La guerra di aggressione è intrinsecamente immorale ma «nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando le armi» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 500) come pure la comunità internazionale ha il dovere di intervenire.
Secondo la morale, chi ha l’autorità e la possibilità di intervenire per evitare un grave danno, e non lo fa, si rende responsabile del danno stesso. Se mi trovo per caso dietro ad una persona che sta entrando in un ristorante affollato con un fucile in mano e ho la possibilità di bloccarla con una bastonata in testa, devo farlo perché in questo modo evito la possibilità che faccia del male a qualcuno. Infatti così ammoniva S.S. Pio XII nel messaggio di Natale del 1948: «Un popolo minacciato o già vittima di una ingiusta aggressione, se vuole pensare ad agire cristianamente non può rimanere in una indifferenza passiva; tanto più la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplici spettatori in un atteggiamento d’impassibile neutralità. Chi potrà mai valutare i danni già cagionati in passato da una tale indifferenza, ben aliena dal sentire cristiano, verso la guerra di aggressione?».
Ma, ovviamente, il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che la guerra va sempre intesa come extrema ratio di fronte ad un danno che si presume grave e duraturo. Per ultima soluzione si intende assolutamente l’ultima, soprattutto oggi, quando la potenza sempre più distruttiva delle armi mette sotto grave rischio tanta popolazione innocente. I sommi Pontefici, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e soprattutto Francesco, hanno insistito a più riprese sul dovere di cercare ogni altra strada possibile pur di non cadere nel baratro della guerra.
Nell’impossibilità di trovare altre soluzioni, il conflitto deve, in ogni caso, rispettare alcune condizioni:
- avere come fine il ristabilire l’ordine. Già sant’Ambrogio scriveva «la guerra è cosa giusta e meritoria se ha per fine il bene»;
- deve avere una certa speranza di successo;
- essere certa che «il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare»;
- «La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune.» (CCC 2309) e mai al privato.
I pubblici poteri, in questo caso, hanno «il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale.»(Idem, 2309-10).
Sempre il Catechismo al 2309 «Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione». Le armi di distruzione di massa – chimiche, nucleari, biologiche – rappresentano un pericolo enorme per l’umanità intera e chi le detiene ha delle enormi responsabilità morali. Si innesca su questo il discorso dell’industria bellica, degli investimenti statali, del riarmo o disarmo nucleare come strategia deterrente ad ulteriori conflitti. Le considerazioni in merito, pur mantenendo un profilo morale, coinvolgono soprattutto una valutazione di carattere tecnico. A tutti piacerebbe pensare ad un mondo senza armi, quindi senza produttori di armi, ma occorre fare sempre i conti con la realtà: un mondo senza armi è un mondo senza crimini, senza delitti; un mondo senza delitti e senza guerre è un mondo senza peccato ma non è questo mondo.
In attesa dell’altro mondo, dobbiamo gestire questo mondo e cercare di limitare i rischi secondo scienza e coscienza e con sant’Agostino: «Sii dunque pacifico nel guerreggiare, per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere».
Silvia Scaranari