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La gloria divina incastonata nel marmo

13 Ottobre 2018 - Autore: Michele Brambilla

di Michele Brambilla

Quando il cardinal Carlo Borromeo (1538-1584) fece il proprio ingresso solenne a Milano come nuovo arcivescovo, nel 1564, portò con sé da Roma i fermenti spirituali e artistici che sorgevano dagli ordini religiosi della Riforma cattolica, nonché i decreti dell’appena concluso Concilio di Trento (1545-1564). Le visite pastorali permisero subito a san Carlo di constatare lo stato pietoso di gran parte dell’edilizia ecclesiastica lombarda. Integrando il tradizionale cristocentrismo dell’arte e della teologia milanesi con gli spunti che gli provenivano dall’architettura gesuita, l’arcivescovo trasformò il presbiterio del Duomo nell’applicazione letterale dei criteri tridentini.

Collocò infatti sull’altare maggiore il tabernacolo eucaristico e lo fece sormontare da un grande baldacchino bronzeo, a sua volta coperto da un grande velo, il padiglione, che richiamava il Tempio di Gerusalemme, volendo segnalare così che lì si è fermata la gloria divina. Fece quindi rialzare e transennare il presbiterio, in maniera tale che fosse ben visibile la distinzione gerarchica tra clero e laicato. Le balaustre avrebbero poi insegnato la maniera più riverente per ricevere Cristo nella Comunione sacramentale. Ai lati del presbiterio sorsero due grandi organi e, soprattutto, due enormi pulpiti, uno cornu Evangelii (a sinistra) e uno cornu Epistulae (a destra) per le letture festive e la predicazione. Fece chiudere i transetti, fino ad allora dotati di portali, affinché i mercanti non entrassero più in chiesa con i carri e si creasse invece, nonostante la presenza di ben cinque navate, quell’ambiente raccolto tipico delle chiese gesuite a croce latina.

Nacque così il modello definito “borromaico”, che fu riprodotto nelle chiese parrocchiali di tutto il territorio ambrosiano e che si concentrò soprattutto nella ridefinizione del presbiterio. La croce latina preferita dai Gesuiti non era infatti rintracciabile dovunque, tuttavia anche le chiese a navata unica ebbero l’abside sopraelevata e cintata, l’altare detto “a tempietto” con il tabernacolo al centro, ai lati del presbiterio uno o due pulpiti, protesi verso la navata. Per l’arco che delimita l’abside si recuperò il nome di “arco trionfale”: come gli archi degli imperatori romani celebravano una vittoria militare, questo esalta la vittoria più grande, quella di Cristo sul peccato e sulla morte.

Lungo la navata trovò collocazione un nuovo arredo liturgico, appositamente inventato nella sua struttura dal Borromeo: il confessionale. Il battistero fu definitivamente accolto all’interno dell’architettura della chiesa parrocchiale (la sola che ha tutt’ora diritto a possederlo) e situato nella prima cappella a sinistra, rendendo visibile il cammino del neofita dall’acqua salutare al Cibo della vita eterna. I testi della liturgia ambrosiana, specialmente il Preconio pasquale, sono spesso una solenne catechesi sui Sacramenti, espressa secondo le modalità del linguaggio poetico.

Tutte le chiese di Milano e del suo territorio diocesano possiedono gli elementi sopra ricordati, rimasti “fedeli a se stessi” anche mentre si modificavano gli stili architettonici (Rinascimento, Barocco, Neoclassico sopra tutti). Anche quando nell’Ottocento si cercò di imitare romanico e gotico, ispirandosi alle basiliche medioevali in mattoni, lo schema della collocazione dei vari elementi liturgici rimase invariato rispetto all’epoca tridentina. Al centro rimase sempre l’altare maggiore con il tabernacolo e, accanto, i busti-reliquiario dei vescovi canonizzati, a ricordare che ogni Messa vede la presenza sia della Chiesa militante, guidata dai pastori legittimi, sia di quella trionfante.

Sabato, 13 ottobre 2018

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