di Michele Brambilla
L’Angelus della III domenica di Avvento, detta “Gaudete” dalla prima parola dell’introito della Messa («Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino»), non poteva non partire proprio dall’invito alla gioia che pervade tutta la liturgia del giorno. «In questa terza domenica di Avvento la liturgia ci invita alla gioia. Sentite bene: alla gioia. Il profeta Sofonia», ricorda Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 16 dicembre, «si rivolge con queste parole alla piccola porzione del popolo di Israele: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!” (cfr. Sofonia 3,14)».
Un invito, questo, che è rivolto a Gerusalemme, ma anche ai credenti di ogni epoca. «Gridare di gioia, esultare, rallegrarsi», prosegue il santo Padre: «questo è l’invito di questa domenica. Gli abitanti della città santa sono chiamati a gioire perché il Signore ha revocato la sua condanna (cfr v. 15). Dio ha perdonato, non ha voluto punire! Di conseguenza per il popolo non c’è più motivo di tristezza, non c’è più motivo di sconforto, ma tutto porta a una gratitudine gioiosa verso Dio, che vuole sempre riscattare e salvare coloro che ama». «E l’amore del Signore per il suo popolo è incessante, paragonabile», dice ancora Francesco, «alla tenerezza del padre per i figli, dello sposo per la sposa». La metafora nuziale è quasi una costante nei profeti veterotestamentari (molto evidente, per esempio, in Osea): Israele è un popolo piccolo e povero rispetto agli altri, ma ha dalla propria parte il vero Dio, che sempre lo riscatta.
Come si fa a non gioire di fronte ad un Dio così? Egli «dice alla Chiesa, a tutti noi: “Rallegrati, piccola comunità cristiana, povera e umile ma bella ai miei occhi perché desideri ardentemente il mio Regno, hai fame e sete di giustizia, tessi con pazienza trame di pace, non insegui i potenti di turno ma rimani fedelmente accanto ai poveri. E così non hai paura di nulla ma il tuo cuore è nella gioia”. Se noi viviamo così, alla presenza del Signore, il nostro cuore sempre sarà nella gioia. La gioia “di alto livello”, quando c’è, piena, e la gioia umile di tutti i giorni, cioè la pace».
Uno degli epiteti di Gesù è proprio “Re della pace”. «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (cfr. Gv 14,27), affermerà quel Re nei discorsi dell’Ultima Cena. La pace coincide esattamente con Lui, il vero festeggiato del Natale, che sulla croce manifesterà la propria misericordia. Si comprende allora il valore quasi “sacramentale” del presepe costruito nelle case: le statue di Gesù Bambino, che la pastorale giovanile della città di Roma è solita far benedire al Papa durante l’Angelus di questa domenica, portano in qualche modo nelle famiglie umane la grazia e il perdono di Colui che vi è effigiato. «Cari bambini, quando, nelle vostre case, vi raccoglierete in preghiera davanti al presepe, fissando lo sguardo su Gesù Bambino sentirete lo stupore» che sorge spontaneamente nell’uomo che si fermi a riflettere su Dio che si fa uomo e sulla particolare modalità che il Signore ha scelto per salvarci. Lo stupore «è vedere Dio: lo stupore per il grande mistero di Dio fatto uomo; e lo Spirito Santo vi metterà nel cuore l’umiltà, la tenerezza e la bontà di Gesù. Gesù è buono, Gesù è tenero, Gesù è umile. Questo è il vero Natale! Non dimenticatevi. Che sia così per voi e per i vostri familiari».