Il viaggio in Iraq, dice Papa Francesco, è stato un’esperienza di fraternità autentica, sia a livello interreligioso, sia all’interno della stessa comunità cristiana
di Michele Brambilla
L’udienza di mercoledì 10 marzo è dedicata, come accade di consueto dopo un importante viaggio apostolico, alla valutazione del recente pellegrinaggio di Papa Francesco in Iraq. Il Pontefice confida: «ho sentito forte il senso penitenziale di questo pellegrinaggio: non potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire, senza prendere su di me, a nome della Chiesa Cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande, come quella posta all’entrata di Qaraqosh. L’ho sentito in modo particolare vedendo le ferite ancora aperte delle distruzioni, e più ancora incontrando e ascoltando i testimoni sopravvissuti alle violenze, alle persecuzioni, all’esilio», ma il Santo Padre ha potuto constatare anche la grande gioia con la quale i cristiani iracheni testimoniano ogni giorno la loro fede. La gente «aspettava» la visita papale da almeno cinque anni, «e nei loro occhi c’era la speranza» teologale.
Il Papa ribadisce: «il popolo iracheno ha diritto a vivere in pace, ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà; Baghdad è stata nella storia una città di primaria importanza, che ha ospitato per secoli la biblioteca più ricca del mondo. E che cosa l’ha distrutta? La guerra. Sempre la guerra è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità», ma le responsabilità cambiano a seconda degli attori che calcano la scena della vicenda umana. Il Pontefice chiede: «chi vendeva le armi ai terroristi? Chi vende oggi le armi ai terroristi, che stanno facendo stragi in altre parti, pensiamo all’Africa per esempio? È una domanda a cui io vorrei che qualcuno rispondesse. La risposta non è la guerra ma la risposta è la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto e, in definitiva, è la sfida per il mondo intero: la fraternità».
Riecheggiano i toni del documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, ma anche dell’enciclica Fratelli tutti, che hanno trovato ulteriore conferma nell’incontro interreligioso avvenuto tra le rovine di Ur dei Caldei, città sumera dalla quale partì il patriarca Abramo: «Abramo è padre nella fede perché ascoltò la voce di Dio che gli prometteva una discendenza, lasciò tutto e partì. Dio è fedele alle sue promesse e ancora oggi guida i nostri passi di pace, guida i passi di chi cammina in Terra con lo sguardo rivolto al Cielo. E a Ur, stando insieme sotto quel cielo luminoso, lo stesso cielo nel quale il nostro padre Abramo vide noi, sua discendenza, ci è sembrata risuonare ancora nei cuori quella frase: Voi siete tutti fratelli», il “motto” dell’intero viaggio in Iraq. Il Papa rimarca che «l’occupazione dell’Isis ha causato la fuga di migliaia e migliaia di abitanti, tra cui molti cristiani di diverse confessioni e altre minoranze perseguitate, specialmente gli yazidi. È stata rovinata l’antica identità di queste città. Adesso si sta cercando faticosamente di ricostruire; i musulmani invitano i cristiani a ritornare, e insieme restaurano chiese e moschee. Fratellanza, è lì», una fratellanza molto concreta, alla quale esorta tutti sull’esempio dei cattolici polacchi: «vi ringrazio per le preghiere con le quali mi avete accompagnato in questo pellegrinaggio. Ringrazio anche per la vostra opera di misericordia in favore dei cristiani in Iraq e, particolarmente, a Mosul. Vi incoraggio a pregare per la fraternità e la pace nel mondo intero».
Mercoledì, 10 marzo 2021