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La formazione delle «élite» in Brasile nell’epoca coloniale

28 Aprile 1994 - Autore: Plinio Corrêa de Oliveira

Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 227-228 (1994)

 

«Genesi, sviluppo e declino della “nobiltà della terra”»

La formazione delle «élite» in Brasile nell’epoca coloniale

 

L’opera Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, di Plinio Corrêa de Oliveira — pubblicata in italiano da Marzorati (Settimo Milanese [Milano] 1993) —, è stata stampata in più aree linguistiche e culturali, talora arricchita dalla verifica storica delle tesi in essa sostenute, esposta nella forma di consistenti appendici. L’edizione in portoghese comprende appunto l’appendice No Brasil Colónia, no Brasil Império e no Brasil República: génese, desenvolvimento e ocaso da «Nobreza da terra» (cfr. Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza romana, Livraria Civilização-Editora, Oporto 1993, pp. 159-201). La traduzione della prima parte (pp. 159-172) è redazionale.

 

La funzione dell’incorporazione di elementi analoghi alla nobiltà originaria

Le «élite analoghe» alla nobiltà costituiscono tema d’interesse, sia per l’Europa che per il Nuovo Mondo. Forse ancora di più per quest’ultimo, perché la nobiltà — benché abbia avuto, in alcune parti del Continente Americano, la condizione di classe sociale con rilievi e con contenuto giuridico definiti come in Europa — non ha esercitato, in quanto tale, nell’itinerario storico di nessuna nazione delle tre Americhe, una funzione neppure lontanamente così preponderante come l’ha avuta la classe nobile nella storia del Vecchio Mondo. Le élite aristocratiche, formate in modo organico sullo stesso suolo americano — inglobando nel proprio seno i nobili che si vennero a trovare sia nell’Iberoamerica che nell’America Settentrionale — svolsero, per molto tempo, una funzione propulsiva nella società temporale.

Grazie al numero dei loro membri, grazie alla loro funzione nella vita economica e sociale come pure al loro rapporto quasi ininterrottamente pacifico con le classi più modeste, la parte delle élite tradizionali è stata preponderante.

La considerazione delle «élite analoghe» serve agli studiosi del tema «aristocrazia» come punto di partenza per riflessioni su quelle che potrebbero essere, nella società contemporanea, le nuove forme di nobiltà. Esse potrebbero sorgere nel caso in cui un governo monarchico — e attualmente si parla tanto della restaurazione di vari fra essi — si desse a costituire, attorno alla nobiltà storica, nuove varian­ti di nobiltà che, per il loro carattere tradizionale, non fossero esposte al rischio di essere semplici allevamenti di arrivisti. In questo modo si potrebbero costituire forme originali di nobiltà, che potrebbero vivere ar­moniosamente giustapposte alla prima nobiltà op­pure che, con il passare del tempo, si potrebbero fon­dere con essa.

Quindi, è importante presentare al lettore, a titolo illustrativo, alcuni dati storici, anche se sommari, sulla formazione di queste élite in Brasile.

In questo modo, il lettore verrà a conoscenza della formazione naturale e organica di una prima élite nel Pernambuco, a Bahia e, in qualche misura, in altre parti del Nordeste brasiliano, durante il ciclo socioeconomico della canna da zucchero.

La Corona portoghese, mossa dal desiderio di stimolare la piantagione della canna da zucchero — e di consolidare così la colonizzazione e il popolamento del territorio, come pure di trarre vantaggi economici — concesse ai piantatori, che avessero nelle proprie terre gli engenhos adatti alla produzione dello zucchero, alcune prerogative dell’antica nobiltà. Questi piantatori — senhores de Engenho — vennero a costituire una classe aristocra­tica, una nobiltà di fatto.

L’élite rurale contava fra i suoi membri anche un certo numero di famiglie provenienti dall’aristocrazia portoghese, trasferite nella possente colonia americana. Con l’ampliamento dell’area territoriale coltivata vennero nascendo nuovi proprietari rurali, che non appartenevano all’élite degli inizi.

Pure in modo organico, questi diversi filoni che costituivano la classe dei proprietari rurali si vennero fondendo in una sola élite, che fiorì gra­da­ta­mente in prosperità, come pure in un elevato stile di vita e in raffinatezza di maniere.

Un analogo processo venne realizzato spon­ta­nea­men­­­te nello sviluppo delle élite urbane.

Di fatto, sul territorio brasiliano venne crescendo il numero di abitati, molti dei quali procedevano decisamente verso la formazione di città. In questi centri urbani si costituì un’élite originaria, formata soprattutto dai detentori di cariche pubbliche elevate, civili o militari, che allora conferivano nobiltà. A questi si venne aggiungendo un certo numero di nobili o fidalgos portoghesi stabilitisi nella Colonia.

Nello stesso tempo facero la loro comparsa, per le necessità stesse della vita urbana, persone che, dedicandosi ad attività diverse, avevano uno status civile e una condizione economica chiara­mente diversa dai lavoratori manuali: per esempio, medici, commercianti, e così via. Formava­no la categoria dei cosiddetti homens novos, «uomini nuovi». Nel piccolo ambito degli abitati o città del tempo, tali persone avevano naturalmente un rappor­to frequente con gli elementi dell’élite.

La giustapposizione degli «uomini nuovi» a elementi dell’élite urbana originaria tese naturalmente a una fusione graduale, che costituì un’aristocrazia urbana. Infine, a suo modo, anche una nobiltà.

Questi aristocratici urbani, insieme a membri del­l’aristocrazia rurale, formarono la classe dirigen­te della vita municipale, con accesso alle principali funzioni di governo del Municipio. Allora, questo insieme veniva più correntemente definito homens bons, «probiviri».

Nei cicli socioeconomici seguenti, dell’oro e delle pietre preziose, e infine del caffè, si svolsero processi simili, non per semplice imitazione, ma per una comprensibile analogia di circostanze.

Per la società e per la nazione che stavano allora germogliando in Brasile era molto vantaggiosa la promozione di élite dirigenti. E la loro crescita numerica e qualitativa aveva solo da guadagnare dalla graduale assimilazione, al nucleo d’élite originaria, di elementi analoghi a questo o a quel titolo. Perciò la formazione di questi elementi analoghi e la loro assimilazione erano di evidente interesse per il bene comune.

Come potrà constatare chi studia l’argomento, il pro­cesso di formazione della nobiltà e delle «élite ana­loghe» nell’America ispanica è stato vario. Perciò si potrà osservare la molteplicità di problemi sol­levati dalla formazione e dall’ampliamento delle élite in terre iberoamericane come pure l’originalità del­le soluzioni che tali problemi ebbero in America La­tina.

Importa sottolineare che l’obiettivo di queste note sulla «nobiltà della terra» nel Brasile coloniale, come nel Brasile Regno Unito e nel Brasile Impero, consiste nel mettere in evidenza il carattere profonda­men­­te naturale e organico della formazione della classe nobiliare, soprattutto nel periodo iniziale della storia brasiliana, come pure nel mettere in chiaro in che modo si formavano allora le élite parallele alla nobiltà, e l’accesso naturale che, a partire da esse, si poteva avere alla classe nobiliare.

Così, non si è preteso tracciare in questa sede un quadro completo della nobiltà brasiliana — meglio, luso-brasiliana — nello stadio di sviluppo strutturale in cui si trovava il 7 settembre 1822, data dell’Indipendenza. Né di tutte le modifiche che la legislazione imperiale seguente — fortemente influenzata dallo spirito della Rivoluzione francese — avrebbe introdotto in tale classe (1).

A. La formazione delle «élite» nel Brasile Colonia

1. I primi colonizzatori

a. Le classi modeste

Nell’America Lusitana il popolamento si fece prin­cipalmente con elementi delle classi più modeste della Metropoli. Come sottolinea Francisco José Oliveira Vianna, «elementi del popolo, contadini del Minho, di Trás-os-Montes, della Beira, del­l’Estre­­ma­dura — uomini sobri e onorati, benché di pochi averi, “uomini di qualità”, come si legge in alcune lettere di sesmaria (2) — che chiedono terre, e che, senza pubblicità e senza rumore, si vengono fissando con i propri animali, grandi e piccoli, nei campi e nelle foreste vergini dell’hinterland» (3).

Fra queste classi più modeste non figuravano sol­tanto elementi della popolazione rurale. Alfredo Ellis Jr. afferma che «il Portogallo, per colonizzare la ter­ra brasiliana, ha mandato qui gente della bor­ghe­sia, di formazione urbana, oppure semi-urbana, com­mer­ciale e non in sintonia con l’ambiente rurale» (4).

Fra i primi abitatori vi erano anche esiliati, benché non ne costituissero la maggioranza.

Oliveira Lima afferma: «La colonizzazione brasiliana realizzata da esiliati è una leggenda ormai sfatata. Né il fatto di essere esiliato equivaleva allora per forza a essere un criminale, nel senso delle idee moderne. Con la deportazione venivano puniti delitti non infamanti e perfino semplici offese com­­messe da brave persone. I due maggiori poeti portoghesi, Camões e Bocage, hanno patito la pena dell’esilio in India» (5).

Inoltre, alcuni transfughi si servivano dell’Ameri­ca come rifugio in seguito ad azioni illegali commesse nei luoghi di origine, perché re Giovanni III a­ve­­va stabilito «che non sarebbero stati perseguitati per i loro delitti, quanti fossero venuti a rifugiarvisi» (6).

A questi elementi, nel corso dei secoli, si aggiunse­ro indiani catechizzati, che entravano nel nuovo conte­sto sociale quasi sempre come lavoratori manuali, e contro la cui riduzione in schiavitù la Chiesa si è sempre battuta in modo indomito. Agli indiani bi­­sogna aggiungere i neri schiavi, importati dall’Africa, il cui numero fu più grande in Brasile, ma che erano presenti anche, benché in proporzioni molto variabili, in questa o in quella colonia o viceregno dipendente dalla Corona spagnola.

b. Gli aristocratici e gli uomini di lettere

Indubbiamente, nel corso degli anni, sono venuti in Bra­sile, provenienti dalla Metropoli, anche perso­ne di li­vello più elevato, sia per l’istruzione, sia per la na­scita. Il che li abilitava a coprire cariche pubbli­che, civili o ecclesiastiche, di qualche importanza, diffonden­do così nell’ambiente rustico della Colonia nascen­te elementi di cultura.

Fra esse ebbero rilievo i governatori generali, i go­vernatori di parti del Brasile e i vicerè. Senza dimenticare i donatari delle Capitanie degli inizi — tutti nobili —, che giunsero a risiedere per un certo tempo nelle rispettive terre, come Duarte Coelho, di Pernambuco, e Martim Afonso de Sousa, di São Vicente.

Carlos Xavier Paes Barreto, parlando dei primi colonizzatori della Capitania di Pernambuco, afferma che «gli abitatori del Nordeste non sono stati scelti solamente nella massa ignorante. […] Molti di coloro che approdarono nella Nova Lusitania erano discen­den­ti di magistrati e di funzionari statali di valore» (7).

E lo storico Alfredo Ellis Jr. completa il quadro: «Era naturale che il Portogallo mandasse in Brasile gente di ogni estrazione sociale.

«Se è vero che, fra gli abitatori del Brasile, predominava la borghesia, inevitabilmente vennero da queste parti, nei primi tempi, persone della vecchia aristocrazia, soggetti blasonati, che spesso avevano le proprie stirpi rappresentate nella sala di Cintra» (8).

A proposito degli elementi della nobiltà lusitana ve­nuti ad approdare in Brasile, Oliveira Lima preci­sa che «non furono i grandi nobili, i potenti rappresentanti delle casate di grande lignaggio, […] a recarsi oltremare: furono i rappresentanti della petite noblesse, […] nobili dimenticati o figli di qualcuno, che costituivano la casta guerriera» (9).

E Francisco José Oliveira Vianna aggiunge che «fu proprio questa piccola nobiltà a fornire il maggior numero di elementi nobili sia alla nobiltà brasiliana che a quella ispanoamericana. Era gente con mezzi modesti e anche impoverita, che emigrava da queste parti per “tentare l’America”, nella speranza di liberarsi dalla situazione opprimente, nella quale viveva nella Penisola» (10).

c. Le esigenze della fede

Secondo certi commentatori della storia del Brasi­le, la colonizzazione portoghese veniva fatta con l’assoluta prevalenza di intenti economici. In essa, l’ideale dell’evangelizzazione aveva una posi­zio­ne molto secondaria. Oppure, forse, funzione di sempli­ce apparenza, per rispetto a vecchie tradizioni religio­se, che conservavano ancora influenze residue nella Metropoli lusitana.

La verità non è questa. L’impegno missionario aveva grande importanza, nella mente sia dei re che di tutto il popolo portoghese.

Il Regimento del 17 dicembre 1548, emanato da Tomé de Sousa a nome di re don Giovanni III, diceva: «La ragione principale che mi ha spinto a man­dare a popolare le citate terre del Brasile fu che la gente del posto si convertisse alla nostra santa fede cattolica» (11).

Perciò, a tutti i primi abitatori, sia che fossero popolani, borghesi o nobili, provenienti dal Portogallo o da altre nazioni, veniva richiesta l’adesione al­l’integrità della fede cattolica.

«Il Brasile si è formato senza che i suoi colonizzato­ri si curassero dell’unicità o della purezza della razza. Per quasi tutto il secolo XVI la Colonia fu spa­lancata agli stranieri, mentre alle autorità colo­nia­­li importava solamente che fossero di fede o di religione cattolica. Handelmann ha notato che, per essere ammesso come colono del Brasile nel secolo XVI, l’esigenza principale era la professione della religione cristiana: “soltanto cristiani — e in Porto­gallo questo significava cattolici — potevano avere appezzamenti di terra da coltivare”. […]

«Durante certe epoche coloniali venne osservata la pratica che un frate si recasse a bordo di ogni naviglio giunto in un porto brasiliano per esaminare la coscienza, la fede, la religione dell’arrivato. Allora, ciò che fermava l’immigrante era l’ete­ro­dos­­sia: la macchia di eretico nell’anima e non la febbre mongola nel corpo. Costituiva problema la salute religiosa. […] Il frate si recava a bordo per esaminare l’ortodossia dell’individuo come oggi si esa­minano la sua salute e la sua razza. […]

«“Il portoghese trascura la razza e si considera uguale a chi professa la stessa religione da lui professata”.

«Questa solidarietà si è conservata fra noi magnifi­ca­mente durante tutta la nostra formazione colonia­le, unendoci contro i calvinisti francesi, contro i riforma­ti olandesi, contro i protestanti inglesi. Perciò è così difficile separare veramente il brasiliano dal cat­to­li­co: il cattolicesimo è stato realmente il cemen­to del­la nostra unità» (12).

2. Genesi e raffinamento delle «élite» iniziali nel territorio popolato

L’insieme di questi fattori venne formando lenta­men­­­te e con spontaneità organica una scelta di ele­menti diversificati fra loro, un’élite — o, se si pre­ferisce, i rudimenti di un’élite — ancora rozza e ru­de nella maggior parte dei suoi membri, come roz­ze e rudi erano le condizioni prime di esistenza in questo continente di natura esuberante e selvaggia.

I componenti di questa élite iniziale mantennero fra loro rapporti sociali con una certa uniformità di tratto e di stile di vita. Non era immaginabile altro, da­to il loro piccolo numero e la pressione psicologi­ca esercitata dalle avverse condizioni di esistenza imposte dalla natura ancora quasi non lavorata dal­l’uomo.

Con il passare del tempo e il succedersi delle generazioni, in questa categoria si vennero formando fascie e si istituirono differenziazioni.

a. Nobilitazione per fatti d’arme

Facevano parte della fascia più elevata gli individui che si erano segnalati per atti di coraggio militare, sia nelle lotte contro gli indiani, che nelle guerre di espulsione degli eretici stranieri — soprattutto olandesi e francesi (13) — che erano venuti in Brasile con propositi contemporaneamente mercan­ti­­li e religiosi.

In genere, il carattere della nobiltà nel Vecchio Con­tinente era questo. Infatti, la classe militare per ec­cellenza era quella costituita dai signori feudali: coloro che versavano il sangue, più dei loro conterra­nei, per il bene comune spirituale e temporale. Questo sacrificio poneva i nobili in una condizione ana­loga a quella dei martiri. E l’eroismo che mostravano quasi sempre era una prova dell’integrità spi­ri­tua­le con cui accettavano il proprio sacrificio. Di conseguenza, acquisivano diritto a privilegi ecce­zio­nali e a onorificenze.

Quindi, l’elevazione del combattente popolano alla nobil­tà oppure la promozione del combattente nobile a un grado superiore di nobiltà costituivano la ricompensa più giusta e adeguata al valore milita­re.

Com’è naturale, questo modo di considerare la classe militare si riflettè nella formazione della società coloniale brasiliana.

Francisco José Oliveira Vianna afferma che molti giustificavano la richiesta di terre «mostrando le cicatrici della lotta, le mutilazioni del soldato, il corpo mutilato dalla spada del normanno, del bretone o del fiammingo, o trapassato dalla freccia del selvaggio. In questo modo, entravano in possesso della terra — il che costituiva la principale nobiltà […]. Allora la bravura militare dignificava l’individuo — e gli garantiva titoli alla nobiltà e all’aristocrazia» (14).

b. Nobilitazione per atti di valore nel dissodamento del territorio

Oltre a quanti si distinguevano per il coraggio militare, ve n’erano altri che emergevano per la loro bravura in campi diversi, perché, «come nel Medioevo, nella società coloniale la selezione avviene […] per la capacità , per il coraggio, per la “virtù”, nel senso romano dell’espressione» (15).

Perciò, appartenevano alla fascia più alta della so­­­cietà anche quanti si distinguevano nel difficile compito di dissodare l’immensa parte incolta del ter­ritorio bra­siliano, «quei titani dei tempi coloniali — stirpe no­tevole, i cui figli di aspetto feroce, vestiti di cuoio e con il braccio robusto, impugnando il trom­­bone con­quistatore, penetrarono nelle foreste di­sabita­te e inospitali dell’interno, al sud e al nord del paese, e che, secondo l’espressione di Taunay, “fe­cero retro­ce­dere i meridiani alessandrino e torde­si­­glia­no fin qua­si ai piedi delle Ande, attraverso la sel­va straordinariamente asp­ra, popolata di pericoli e di misteri”» (16).

 

c. Nobilitazione per il dominio sulla terra e sugli uomini

Nella misura in cui le popolazioni del Brasile aumentavano, si sviluppavano anche le attività in sé pacifiche. Ossia, l’agricoltura e l’allevamento acqui­sta­vano spazio nelle immense terre date in concessione, a titolo di sesmaria, dai re di Portogallo.

Inoltre queste attività si circondavano di eroismo: «Durante il periodo coloniale, la conquista della ter­ra presenta un carattere sostanzialmente guerrie­ro. Ogni latifondo dissodato, ogni sesmaria “popolata”, ogni recinto costruito, ogni zuccherificio “fab­bricato”, ha come premessa necessaria una dif­ficile impresa militare. Dal nord al sud, le fonda­zio­­ni agricole e pastorizie si fanno con la spada in mano. […]

«Il procedimento generalmente seguito nella con­qui­­sta consiste nella “colonizzazione” preliminare, cioè nel dissodamento della terra, nell’allontana­men­­to degli indiani, nell’eliminazione degli animali feroci, nella preparazione dei campi, nella forma­zio­ne dei greggi. Quindi, il “colono” chiede la con­cessione della sesmaria sulla base di questi ser­vizi» (17).

Così fanno la loro comparsa i grandi proprietari, dotati di patrimoni consistenti e redditizi, che costrui­sco­­no per sé e per i propri, in campagna o nelle città, residenze il cui fasto spesso è arrivato a suscitare sbigottimento. E che hanno talora assunto un ca­rat­te­re di fortificazione analogo a quello dei castelli medioevali, come poi vedremo.

Erano patriarchi alla testa di una discendenza numerosa, che esercitavano diritti signorili su una enorme quantità di soggetti, schiavi o uomini liberi. Non di rado erano investiti di qualche potere proprio dello Stato.

In proposito, João Alfredo Corrêa de Oliveira (18), tracciando il profilo di suo zio e suocero il barone di Goiana, osserva: «Apparteneva alle generazioni appassionate che facevano un culto di queste memorie, le generazioni forti che amavano la terra, nella quale vedevano splendere l’oro della loro libertà e in­­dipendenza, e da cui traevano come raccolto pro­dotto ricchezze e virtù. Vivere per sé della pro­­pria fatica e della grazia di Dio; accumulare con il risparmio che è saggio e con la sobrietà che è salutare; esercitare una professione che non mira a fab­brica altrui, né abbisogna di pubblicità e di men­zogne; sentirsi solidamente radicato in una proprietà che non può essere distrutta, che resta mentre le altre si svalutano e passano; avere una fonte inesauribile di sussistenza com’è il terreno ben coltivato; ricavare da esso energie, perseveranza e pazienza — sembrava loro, ed è, la condizione più sicura e degna. Per queste generazioni, la terra ereditata era un fedecommesso di famiglia e un blasone che si valutava più della vita, nella stessa misura dell’onore» (19). 

Il profilo morale e la condizione giuridica del grande proprietario terriero era simile a quelli del signore feudale. E, in questo modo, l’organizzazione socioeconomica del Brasile Colonia è stata spesso paragonata dagli storici al feudalesimo.

Sarebbe incomprensibile se tale categoria di perso­ne non si fosse incorporata ipso facto all’élite sociale dominante, perché — come sottolinea Francisco José Oliveira Vianna descrivendo «quanto accade in tutto il paese nei secoli coloniali» e ci­­tando un autore del Nordeste — «possedere terre ere­ditate era segno di nobiltà, e il dominio doveva re­stare indivisibile nelle mani della discendenza» (20).

d. Nobilitazione per l’esercizio del comando in cariche civili e militari

Con il passare del tempo, altre categorie di persone sarebbero entrate in questo gruppo scelto attraver­so un ingresso diverso.

L’esercizio del comando è sempre stato considera­to come intrinsecamente onorifico, anche nella sfera privata, dal momento che sono più onorevoli le funzioni di chi dirige di quelle di chi ubbidisce o serve.

Quando il comando è esercitato nella sfera pubblica, in nome dello Stato, per designazione di un’auto­ri­tà superiore, il suo detentore nell’esercizio della funzione elevata incarna, per così dire, il potere pubblico. In queste condizioni, gli devono essere prestati onori proporzionati. Infatti, è come una proiezione del detentore del potere sommo. Questa pre­minenza dura finché il titolare è investito della sua funzione.

Quando ne è spogliato, e ridotto alla stato di semplice privato, si trova in una situazione di capitis diminutio. Diventa una persona isolata e incompleta, come un mollusco strappato alla conchiglia dalle vi­cissitudini dell’esistenza nel mare. Si potrebbe di­re che il resto della vita diventa per lui una ma­linconica attesa della morte.

Ma, in Europa — dalla quale il Brasile ha ricevuto, con la fede e con la civiltà, i modi di sentire e di agire — era frequente la funzione pubblica vitalizia, qualora, per la sua natura, esigesse per il suo eserci­zio il completo assorbimento dei pensieri e delle at­tività del titolare. Al punto che egli s’identificava con la sua funzione. Si pensava che, dedicato in questo modo a essa, era in condizioni di consacrare alla funzione il meglio della sua personalità; e che l’esercizio di essa non era tanto separato dagli in­teressi personali, come nei sistemi di governo e di am­ministrazione generalmente seguiti oggi. Il carat­te­re vitalizio nella carica creava condizioni propizie all’onestà e alla dedizione del titolare.

Se queste considerazioni vengono applicate alle funzioni di rilievo, gradatamente più importanti e più complesse, esistenti nel piccolo apparato statale in continua crescita nel Brasile Colonia, si comprende come il loro esercizio incorporasse naturalmente i rispettivi titolari all’élite.

Elencando le diverse qualità e titoli che dovevano ave­re gli abitanti delle città e dei borghi brasiliani per essere considerati nobili, Nelson Omegna ricorda: «Nelle categorie più elevate si potevano contare i funzionari della Corona e i militari» (21).

Anche quando le funzioni di rilievo erano transito­rie, qualunque elemento di distinzione inerente a esse ri­maneva attaccato al rispettivo titolare che, perden­do­lo, poteva però continuare ad appartenere all’élite sociale, come sua moglie e i suoi figli: «Chi è re, non perde mai la maestà».

d. L’essenza familiare dell’«élite»

Nei paragrafi precedenti sono stati descritti i diversi modi attraverso i quali gli individui, grazie al loro valore personale, emergevano e avevano ac­cesso alla condizione di membri dell’élite sociale che si sarebbe poi costituita come «nobiltà della terra».

Ma, siccome l’aristocrazia è un’istituzione essen­zial­­mente di carattere familiare, la promozione so­ciale raggiunta dall’individuo si estendeva ipso facto alla moglie: «Erunt duo in carne una» (Mt. 19, 6), dice il Vangelo degli sposi. E, com’è naturale, appartenevano allo stesso gruppo scelto i figli. Quindi, il nucleo iniziale della futura «nobiltà della terra» era più che un nucleo di individui, un nucleo di famiglie.

«La famiglia — come mette in evidenza Gilberto Freyre —, non l’individuo, e neppure lo Stato né nessuna compagnia commerciale è, a partire dal secolo XVI, il grande fattore colonizzato­re nel Brasile […] e si costituisce nell’aristocrazia coloniale più potente dell’America» (22).

3. La «nobiltà della terra»

a. Elementi costitutivi e processo di formazione

Lentamente, i primi colonizzatori, aureolati dal prestigio di fondatori del Nuovo Mondo; i coraggiosi e talora eroici dissodatori delle terre dell’interno; gli eroici difensori del territorio contro lo straniero e contro l’eretico; i primi sfruttatori della ricchezza agro­pecuaria, che avevano posto le basi di un’econo­mia più stabile, influenti per la rilevanza dei rispetti­vi patrimoni; i funzionari incaricati dell’amministra­zio­ne alta e media, rispettati per la natura specifica dei loro poteri, ebbero discendenti che si legavano fra loro indiscriminatamente con il matrimonio. Costoro abitavano residenze più spaziose, ornate non raramente con oggetti provenienti dalla Metropo­li oppure dai nuclei portoghesi stabilitisi in India o nell’Estremo Oriente, in città che, a loro volta, si venivano costituendo come nuclei urbani sempre più popolosi, abbelliti da chiese di alto valore ar­tistico, soprattutto nella Bahia, in Pernambuco e nel Minas Gerais.

Le arti e la cultura della Colonia si arricchivano quando i brasiliani, che andavano a studiare a Coi­mbra e nelle altre università europee, ritornavano in Brasile, e vi rendevano possibile il funziona­men­­to di istituti d’insegnamento superiore. Il che com­portava un vero e proprio atto di liberazione cul­turale.

Questa élite assunse a tal punto i caratteri di un’aristocrazia in formazione, o già formata, da venire indicata correntemente come «nobiltà della terra».

Anche Brandónio, autore del Diálogo das Gran­de­­zas do Brasil, mette in rilievo questo processo di formazione delle élite quando risponde all’ob­bie­zio­­ne secondo cui in Brasile non vi poteva essere un’autentica nobiltà perché non era stata nobile la maggior parte dei primi colonizzatori: «A questo proposito non vi è dubbio. Ma dovete sapere che questi colonizzatori, che per primi sono venuti a co­lonizzare il Brasile, in breve tempo, grazie all’am­piez­za del territorio, divennero ricchi, e con la ric­chezza vennero allontanando da sé la cattiva na­tura, di cui davano prova a causa dei bisogni e del­le necessità che pativano nel Regno. E i loro figli, ormai intronizzati con la stessa ricchezza e governo del territorio, abbandonarono la vecchia pelle, come il cobra, servendosi in tutto di forme educatissi­me, al che si deve aggiungere l’esser venuti poi in questo Stato molti uomini nobilissimi e di buoni na­tali, che vi si sposarono, e si legarono con legami di parentela con quelli del luogo, così che si è fatto fra tutti una miscela di sangue molto nobile» (23).

Anche le parole di Luís Palacin sulla formazione di questa élite in Brasile sono concludenti: «Così, con l’adozione di forme di vita, di ideali comuni e con l’esercizio degli stessi privilegi, alla fine del secolo XVI si veniva formando in questo luogo, dalla fusione di elementi tanto diversi, un’autentica nobiltà coloniale» (24).

Questa nobiltà era — secondo lo stesso autore — «for­mata dagli alti funzionari e dai loro familiari, dai senhores de Engenho e dai grandi proprietari ru­rali, dai commercianti più dotati — i comerciantes de sobrado, come sottolinea il professor França —, dai primi colonizzatori. Questo gruppo, benché suf­ficientemente aperto dalle condizioni di un nuovo insediamento, ma che con il tempo tende a chiu­dersi sempre più, costituisce gli homens bons, registrati nei libri delle camere municipali» (25).

Questo processo organico di differenziazione delle classi nella società coloniale è stato messo in risalto da Fernando de Azevedo, con riferimento all’organizzazione sociale, che era «profondamente differenziata in classi o, meglio, in “strati”, la cui posizione, se non era sempre definita dalla legge, era regolata dalla tradizione e dai costumi. Nella fascia superiore, si conservava, con i suoi privilegi, come la giurisdizione privata, e con le sue immunità, come, all’inizio, l’esenzione fiscale, l’aristocrazia rurale, fluttuando sulla borghesia (mercanti e artigiani) e su contadini e schiavi, all’interno di questo tipo di organizzazione feudale, che non fu trapiantata dalla Metropoli, ma sorse nella Colonia, come un’istituzione spontanea, determinata dalle speciali condizioni della colonizzazione delle terre scoperte» (26).

b. Caratteristiche che la distinguevano dalla nobiltà europea

In questo modo si è formata la «nobiltà della terra», che fu, nel periodo coloniale brasiliano, il vertice della struttura sociale.

La nuova Colonia era pervasa dalla giusta convin­zio­ne — allora corrente anche in Europa — che alle élite spetta la promozione e la scelta di orientamenti del progresso nel paese.

Quindi, era urgente che queste élite si costituissero in Brasile in modo reale e vigoroso, perché vigorosa fosse la promozione e saggia la scelta degli orientamenti.

La necessaria fretta nella formazione di questa élite portò un gruppo iniziale di colonizzatori ad assimilarne altri che, godendo a titoli diversi di me­ritato rilievo, potevano adeguatamente incorpo­rar­­si in tale nucleo primo senza disonorarlo né de­gradar­lo.

In questo modo, la «nobiltà della terra» allo stato germinale venne assumendo le dimensioni necessarie, incorporando singoli e famiglie che, a titoli pa­ralleli, potevano equipararsi a essa.

Questa via scelta in modo organico, in funzione delle necessità del luogo, non era quella che era stata seguita in diversi paesi d’Europa, nei quali le élite parallele si erano formate e si erano mantenute per lungo tempo differenziate dalla nobiltà. In seguito, diverse di esse giunsero a costituire autentiche nobiltà, ma parallele alla nobiltà per eccellenza, che continuava a essere militare.

In Europa l’ascesa delle élite non nobili potrebbe essere vista come costituita da tre tappe:

1. Elementi del popolo, simili fra loro per qualche rilievo, si costituiscono in un gruppo che diventa gradualmente una classe;

2. In questa classe si viene accumulando un deposi­to di tradizioni di servizio, con abnegazione e con successo, in un certo settore operativo, il bene co­mune spirituale o temporale. Essa cresce continua­men­te in rilievo e in rispettabilità;

3. Ormai parallela alla nobiltà, si costituisce con la forza del costume o della legge in una nobiltà di­­mi­nutae rationis, com’è accaduto in Francia per di­verso tempo alla noblesse de robe, la nobiltà di to­ga.

Rapporti sociali, stili di vita, matrimoni vengono stringendo sempre più i legami fra le due nobiltà.

Allora sopravviene la Rivoluzione del 1789. Ed è difficile sapere quale sarebbe stato l’esito di questa evoluzione se l’una e l’altra nobiltà non fossero state distrutte dall’ecatombe. L’ipotesi più probabile è che si sarebbero fuse.

Tutto questo itinerario storico, dettato dalle circo­stan­­ze specifiche dello sviluppo sociale e politico del­l’Europa, è stato quindi divergente in modo sensibile dall’orientamento assunto dal processo di sviluppo della «nobiltà della terra» in Brasile.

 In quale misura la «nobiltà della terra» era una nobiltà autentica, riconosciuta come tale dai poteri pubblici, la cui istanza più elevata, durante tutto il periodo coloniale, aveva sede a Lisbona, capitale del Regno? E quali riflessi ha avuto su quest’ordine di cose il trasferimento della Corte portoghese in Bra­sile nel 1808, dove rimase fino al ritorno in Portogallo nel 1821? Che ripercussioni hanno avuto sulla «nobiltà della terra» l’Indipendenza e l’Impero? E la Repubblica? Sono altrettante questioni sug­gerite dal precedente sguardo d’insieme. Ne tratteremo di seguito alcune.

Plinio Corrêa de Oliveira

 

Note:

(1) Sulla nobiltà brasiliana, cfr., per esempio, António José Victoriano Borges da Fonseca, Nobiliarchia Pernambucana, Biblioteca Nacional, Rio de Janeiro 1935; Carvalho Franco, Nobiliário Colonial, San Paolo, 2a ed.; Fernando de Azevedo, Canaviais e Engenhos na Vida Política do Brasil, Edições Melhoramentos, 2a ed.; Gilberto Freyre, Interpre­ta­ção do Brasil, José Olympo Editora, Rio de Janeiro 1947; Ten. Col. Henrique Wiederspahn, A Evolução da Nobreza Cavalheiresca e Militar Luso-Brasileira desde o Discobrimiento até a República, in Boletim do Colégio de Armas e Consulta Heráldica do Brasil, n. 1, 1955; J. Capistrano de Abreu, Capítulos da Historia Colonial (1500-1800), Sociedade Ca­pi­stra­no de Abreu, 4a ed., 1954; Luís Palacin, Sociedade Colonial. 1549 a 1599, Universidade Federal de Goiás, Goiânia 1981; Manoel Rodrigues Ferreira, As Repúblicas Minicipais no Brasil (1532-1820), Prefeitura do Municipio de São Paulo, San Paolo 1980; Nelson Omegna, A Cidade Colonial, José Olympo Editora, Rio de Janeiro 1961; Nelson Werneck Sodré, Formação da Sociedade Brasileira, José Olympo Editora, Rio de Janeiro 1944; Nestor Duarte, A Ordem Privada e a Organização Política Nacional, Companhia Editora Nacional, San Paolo 1939; Francisco José Oliveira Vianna, Instituções Políticas Brasileiras, José Olympo Editora, Rio de Janeiro 1955; Rui Vieira da Cunha, Estudo da Nobreza Brasileira, Arquivo Nacional, Rio de Janeiro 1966; e Idem, Figuras e Fatos da Nobreza Brasileira, Arquivo Nacional, Rio de Janeiro 1975.

(2) Sesmaria è il nome della terra incolta o abbandonata che i re di Portogallo davano in concessione ai coltivatori o sesmeiros.

(3) F. J. Oliveira Vianna, Populações Meridionais do Brasil, Companhia Editora Nacional, San Paolo, 3a ed., vol. I, p. 15.

(4) Alfredo Ellis Jr., Amador Bueno e seu tempo, Colecção Historica da Civilização Brasileira, vol. 7, Universidade de São Paulo Boletim n. LXXXVI, San Paolo 1948, p. 61.

(5) Oliveira Lima, O movimento da Independência. 1821-1822, Companhia Melhoramentos de São Paulo, San Paolo 1922, pp. 28-29.

(6) Pedro Calmon, História do Brasil, Livraria José Olympo Editora, Rio de Janeiro 1959, vol. I, p. 170.

(7) Carlos Xavier Paes Barreto, Os Primitivos Colonizadores Nordestinos e seus Descendentes, Editora Melso, Rio de Janeiro 1960, p. 20.

(8) A. Ellis Jr., op. cit., p. 62.

(9) Oliveira Lima, op. cit., p. 27.

(10) F. J. Oliveira Vianna, Instituções Políticas Brasileiras, José Olympo Editora, 2a ed., Rio de Janeiro 1955, vol. I, p. 174.

(11) Regimento de Tomé de Sousa, Biblioteca Nacional de Lisboa, Arquivo da Marinha, liv. 1 de ofícios, de 1597 a 1602.

(12) G. Freyre, Casa-Grande & Senzala, Editora José Olympo, 5a ed., San Paolo 1946, vol. I., pp. 121-123 [Nella trad. it., Padroni e schiavi. La formazione della famiglia brasiliana in regime di economia patriarcale, 2a ed., Einaudi, Torino 1965, condotta sull’ed. brasiliana del 1958, benché le conclusioni a cui perviene il sociologo brasiliano non siano assolutamente diverse da quelle citate, la rielaborazione del testo impedisce di ritrovare il riferimento letterale].

(13) Nei secoli XVI e XVII, l’influenza degli eretici nelle terre che oggi costituiscono l’Olanda e parte del Belgio era molto marcata. Va segnalato per capire sostanzialmente le invasioni olandesi in Brasile, perché il cattolicesimo, negli ultimi decenni, ha fatto tali progressi in Olanda, che l’opinione pubblica non la considera più come grande baluardo internazionale del protestantesimo.

Qualcosa di simile si può dire della Francia. In essa il protestantesimo non ha avuto una preponderan­za definita come in Olanda, ma ha costituito una forza significativa, che Luigi XIV cercò di annientare con la revoca dell’Editto di Nantes, nel 1685, e con le famose dragonnades. Né l’una né l’altra misura riuscirono ad annientare il protestantesimo in Francia. Ma, obbligando i protestanti che non si piegavano a lasciare in massa il territorio francese, ha inferto a questa religione un colpo profondo, da cui non si è mai ripresa. In questo paese la religione protestante — soprattutto calvinista — è passata in una posizione completamente secondaria. Ma non era così al tempo dell’attacco di Ville­ga­­gnon a Rio de Janeiro.

L’attacco francese per sbarcare nel Maranhão ha avuto un carattere completamente diverso. Gli invasori francesi erano cattolici, e si deve a loro che la capitale della Stato abbia il nome di São Luís.

(14) F. J. Oliveira Vianna, Populações Meridionais do Brasil, cit., vol. I, pp. 177-178.

(15) Ibid., p. 102.

(16) L. Amaral Gurgel, Ensaios Quinhentistas, Editora J. Fagudes, San Paolo 1936, p. 174 [Il riferimento è alla determinazione dei termini geografici di espansione degli imperi spagnolo e portoghese, indicata prima da Papa Alessandro VI, nel 1493, a 100 miglia a occidente delle Isole Azzorre, nell’Oceano Atlantico; poi con il trattato di Tordesillas, nel 1494, a circa 370 miglia sempre a occidente dello stesso arcipelago (ndr)].

(17) F. J. Oliveira Vianna, O Povo Brasileiro e a sua Evolução, Ministério da Agricoltura, Indústria e Comércio. Directoria Geral de Estatística, Rio de Janeiro 1922, p. 19.

(18) Il Consigliere João Alfredo Corrêa de Oliveira, nato il 12 dicembre 1835, conosceva da vicino la condizione che descrive in queste parole. La sua famiglia era una delle più importanti fra quelle dei senhores de Engenho di Goiana, ed era legata da parentela e da matrimoni a quasi tutte le altre famiglie signorili del Pernambuco. Dotato di un’intelligenza eccezionale, si diplomò in Diritto nel Cur­so Jurídico de Olinda e iniziò una brillante carriera politica nella quale raggiunse le più alte cariche del regime imperiale, cioè quelle di senatore, di consigliere di Stato e di presidente del Consiglio dei Ministri. Fu uno degli esponenti più attivi del movimento abolizionista, e come presidente del Consiglio dei Ministri firmò, con la principessa Isabel, allora reggente dell’Impero, la cosiddetta Lei Aurea, del 13 maggio 1888, che abolì la schiavitù in Brasile.

Dopo la proclamazione della Repubblica nel 1899, João Alfredo Corrêa de Oliveira restò fedele agli ideali monarchici, fu membro del Directorio Monárquico, organo incaricato dalla principessa Isabel di orientare le azioni dei monarchici in Brasile. Morì a Rio de Janeiro il 6 marzo 1919. 

(19) João Alfredo Corrêa de Oliveira, O Barão de Goiana e sua Época Genealógica, in Minha Meninice & outros ensaios, Editora Massangana, Recife 1988, p. 56.

(20) F. J. Oliveira Vianna, Instituções Políticas Brasileiras, cit., vol. I, pp. 256-257.

(21) Nelson Omegna, A Cidade Colonial, Livraria José Olympio Editora, Rio de Janeiro 1961, p. 124.

(22) G. Freyre, Casa-Grande & Senzala, cit., vol. I., p. 107.

(23) Brandónio, Diálogo das Gran­de­zas do Brasil, Rio de Janeiro 1943, p. 155, apud Luís Palacin, Vieira e a visão trágica do Barroco, Hucitec/Pró-Memória e Instituto Nacional do Livro, p. 105 [Ambrósio Fernandes Brandão, ebreo convertito, è autore vissuto fra i secoli XVI e XVII, di cui non sono però note né la data di nascita né quella di morte, ma che si è radicato in Brasile intorno al 1583 come esattore dell’imposta sulla fabbricazio­ne dello zucchero. L’opera è datata 1618 (ndr)].

(24) L. Palacin, Sociedade Colonial — 1549 a 1599, Editora da Universidade Federal de Goiás, Goiânia 1981, p. 186.

(25) Ibid., p. 181.

(26) Fernando de Azevedo, Canaviais e Engenhos na Vida Política do Brasil, in Idem, Obras completas, 2a ed., vol. XI, Edições Melhoramentos, San Paolo, p. 86.

 

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