica, sociale, politica e morale del Paese. Si arrivò a stampare banconote da 100mila miliardi di marchi e nel 1923 il Papiermark — il «marco di carta», cioè la banconota tedesca, non più coperta da riserve auree — da 1 dollaro Usa crollò a 4.200 miliardi per dollaro: «Tutti i valori ne uscirono sconvolti, e non soltanto in campo materiale: le ordinanze dello stato venivano derise; nessuno più rispettava costumi o morale. Berlino divenne la Babilonia del mondo […] un vero sabba, poiché i tedeschi portarono tutta la loro irruenza e la loro sistematica precisione anche nella depravazione […]. Con il rovinoso crollo dei valori, una sorta di follia si impadronì delle classi borghesi, fino ad allora incrollabili nel loro senso d’ordine» (27). La scorciatoia monetaria creò uno sconvolgimento tale da facilitare l’ascesa al potere di Adolf Hitler (1889-1945) nel 1933: chissà se Goethe fosse stato ascoltato…
4.3 Pinocchio e l’albero dei miracoli
Che il denaro non cresca sugli alberi ci viene poi ricordato mirabilmente nel celebre Pinocchio di Carlo Lorenzini, in arte Collodi (1826-1890), nella famosissima scena del Campo dei Miracoli: «Nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d’oro. Poi ricopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchinid’oro, quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno. “Oh che bella cosa!” gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. “Che brave persone!” pensò dentro di sé e dimenticandosi tutti i buoni proponimenti fatti, disse alla Volpe e al Gatto: “Andiamo pure. Io vengo con voi”» (28).
Chi ha letto Pinocchio e Faust non si lascia ingannare e capisce che la ricchezza reale non la possono creare dal nulla né le banche centrali né i governi (29), con alchemici fiat o con pianificazioni economiche centralizzate, ma solo il lavoro, il risparmio e gli investimenti, nel corso del tempo. Morale: non tutto il denaro è cattivo, creato dal demonio, come nel Faust e secondo quanto afferma erroneamente Martin Lutero (1483-1546), ma esiste certamente un denaro «buono», frutto «della terra e del lavoro dell’uomo», e un denaro «cattivo», senza alcun collegamento con il reale. Se il governo falsifica il sistema monetario danneggia inevitabilmente la libera e volontaria cooperazione fra le persone, a tutti i livelli: ne consegue che la quantità del denaro non deve essere manipolabile ad libitum dai governi, né direttamente né attraverso i loro «bracci armati» che sono le banche centrali (30).
5. I tassi di interesse e il ciclo economico
«Risparmiare» consiste nel rinunciare a un consumo immediato per investire in vista di un possibile consumo futuro, che si auspica maggiore. Le scelte di consumo-risparmio-investimento dipendono dalle «preferenze temporali» della persona, ma sono accomunate dalla stessa legge sottostante: a un uovo oggi si attribuisce maggior valore che non a un uovo nel futuro, e questo «di più» dipende dalla durata del tempo in cui il consumo deve essere differito insieme al grado di preferenza temporale del soggetto che fa la valutazione. Una persona con una elevata preferenza temporale richiederà così un elevato compenso per differire il proprio consumo; viceversa, una persona con una preferenza temporale bassa. Per entrambi, tuttavia, al crescere del tempo deve aumentare il compenso richiesto per rinunciare al consumo immediato.
Il «tasso di interesse» sul capitale si determina così, a livello aggregato, in base alle preferenze dei singoli e al risparmio disponibile, ed esprime una sorta di «prezzo del tempo»: quando vi è bassa preferenza temporale, il tasso di interesse diminuisce e aumenta il risparmio a supporto degli investimenti, anche su orizzonti lunghi; viceversa, al crescere della preferenza temporale il tasso di interesse aumenta e diminuiscono le risorse allocabili per investimenti e il ciclo produttivo deve accorciarsi. Il tasso di interesse «naturale» è quindi un prezzo sui generis, che porta in equilibrio risparmi e investimenti, coordinando fra loro i piani dei produttori, dei consumatori e dei risparmiatori sui vari orizzonti temporali. Se il tasso di interesse, invece, viene represso artificialmente, portandolo addirittura in territorio negativo come accade da anni con le politiche monetarie ultra-espansive delle banche centrali, si fornisce al sistema economico l’informazione errata: «è aumentato il risparmio a disposizione per gli investimenti». Conseguentemente, gli investimenti saliranno e i cicli produttivi si allungheranno, aumenterà l’azzardo morale, andando a spingere artificialmente la crescita, innescando cioè un ciclo economico positivo (31). Siccome però i risparmi reali non sono davvero aumentati, nel momento in cui gli investimenti non sono più supportati da risparmio reale questo processo di crescita artificiale si sgonfia: dalla fase di boom si passa così in modo repentino a quella di bust, di collasso, dove i cattivi investimenti in immobili, macchinari, impianti possono diventare inutilizzabili quando sono «specifici», cioè non facilmente riconvertibili.
L’abbandono di tali malinvestment richiede tempo e ha un effetto depressivo sull’economia, con un veloce aumento della disoccupazione, a cui in genere le banche centrali reagiscono con le stesse politiche inflazionistiche responsabili in prima battuta delle errate scelte allocative di inizio ciclo espansivo: un cane che si morde la coda, insomma. Un fenomeno collettivo di erronea valutazione delle risorse disponibili che ricorda quanto descritto nel Vangelo: «Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”» (Lc. 14,28-30).
I tassi nulli o negativi sono un controsenso logico, prima che finanziario, perché equivalgono a dare un valore negativo al tempo, che è invece una risorsa sommamente scarsa, in una vera e propria «usura»ai danni del creditore-risparmiatore. Per di più, essi alterano i «prezzi relativi» dei beni di consumo e di investimento, amplificano artificialmente i cicli economici, provocando così un’allocazione erronea delle risorse e della struttura produttiva. Sprecando risorse scarse, i cattivi investimenti vanno quindi a ridurre la «torta della ricchezza» che si sarebbe potuto ottenere in modo più lineare se non ci fosse stato l’ausilio della leva finanziaria. Si vede così come l’eccesso di liquidità e la manipolazione dei tassi di interesse al ribasso non producono solo trasferimenti di ricchezza ma rendono anche inefficienti le scelte di investimento.
6. Discrasìa, dinamiche finanziarie e dinamiche economiche reali
Questo processo di «finanziarizzazione» dell’economia, con amplificazione dei cicli economici e borsistici, è in atto da un quarto di secolo nei Paesi sviluppati ed è in continua accelerazione perché richiede dosi crescenti di liquidità per tenere a galla il sistema economico-finanziario. Incentivare l’indebitamento e scoraggiare il risparmio, alla lunga è davvero controproducente: il risparmio, infatti, è la base su cui si fondano gli investimenti, necessari per far salire la produttività e quindi anche i redditi di lavoro in termini «reali», cioè di potere d’acquisto, al di là di ogni possibile illusione nominalistica.
6.1 Lockdown post-CoViD: forte crisi economica ed euforia sui mercati finanziari
Le chiusure «a fisarmonica» imposte dalla maggior parte dei governi mondiali a partire dal mese di febbraio del 2020, per far fronte all’emergenza pandemica dichiarata poi l’11 marzo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno prodotto un fortissimo rallentamento economico, un crollo del commercio internazionale, molti fallimenti e una marcata impennata della disoccupazione in tutto il mondo sviluppato. La forte ripresa del 2021, particolarmente significativa in termini percentuali perché confrontata con i dati eccezionalmente depressi del 2020, ha consentito di risalire sui livelli pre-pandemici, ma con forti disomogeneità e un allargamento del perimetro di intervento pubblico, rendendo quindi la struttura economica più fragile e più dipendente dai sostegni e dagli incentivi statali. Ciò rende ancora più difficile sostenere il peso dei debiti accumulati, sia privati sia pubblici, quest’ultimi per di più cresciuti sensibilmente per le politiche fiscali fortemente espansive attuate dai governi in risposta alla crisi, con migliaia di miliardi di dollari a livello globale di maggiori deficit a partire dal febbraio del 2020.
A fronte di tale scenario reale i ventimila miliardi di dollari USA di liquidità netta immessa nei circuiti finanziari mondiali dalle banche centrali e dalle banche commerciali dalla metà di marzo del 2020 alla fine di ottobre del 2021 hanno rigonfiato la bolla finanziaria fatta scoppiare dal CoViD-19 alla fine di febbraio. Le prospettive di evoluzione dell’economia reale sono ancora incerte, però l’azionario vola: rispetto ai livelli pre-CoViD del febbraio 2020, l’indice borsistico di riferimento negli Usa, l’S&P500, registra un guadagno del 39%, mentre l’indice di riferimento dell’area euro, l’Euro Stoxx50, segna un apprezzamento del 14%. Spinti dal fiume di liquidità e dall’assenza di alternative di investimento a causa della remunerazione negativa in termini di rendimento reale del mercato obbligazionario, le Borse mondiali hanno così macinato nuovi record, accentuando ulteriormente la discrasìa fra le dinamiche monetarie-finanziarie e quelle reali. Il CoViD-19 e le sue conseguenze sociali ed economiche accelerano l’insostenibilità di una dinamica che — occorre sottolinearlo — era già molto squilibrata prima dell’epidemia: come risposta le banche centrali stanno spingendo ancor di più il pedale sull’acceleratore monetario, che peraltro è stato ed è la causa principale della spinta all’indebitamento e della formazione delle «bolle» finanziarie. Le banche centrali, insomma, si sono infilate in un cul-de-sac e sono diventate prigioniere delle proprie politiche.
6.2 Il macigno del debito mondiale e la «cura» inflazionistica
Se i debiti apparivano fuori controllo già prima del CoViD-19, ora non vi sono più dubbi: molti Stati sovrani, fra cui l’Italia, e molte grandi aziende private andrebbero velocemente in default se dovessero pagare normali interessi passivi sui debiti contratti e per rinnovare quelli in scadenza. Non già per problemi di liquidità passeggera, ma per una strutturale insolvibilità e comunque una redditività inadeguata rispetto alla struttura del debito accumulato. In pendenza di crescita economica asfittica due sono le strade percorribili per il rientro del debito sotto la soglia di guardia, con svariati mix fra i due estremi: procedere con dei default de iure, cioè con consolidamenti parziali o totali dei debiti fuori controllo; oppure, puntare a una sorta di default de facto, sgonfiando il valore reale dei debiti — e dei crediti — proseguendo ancora per anni con l’attuale politica di «repressione finanziaria»: tassi nominali schiacciati politicamente verso e sotto lo zero — con le politiche di quantitative easing — e una crescita generalizzata e significativa dei prezzi di beni e servizi. Questa ultima via è politicamente più praticabile, perché graduale e subdola, e porterebbe a un progressivo trasferimento di ricchezza dai risparmiatori-creditori ai debitori: quanto più negativi diventeranno i rendimenti reali — = rendimenti nominali – tasso di inflazione —, tanto più veloce sarà l’abbattimento del valore reale dei debiti (e dei crediti), per la gioia dei debitori e la frustrazione dei creditori. Allo stesso tempo, con l’inflazione si abbasserebbe anche il potere di acquisto dei redditi fissi — principalmente salari, stipendi e pensioni —, che generalmente si adeguano in ritardo e spesso solo parzialmente al rialzo dei prezzi al consumo: si otterrebbe così lo stesso recupero di produttività che si avrebbe con una sforbiciata, impraticabile, ai redditi nominali.
Va sottolineato che la scelta inflazionistica non è una novità post-CoViD: per rendere sostenibile la continua espansione creditizia secondo le logiche neokeynesiane (32) su cui si basa il sistema monetario attuale, tutte le banche centrali hanno perseguito per anni un obiettivo di inflazione positivo, generalmente «al di sotto ma prossimo al 2%». Con la crisi si è alzata ulteriormente l’asticella: alla fine di agosto del 2020, infatti, la FED ha rivisto il proprio obiettivo, ponendosi come target un’inflazione media del 2%, in modo da poter proseguire con tassi bassi e l’easing quantitativo anche con risalite dell’inflazione al di sopra del 2%, in considerazione di quegli anni passati in cui l’inflazione era al di sotto dell’obiettivo fissato. Anche la BCE ha seguito l’esempio della FED nel luglio del 2021 e sta proseguendo con la repressione dei rendimenti obbligazionari — nonostante la risalita dell’inflazione nell’area euro al 4,1% —, per mantenere sotto controllo gli spread fra i titoli governativi dei vari Paesi dell’area e per abbattere il valore reale dei debiti, andando quindi ben al di là del proprio mandato. Le banche centrali tendono a minimizzare i rischi inflazionistici, definendoli «temporanei», per potere proseguire con le proprie politiche ultra-espansive, mantenere i rendimenti reali in territorio negativo e tenere a galla i grandi debitori. Le banche centrali, sempre meno indipendenti dal potere politico, non contrasteranno le dinamiche inflazionistiche in atto, o comunque lo faranno in ritardo e in modo parziale, posizionandosi, come si dice in gergo, «behind the curve»: se l’inflazione accelera ulteriormente saranno probabilmente costrette a rivedere al rialzo i tassi di interesse nominali, ma faranno in modo di mantenere un contesto di rendimenti reali negativi. Si stanno imponendo come il vero protagonista della vita economica e finanziaria delle nazioni, risolvendo oggi i problemi che hanno creato ieri, mentre domani si occuperanno dei problemi che stanno provocando oggi, come un dentista che cura i denti cariati e regala caramelle zuccherine ai propri pazienti. Cui prodest? (33).
6.3 «Rendimento Reale Negativo»: una nuova «tassa» sta per abbattersi sulla classe media
Dopo avere incentivato per anni l’azzardo morale, garantendo forti guadagni sui mercati per chi si è avvantaggiato del denaro facile immesso nei circuiti finanziari e della conseguente asset class inflation, le banche centrali stanno quindi presentando il conto, «socializzando» le perdite su tutta la classe media, dove si concentrano quei risparmiatori che probabilmente non hanno beneficiato invece di tali manipolazioni. Un vero e proprio «falsario di Stato» (34) che manipola il valore reale del denaro per indurne artificialmente una perdita del potere d’acquisto, introducendo di fatto una tassa «occulta» su redditi e risparmi, non varata da alcun Parlamento, che vìola i diritti di proprietà: potremmo battezzarla R.R.N., «Rendimento Reale Negativo», stanti i tassi nominali di interesse a ridosso o sotto allo zero e le dinamiche inflazionistiche che si stanno sviluppando (35).
L’inflazione è sempre stata — e lo sarà ancora di più nei prossimi anni — un modo per trasferire surrettiziamente e iniquamente ricchezza dalla formica alla cicala, dal creditore al debitore. Ovvio che non se ne parli in questi termini e si preferisca, invece, presentarla come la panacea per uscire dalla crisi. Se può sembrare cosa di poco conto un tasso medio di inflazione annua del 2-3% pensiamo che con tassi nominali nulli e quindi un rendimento reale negativo di oltre il 2% annuo, nell’arco di soli dieci anni il proprio patrimonio finanziario dimagrirebbe di un quarto in termini di potere d’acquisto. Non stupisce così l’apprezzamento del 17% dell’oro ad oggi (novembre 2021) rispetto ai livelli pre-CoViD, per non parlare del +500% messo a segno dai bitcoin, evidentemente percepiti come dei beni-rifugio dal debasement — perdita di potere d’acquisto —del denaro fiat.
6.4 L’inflazione non è la cura
Ma non solo. Come spiegato nel paragrafo 5, i tassi di interesse nominali nulli o negativi, conseguenti all’iperliquidità e alle politiche di easing quantitativo delle banche centrali, continueranno a incentivare l’indebitamento e l’azzardo morale, sia sui mercati finanziari sia nell’economia reale, mentre i risparmiatori, a fronte della risalita dei prezzi di beni e servizi, saranno privati della remunerazione del loro denaro, che si svaluterà. In altri termini, i mancati gettiti dei risparmiatori consentiranno ancora maggior debito, tenendo così in vita con «accanimento terapeutico» imprese zombie strutturalmente insolventi, e non solo in crisi passeggera di liquidità, drenando risorse ai danni di quelle sane e falsificando la libera e leale concorrenza. Ciò consentirà anche maggiori investimenti pubblici, ovviamente a debito (36): un altro modo per accentrare presso i pubblici poteri, nazionali o sovranazionali, le risorse e le scelte d’investimento, a scapito dei privati, in specie piccoli e medi.
Non illudiamoci che l’inflazione generi crescita economica reale e occupazione nel lungo periodo: non esiste un livello «ottimale» di inflazione che deve essere perseguito politicamente. Questa è solo una delle tante fallacie economiche che sopravvivono nonostante la storia economica ci abbia mostrato lunghi periodi di crescita economica insieme a «deflazione» — cioè discesa dei prezzi —, come negli USA di fine secolo XIX; anche oggi, per di più, esistono importanti settori dell’economia che sono stabilmente e contemporaneamente in forte crescita e in deflazione da decenni — pensiamo alla tecnologia e all’informatica —, con forti profitti per i produttori e grandi benefici per i consumatori. Spiace forse a qualcuno? Specularmente, vi sono stati periodi di forte crisi e di disoccupazione accompagnati da tensioni sui prezzi: pensiamo, per esempio, alla cosiddetta «stagflazione», stagnazione più inflazione, degli anni 1970, che dimostrò l’inconsistenza della cosiddetta «curva di Phillips» — proposta dall’economista neozelandese Alban William Phillips (1914-1975) — secondo cui l’inflazione e la disoccupazione sarebbero inversamente correlate. La stagflazione è l’incubo di banche centrali e di governi, perché svelerebbe il bluff delle politiche monetarie e fiscali espansive, e avrebbe costi sociali davvero pesanti sulla classe media e sulle fasce più deboli della popolazione.
Riassumendo, non è l’economia reale che abbisogna di inflazione, come vorrebbe la narrazione ossessiva degli economisti e dei media finanziari mainstream, bensì la tenuta del sistema finanziario contemporaneo costruito sull’espansione creditizia incontrollata e sull’accumulo di debito e che ora rischia di collassare, con effetti disastrosi sulle stesse economie.
6.5 Crescita a debito e demografia
Il paradigma della «crescita a debito», in pendenza di «inverno demografico» e di disarticolazione delle famiglie e della società, richiede dosi crescenti di «droga monetaria» per stare in piedi e mostra sempre più le corde. L’obiettivo della stabilizzazione del sistema finanziario e del salvataggio dei debitori, perseguito con la compressione dei rendimenti e l’inflazione, è un processo di aggiustamento che richiederà molto tempo e sarà pagato da anni di crescita economica asfittica, in cui alcuni continueranno a guadagnare ma i più perderanno. La «vampirizzazione» del futuro è una predazione compiuta in particolare a danno dei nostri figli, che saranno sempre di meno a pagare conti sempre più salati. Le «piramidi» demografiche nei Paesi sviluppati, infatti, si stanno trasformando in «funghi», dal Giappone all’Italia, dalla Germania alla Grecia: un «gambo» piccolo per via di un numero di nati in continuo calo, con un «cappello» sempre più grande per via del numero crescente di anziani, che comporta maggiori costi sanitari, assistenziali e pensionistici scaricati su una base produttiva in progressiva contrazione a causa del crollo delle nascite in essere dall’inizio degli anni 1980 (37).
7. Verso il «socialismo finanziario» delle banche centrali e un Nuovo Ordine Mondiale post-pandemico?
Stante il quadro delineato, il processo di finanziarizzazione dell’economia sembra destinato a proseguire a oltranza, se non addirittura ad aumentare con «accanimento terapeutico», secondo la logica del «motus in fine velocior».Se le cose si mettessero davvero male sul versante della tenuta del debito, la prossima frontiera di acquisti da parte delle banche centrali — ben al di là dei loro mandati attuali — potrebbe estendersi ai titoli obbligazionari privati junk, cioè«spazzatura», e ai governativi sul mercato primario — «monetizzando» così direttamente i debiti, pubblici e privati, un gigantesco bail-out (salvataggio) —, oltre che allargarsi agli stessi titoli azionari quotati. Le autorità monetarie potrebbero anche fare un utilizzo massivo del cosiddetto «helicopter money»,accreditando — con un semplice click del mouse — denaro fresco di «creazione» direttamente sui conti correnti dei cittadini, come già in parte è avvenuto. D’altronde si parla in molte sedi di «reddito universale di cittadinanza», cioè di una gestione «politica» della ricchezza creata e, in tal senso, le divise digitali allo studio dalle banche centrali sarebbero un’arma in più, perché basterebbe possedere uno smartphone per ricevere denaro e utilizzarlo.
Il focus,di conseguenza, tenderà a spostarsi sugli aspetti redistributivi, con il rischio di una contrazione dell’iniziativa privata e della libertà economica, specie dei piccoli e medi imprenditori, a favore di un interventismo crescente degli Stati nonché di una crescente governance mondiale al di sopra degli Stati stessi, con il pretesto dello «stato di emergenza» e quindi della necessità di «gestire la crisi», che sia economico-finanziaria, sanitaria o climatica. Aumenteranno quindi le tensioni sociali e l’attività di lobbying dei crony capitalist,i «capitalisti clientelari», per accaparrarsi la spesa pubblica, cioè il denaro dei contribuenti, perdendo di vista la produzione di nuova ricchezza — che si fonda su risparmio, investimenti e accumulazione di capitale —, minacciata da margini di libertà economica già modesti e in ulteriore contrazione. La gestione della crisi sanitaria in atto e la pretesa incombente crisi ambientale paiono il grimaldello per accelerare verso un «socialismo finanziario» (38) o «socialismo liberale», con un accentramento della ricchezza presso le banche centrali e delle scelte imprenditoriali presso governi e autorità sovranazionali: in Europa la Commissione Europea, nel mondo l’ONU con la sua Agenda 2030 per lo «sviluppo sostenibile» (39), nella prospettiva del «Grande Reset» (40) avanzata dal World Economic Forum.
8. Impossibilità di un’economia libera in un sistema monetario fiat senza limiti
Quando il sistema monetario-finanziario prevede «istituzionalmente» la possibilità di espandere illimitatamente la quantità di denaro — da parte sia delle banche centrali sia delle banche commerciali a riserva frazionaria —, non ci sono le condizioni perché si sviluppi una economia davvero libera. Chi controlla i flussi finanziari, infatti, determina le scelte di risparmio e di investimento, quindi tutta la struttura produttiva, distributiva e di consumo. Il denaro è trasversale a tutte le attività umane: la sua alterazione produce gravi conseguenze distorsive, generalizzate e poco trasparenti, consentendo al potere politico e alle varie clientele di allargare i propri tentacoli invadendo e controllando sempre più la società civile. Violando l’etica della produzione della moneta (41), lo Stato tradisce la propria ragion d’essere, cioè la promozione del bene comune, per di più approfittando della scarsa consapevolezza generale, un’aggravante sul piano morale. Denaro fiat e statalismo vanno a braccetto, ai danni soprattutto dei piccoli e medi risparmiatori e imprenditori.
Nel magistero sociale della Chiesa, a parte alcuni accenni manca purtroppo un’analisi sull’etica della produzione monetaria. Nel 1931, a ridosso della Grande Depressione del 1929, Papa Pio XI (1922-1939) denunciava comunque il «funesto ed esecrabile internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro», un potere che «diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare» (42).
Nella Nota dedicata alla «riforma del sistema finanziario e monetario internazionale» (43), redatta nell’ottobre del 2011 in corrispondenza della crisi dei debiti sovrani periferici nell’area dell’euro, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha affermato: «Negli ultimi decenni sono state le banche ad estendere il credito, il quale ha generato moneta, che a sua volta ha sollecitato un’ulteriore espansione del credito. Il sistema economico è stato in tale maniera spinto verso una spirale inflazionistica […], con conseguenze negative per l’intero sistema economico e finanziario.
«Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le economie nazionali sono avanzate, […] [con] un progressivo regolare sviluppo della moneta e della finanza in linea con le potenzialità di crescita reale dell’economia. Dagli anni Novanta dello scorso secolo, si riscontra invece come la moneta e i titoli di credito a livello globale siano aumentati in misura molto più rapida della produzione del reddito, anche a prezzi correnti. Ne sono derivate la formazione di sacche eccessive di liquidità e di bolle speculative che poi si sono trasformate in una serie di crisi di solvibilità e di fiducia che si sono propagate e susseguite nel corso degli anni […]. Sul piano strutturale, nell’ultima parte del secolo scorso, la moneta e le attività finanziarie a livello globale sono cresciute molto più rapidamente della produzione di beni e di servizi […] [con] crisi che si sono manifestate negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e infine nella crisi del 2008» (44). Il processo di eccessiva iniezione di liquidità rispetto alle dinamiche reali, qui denunciato circa dieci anni or sono, è proseguito in accelerazione a partire dal 2009 dopo la GCF, con un’ulteriore impennata post-CoViD.
Nel più recente documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (45) della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’analisi si concentra sugli aspetti etici e regolamentari necessari affinché la vita finanziaria sia funzionale allo sviluppo umano integrale, senza però entrare nel merito dell’espansione creditizia delle banche centrali e delle banche commerciali a riserva frazionaria.
Conclusione
Stante il quadro sopra descritto, che cosa fare, dunque? A cause reali non si possono opporre solamente o principalmente soluzioni monetarie e alchimie finanziarie: tali «cure», infatti, portano in germe la crisi successiva, amplificando i cicli economici con crescite artificiali seguite da inevitabili tracolli, come accaduto con frequenza sempre più ravvicinata dall’inizio del secolo, in un crescendo di interventismo pubblico, di clientelismo e di contrazione degli spazi di libertà economica. In un contesto di elevato debito e di demografia sfavorevole non esistono ovviamente soluzioni facili o ad horas. Iniziare a invertire la tendenza sarebbe già un primo passo significativo, ricercando soluzioni nell’ambito del «reale» e su tempi lunghi, rifuggendo dall’illusione monetaria e dalla crescita alimentata dal debito.
Per quanto riguarda l’Italia, molte sono le aree di possibile intervento: la semplificazione burocratico-amministrativa, la riduzione dell’interventismo pubblico, il taglio della spesa pubblica e della pressione fiscale, la riforma della giustizia, della scuola e della sanità pubblica — recuperando una logica «sussidiaria» (46) per una società e un’economia davvero libere e responsabili — rimangono i rimedi veri per un cambio di prospettiva. E non soltanto nel nostro Paese (47).
Il punto fermo è che la ricchezza non la creano alchemicamente dal nulla né le banche centrali né i governi: i beni e servizi che corrispondono ai bisogni e ai desideri dell’uomo sono prodotti dal lavoro, dalla terra e dal capitale, dai risparmi e dagli investimenti, in un processo esteso nel tempo e nello spazio, fatto di tentativi e di errori, coordinato dal genio imprenditoriale e orientato dai prezzi di mercato. Un dinamismo che abbisogna di una società organica e vitale, in cui le virtù non siano del tutto scomparse, articolata in modo sussidiario, dalla famiglia ai vari corpi intermedi, fino allo Stato e alle realtà internazionali: praticamente l’opposto della moderna società «liquida», destinata inesorabilmente a perdere libertà perché sempre più etero-diretta, che sia il proprio governo nazionale e/o la governance sovranazionale, a regìa ONU, verso cui stiamo andando.
Il mercato non può galleggiare sul nulla, non può essere auto-referenziale, ma rimane un’istituzione imprescindibile per assicurare la libertà e la prosperità: è questa l’«economia libera» propugnata da Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005) nella lettera enciclica Centesimus annus del 1991 (48). E sul ruolo «ancillare» della finanza, Benedetto XVI (2005-2013) afferma: «Bisogna, poi, che la finanza in quanto tale, nelle necessariamente rinnovate strutture e modalità di funzionamento dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza ed allo sviluppo» (49): nella prospettiva dello «sviluppo umano integrale» (50), che è l’unico sviluppo davvero «sostenibile».
Una rinnovata centralità della famiglia e la ripresa della natalità nel mondo sviluppato — anche se gli effetti si vedranno solo a lungo termine — rimangono poi strade obbligate per riportare in equilibrio le strutture demografiche e quindi i costi pensionistici e sanitari-assistenziali: le banconote non possono sostituire le persone. Il suicidio demografico in atto dei Paesi «ricchi» è il frutto avvelenato del collasso culturale e morale dell’Occidente secolarizzato post-Sessantotto: non è il risultato delle ricorrenti crisi economico-finanziarie, ma semmai ne costituisce una delle cause strutturali più importanti. Senza riportare la demografia in ordine non vi è quindi alcuna speranza di uscire dalla profonda crisi generazionale in cui ci troviamo: occorre iniziare per lo meno a invertire tendenza al più presto, perché i nostri figli possano vederne i frutti un domani. Le cure «reali» ai malesseri economici e finanziari non sono l’inflazione, il debito, il reddito di cittadinanza o la gestione politica della ricchezza: non esistono scorciatoie, non illudiamoci.
Note:
1) Cfr. par. 3.
2) Cfr. par. 7.
3) Cfr. par. 3.1.
4) Cfr. World Economic Forum, The Great Reset, nel sito web <https://www.weforum.org/great-reset> (Gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 27-12-2021).
5) Cfr. il mio Il «Denaro»: che cos’è?, 12-11-2020, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/il-denaro-che-cose>.
6) Cfr. Carl Menger, Denaro, 1890, trad. it., Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2013, consultabile nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
7) Cfr. Pietro Monsurrò, Introduzione alla Scuola Austriaca di economia. Menger, Böhm-Bawerk, Mises, Hayek, Rothbard e altri, goWare(Leonardo Facco Editore), Treviglio (Bergamo) 2017; Guglielmo Piombini e Giuseppe Gagliano, Riscoprire la Scuola Austriaca di economia, goWare(Leonardo Facco Editore), Treviglio (Bergamo) 2018; Eamonn Butler, La scuola austriaca di economia,Istituto Bruno Leoni Libri, Torino-Milano 2014. I testi sono consultabili nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
8) Cfr. The De Moneta of Nicholas Oresme and English Mint Documents, nel sito web <https://mises.org/library/de-moneta-nicholas-oresme-and-english-mint-documents>.
9) Settimo comandamento: «Non rubare» (Es. 20,15); ottavo: «Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo» (Es. 20,16); e decimo: «Non desiderare […] alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es. 20,17).
10) Ibid., Cap. XXVI.
11) Cfr. Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno,XXX, vv. 58-90.
12) Cfr. Kevin Dowd e Richard H. Timberlake, Jr., Money and the Nation State. The Financial Revolution, Government and the World Monetary System, Taylor and Francis, New York 2020, consultabile nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
13) Cfr. il mio 15 agosto 1971: la «Finestra dell’Oro» si chiude, per sempre,13-08-2021, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/15-agosto-1971-la-finestra-delloro-si-chiude-per-sempre>.
14) Cfr. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB), Elementi di macroeconomia. Il meccanismo del «moltiplicatore monetario», nel sito web <http://www.consob.it/web/investor-education/elementi-di-macroeconomia>.
15) Cfr. Murray Newton Rothbard (1926-1995), Cosa ha fatto lo Stato con i nostri soldi? Riprendiamoci la moneta e altri saggi, 1964, trad. it.,a cura di Piero Vernaglione, goWare (Leonardo Facco Editore), Treviglio (Bergamo) 2018, consultabile nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
16) Cfr. Jesús Huerta de Soto, Moneta, credito bancario e cicli economici, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2021; Ludwig von Mises (1881-1973), The Theory of Money and Credit. 1912-1952,Skyhorse Publishing, New York 2013, consultabile nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
17) Cfr. il mio Il «premio verde» di Gates già lo paghiamo in bolletta: è il prezzo della transizione, in La Nuova Bussola Quotidiana, 29-10-2021, nel sito web <https://lanuovabq.it/it/il-premio-verde-di-gates-gia-lo-paghiamo-in-bolletta-e-il-prezzo-della-transizione>.
18) Cfr. World Global Forum, This chart shows how debt-to-GDP is rising around the world, nel sito web <https://www.weforum.org/agenda/2020/12/global-debt-gdp-covid19>.
19) Cfr. il sito web <https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-09-14/global-debt-hits-record-296-trillion-as-world-lockdowns-ease>.
20) Cfr. FED, Powell: «Debito USA è insostenibile», in La Stampa, 14-11-2019, nel sito web <https://finanza.lastampa.it/News/2019/11/14/fed-powell-debito-usa-e-insostenibile-/MTI5XzIwMTktMTEtMTRfVExC>.
21) Cfr. par. 6.
22) Cfr. sito web <https://www.investopedia.com/terms/c/central-bank-digital-currency-cbdc.asp>.
23) Secondo la Teoria Monetaria Moderna, la moneta è considerata come emanazione statale e immessa in circolazione attraverso la spesa pubblica: si considera possibile stimolare la crescita economica facendo deficit ed emettendo titoli di Stato acquistati senza limiti da parte della banca centrale, che provvede quindi alla «monetizzazione» indiretta del debito pubblico. Secondo tale scuola, l’immissione di liquidità per finanziare la spesa pubblica nei momenti di debolezza economica è non solo possibile ma anche doverosa e non genererebbe inflazione finché il sistema economico non sia arrivato al «pieno impiego».
24) Cfr. Johann Wolfgang Goethe, Faust, seconda parte, atto I, vv. 4889-4890.
25) Ibid., vv. 4923-4926.
26) Ibid., vv. 6119-6123.
27) Cfr. Stefan Zweig (1881-1942), Il mondo di ieri,1942, trad. it., Mondadori, Milano 1994, cap. Di nuovo nel mondo.
28) Cfr. Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Felice Paggi, Firenze 1883, cap. XII.
29) Cfr. il mio I governi e le banche centrali non creano ricchezza, 27-2-2018, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/governi-le-banche-centrali-non-creano-ricchezza>.
30) Cfr. L. von Mises, Money, Method and the Market Process, Ludwig von Mises Institute, Auburn (Alabama) 1989, consultabile nel sito web <https://mises.org/money>.
31) Cfr. Donald Joseph Boudreaux, Hayek. L’essenziale, trad. it.,Istituto Bruno Leoni Libri, Torino 2017, cap. 7; Thomas Mayer, Austrian Economics, Money and Finance, Taylorand Francis, Milton Park (Oxfordshire) 2017, parte I, Money; P. Monsurrò, op. cit.,cap. 9. I testi citati sono consultabili nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
32) Dal nome del noto economista britannico John Maynard Keynes (1883-1946), propugnatore dell’interventismo dello Stato in economia per assicurare l’«equilibrio generale» e la «piena occupazione».
33) Cfr. Louis Salleron (1905-1992), Chi fa le spese dell’inflazione, in Cristianità, anno I, n. 1, settembre-ottobre 1973, pp. 8-9.
34) Cfr. il mio Lo Stato-falsario, nel sito web <https://culturainpillole.com/it/notebooks/5>.
35) Cfr. il mio Famiglia, proprietà privata e libertà. Specie in via di estinzione, minacciate dalla tecnocrazia mondiale, in IFN. International Family News, 11-1-2021, nel sito web <https://www.ifamnews.com/it/famiglia-propriet-privata-e-libert>.
36) Cfr. il mio Il Next Generation UE è la nuova NEP?,20-5-2021, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/il-next-generation-ue-e-la-nuova-nep>.
37) Cfr. il mio Pensioni, il Belpaese sull’orlo di una crisi di nervi, 26-1-2018, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/pensioni-belpaese-sullorlo-crisi-nervi>.
38) Cfr. il mio L’era del socialismo finanziario delle Banche centrali, che impoverisce la famiglia,in IFN. International Family News, 26-9-2020, nel sito web <https://www.ifamnews.com/it/l-era-del-socialismo-finanziario-delle-banche-centrali-che-impoverisce-la-famiglia>.
39) Cfr. i miei Lo «sviluppo sostenibile»: una mina antiuomo, ibid., 9-3-2020, nel sito web <https://www.ifamnews.com/it/lo-sviluppo-sostenibile-una-mina-antiuomo>; Investimenti obbligati, così avanza il centralismo planetario, in La Nuova Bussola Quotidiana, 16-11-2020, nel sito web<https://lanuovabq.it/it/investimenti-obbligati-cosi-avanza-il-centralismo-planetario>; L’imposizione dello «sviluppo sostenibile»: il futuro della finanza, ibid., 22-11-2020, nel sito web <https://lanuovabq.it/it/limposizione-dello-sviluppo-sostenibile-il-futuro-della-finanza>.
40) Cfr. i miei «The Great Reset»: verso un futuro distopico?, 12-02-2021, nel sito web: <https://alleanzacattolica.org/the-great-reset-verso-un-futuro-distopico>; 3, 2, 1, Reset. Socialismo finanziario sarà, in IFN. International Family News, 15-12-2020, nel sito web: <https://ifamnews.com/it/3-2-1-reset-e-socialismo-finanziario-sar->.
41) Cfr. Jörg Guido Hülsmann, L’etica della produzione della moneta, trad. it., Solfanelli, Chieti 2011.
42) Pio XI, Lettera enciclica «Quadragesimo anno» sulla ricostruzione dell’ordine sociale nel XL anniversario della «Rerum novarum», del 15-5-1931, n. 106 e n. 109.
43) Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, del 24-10-2011, nel sito web <https://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20111024_nota_it.html>.
44) Ibidem.
45) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, «Oeconomicae et pecuniariae quaestiones». Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, del 17-5-2018, nel sito web <https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20180106_oeconomicae-et-pecuniariae_it.html>.
46) Cfr. Hugo Tagle Martínez, Il principio di sussidiarietà, in Cristianità, anno X, n. 81, gennaio 1982, pp. 3-10.
47) Cfr. il mio La Torta della ricchezza, 16-7-2020, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/la-torta-della-ricchezza>.
48) San Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Centesimus annus» nel centenario della «Rerum novarum», del 1°-5-1991, n. 42.
49) Benedetto XVI, Lettera enciclica «Caritas in veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, del 29-6-2009, n. 65.
50) Ibid.,n. 18.