A Lecce il 23 maggio 1992, presentato nell’Aula Magna della Corte d’Appello il volume di Alfredo Mantovano, edito da Cristianità.
Il 23 maggio 1992, nell’Aula Magna della Corte d’Appello di Lecce, la Sezione Distrettuale dell’ANM, l’Associazione Nazionale Magistrati, ha organizzato la presentazione del volume di Alfredo Mantovano La giustizia negata. L’esplosione della criminalità fra crisi dei valori ed emergenza istituzionale, edito da Cristianità con una presentazione del professor Mauro Ronco, ordinario di Diritto Penale nell’Università di Modena nonché esponente di Alleanza Cattolica. Di fronte a un pubblico di circa quattrocento persone, fra cui numerosi magistrati e avvocati, ha introdotto l’incontro S. E. il dottor Silvio Memmo, presidente della Corte d’Appello di Lecce, il quale, traendo spunto dal capitolo dell’opera dedicato ai presupposti ideologici del nuovo codice di procedura penale, ha sottolineato l’importanza che la legge non sia ritenuta come assolutamente svincolata da ogni riferimento alle norme oggettive iscritte nella coscienza di ciascun uomo.
L’alto magistrato ha fatto propria, condividendola, la polemica, contenuta nel volume, nei confronti della scuola del positivismo giuridico contemporaneo, che considera pericoloso il tendere nel processo all’accertamento della verità sostanziale e appiattisce i concetti di giusto e di ingiusto alla semplice conformità o difformità rispetto alla norma positiva; tali concetti hanno invece un valore effettivo, e a essi è necessario riferirsi per l’affermazione della giustizia.
Ha quindi preso la parola il dottor Marcello Dell’Anna, pretore in Lecce e presidente della Sezione Distrettuale leccese dell’ANM, il quale ha osservato che il modo di guardare la magistratura da parte delle gente comune è mutato nel giro di pochi anni, se è vero che i giudici “dalle manette facili” sono diventati in così breve tempo i giudici “dalle scarcerazioni facili”: ciò è però dipeso non da cambiamenti radicali nella condotta dei magistrati, come taluno ha voluto far credere, bensì dal pendolarismo che ha caratterizzato la produzione delle leggi in Italia negli ultimi anni, e in particolare delle leggi relative alle misure cautelari di limitazione della libertà personale.
Merito dell’opera La giustizia negata. L’esplosione della criminalità fra crisi dei valori ed emergenza istituzionale è, secondo il dottor Marcello Dell’Anna, quello di spiegare anche ai non addetti ai lavori che la crisi è di leggi prima e più che di comportamenti di coloro che sono chiamati ad applicarle, e che riforme come quelle riguardanti il ruolo del pubblico ministero e l’obbligatorietà dell’azione penale, delle quali si tratta nel volume, accentuerebbero la crisi piuttosto che avviarla a soluzione; altro merito è quello di ricordare che ogni riferimento alla “questione morale” non può non tradursi nel riferimento a un diritto la cui subordinazione ai valori assoluti sia fondamento e garanzia di reale giustizia: per questo quando la norma si stacca dal valore assoluto della giustizia e della morale, la denuncia di quella norma diventa doverosa.
È seguito l’intervento del dottor Mario Cicala, consigliere alla 1a sezione civile della Suprema Corte di Cassazione e presidente dell’ANM, il quale, collegandosi alla parte dell’opera dedicata alla riforma processuale penale, ha sostenuto che il nuovo codice di procedura penale, che è anche il primo codice dell’Italia repubblicana, appare l’espressione di uno Stato che non crede in sé stesso, poiché non è organizzato in modo tale da consentire l’efficace repressione del crimine, nel rispetto di regole fondamentali di civiltà, ma pone l’autorità giudiziaria in una posizione di equidistanza fra lo Stato medesimo e la delinquenza, realizzando in concreto una concezione “ludica” del processo: il giurista migliore è non già quello che contribuisce all’acclaramento, in tutto o in parte, del fatto oggetto del giudizio, ma colui che crea le maggiori difficoltà formali all’avversario, fino ad annullarne il lavoro svolto; e nella maggior parte dei casi ciò accade da parte dell’avvocato difensore nei confronti del pubblico ministero.
L’esito è quella “negazione” della giustizia descritta nel volume; inoltre, la stessa classe politica che ha voluto la riforma processuale non ha però il coraggio di accettarne le conseguenze, quali costi obbligati di una scelta “lassista”: trova più comodo scaricare la colpa sul giudice che, in applicazione della legge, scarcera o pone agli arresti domiciliari; essa poi, invece di porre mano a una riforma organica nella direzione opposta a quella seguita, vara provvedimenti-tampone che accrescono la confusione e il disorientamento.
Secondo il dottor Mario Cicala, La giustizia negata. L’esplosione della criminalità fra crisi dei valori ed emergenza istituzionale costituisce un valido stimolo alla riflessione non sui singoli provvedimenti che potrebbero migliorare questo o quell’aspetto delle vicende giudiziarie, ma sul valore del processo penale come strumento volto a cercare la verità sostanziale nel rispetto dei princìpi fondamentali: una verità che non può essere disprezzata come inesistente, riproponendo la domanda retorica di Pilato “quid est veritas?”. E per questo il presidente dell’ANM ha formulato l’auspicio che l’opera, che ha detto di condividere per intero, rappresenti per chi la leggerà, pur nella diversità delle angolazioni di principio, un aiuto alla meditazione e alla discussione sul momento difficile che l’Italia attraversa, e sull’importanza che ha la considerazione del profilo etico per la soluzione di problemi anche molto concreti.
L’avvocato Vittorio Aymone, presidente dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Lecce, pur ammettendo le difficoltà derivanti sul piano applicativo da alcuni aspetti del nuovo codice di procedura penale, e la necessità dei relativi aggiustamenti, non ha tuttavia condiviso la critica radicale alla riforma del 1988, sostenendo che la riforma, cui egli ha contribuito essendo stato componente della Commissione consultiva sulla prima legge delega, non ha dato buona prova anche per la carenza di uomini e di mezzi che connota l’amministrazione della giustizia.
L’avvocato Vittorio Aymone ha menzionato spesso, nel suo intervento, l’ultimo capitolo del volume, intitolato Legalità “formale” e illegalità di sostanza, nel quale ha indicato la chiave di lettura dell’intero lavoro, poiché quelle pagine, a suo avviso, individuano gli elementi di crisi, manifestatisi soprattutto a partire dagli anni Sessanta, che hanno portato al distacco dell’azione quotidiana dai valori oggettivi e assoluti, prima sentiti a livello diffuso. Ne consegue che va condiviso il richiamo al monito pontificio a un riscatto morale, senza il quale è illusorio sperare nel superamento della crisi della giustizia e delle leggi e nella riaffermazione della certezza che vivere onestamente non è inutile.
A conclusione dell’incontro il dottor Alfredo Mantovano ha ringraziato gli intervenuti e i presenti per l’attenzione dimostrata non solo nei confronti dell’opera, e della casa editrice che l’ha pubblicata, ma anche di una problematica che, per i suoi innumerevoli risvolti, è di interesse vitale per tutte le persone: un’attenzione — quella rivolta alla considerazione dei vari aspetti di “giustizia negata” — che non può non svelare il desiderio sincero di affermazione della vera giustizia.
Dell’incontro hanno dato notizia, sia prima che dopo il suo svolgimento, i settimanali Voce del Sud e L’Ora del Salento, i quotidiani La Gazzetta del Mezzogiorno e Quotidiano di Lecce, e le emittenti televisive Canale 8, Telerama e Tele Onda, che hanno realizzato servizi e interviste.