Le pesanti conseguenze religiose dell’occupazione russa dell’Ucraina per i greco-cattolici.
di don Stefano Caprio
La decisione del governatore ucraino filo-russo di Zaporižja, regione occupata e “annessa” in gran parte dalla Russia, di inibire le attività ecclesiastiche e sociali dei greco-cattolici locali, ha diverse sfumature che riflettono i tanti motivi del conflitto tra russi e ucraini.
Anzitutto, la posizione espressa da Evgenij Balitskij, politico ucraino che si è messo a disposizione degli occupanti ottenendo la poltrona di governatore, intende affermare la piena applicazione della legislazione russa nel territorio ormai dichiarato parte integrante della Federazione Russa, dove si voterà il prossimo marzo per incoronare definitivamente Vladimir Putin come zar di “tutte le Russie”. Nelle norme relative alle associazioni religiose sono quindi in vigore le modifiche alla legge “sulla libertà di confessione e associazione religiosa” approvate fin dal 1997, che hanno costituito uno spartiacque tra l’epoca del liberalismo eltsiniano e il nuovo sovranismo putiniano. In esse si afferma che la religione tradizionale è quella della Chiesa ortodossa, rappresentata dal patriarcato di Mosca; sono ammesse quindi quattro altre confessioni di importanza storica per la Russia, un gradino sotto l’Ortodossia, e si tratta di Islam, Ebraismo, Buddismo e Cristianesimo, distinto appunto dalla religione ortodossa.
Il cristianesimo “semi-tradizionale”, secondo queste formulazioni, è quello relativo al protestantesimo e al cattolicesimo latino, ma non comprende i greco-cattolici, che non hanno alcuna registrazione ufficiale in Russia. Esistono alcune comunità cattoliche di rito orientale, a Mosca, a San Pietroburgo e in Siberia, ma sono parti delle comunità di rito latino, senza alcuna autonomia. Quindi nelle regioni occupate dovrebbero ottenere una registrazione a parte, che i russi sono certamente assai poco disposti a concedere, in quanto oltre al rito è coinvolta anche la nazionalità, decisamente sgradita alla luce del conflitto in corso.
Inoltre, le leggi russe sono molto restrittive nei confronti delle iniziative sociali e caritative delle associazioni religiose, al di fuori di quelle legate alla Chiesa ortodossa, in quanto sono considerate come possibili azioni di proselitismo. Le comunità cattoliche (latine) in Russia non hanno grandi spazi di manovra in questo settore; quando la Caritas Internationalis, negli anni ’90, distribuiva in tutta la Russia grandi carichi di aiuti umanitari, gli ortodossi guardavano a questo con molto sospetto, e da tempo ormai tali progetti non hanno più spazio. Del resto, anche la caritativa ortodossa è permessa con molti limiti, in quanto lo Stato non ammette che i privati, neppure le associazioni religiose, occupino spazi che competono allo Stato, recuperando in questo un’eredità sovietica dove non esisteva l’iniziativa “sussidiaria” della società civile.
Nella decisione di Balitskij gioca inoltre un fattore esplicitamente politico, quando si accusano i greco-cattolici di nascondere armi nelle parrocchie. Fin dal 2014, con la protesta di piazza del Maidan di Kiev, i russi accusano i greco-cattolici di essere tra i principali ispiratori della rivolta anti-russa, come rappresentanti dei poteri occulti dell’Occidente che impediscono agli ucraini di vivere in pace insieme al “grande fratello” moscovita. Tali accuse provengono direttamente dal patriarca e dai suoi collaboratori, ma vengono reiterate e rafforzate da tutti i politici russi, a partire dallo stesso presidente Vladimir Putin, vedendo nei greco-cattolici l’espressione “filo-nazista” di una parte del popolo ucraino. Con questo ci si vuole riferire al periodo in cui l’Ucraina provò a collaborare col regime hitleriano, fin da prima della seconda guerra mondiale, anche proprio per liberarsi dal totalitarismo staliniano. Il più importante “collaborazionista” fu il leader popolare Stepan Bandera, di famiglia greco-cattolica, anche se egli stesso dovette rimanere rinchiuso nei lager tedeschi e non ebbe parte alcuna nell’aggressione nazista alla Russia dopo il 1941.
Infine, gioca in questa diatriba anche un elemento non direttamente legato ai greco-cattolici, ma piuttosto alla disputa interna del mondo ortodosso. In Ucraina infatti le parrocchie e i monasteri legati al patriarcato di Mosca sono considerati colpevoli di fiancheggiamento dell’invasore, e la Verkhovnaja Rada, il parlamento di Kiev, ha approvato la liquidazione della Chiesa ortodossa filo-russa “Upz”. Questo comporta ulteriori motivi di conflitto, politico e giuridico, visto che c’è da risolvere i contenziosi con tanti monasteri, a partire da quello principale della Lavra delle Grotte di Kiev e con circa 12 mila parrocchie. Nelle regioni occupate la Chiesa ortodossa è totalmente sotto il controllo del patriarcato di Mosca, senza lasciare alcuno spazio alla Chiesa autocefala patriottica ucraina, e quindi l’unica possibile rivalsa per le “persecuzioni” degli ortodossi russi nel resto dell’Ucraina finisce per scaricarsi contro i greco-cattolici, che del resto non sono molti nelle regioni orientali, e sono facili da tenere sotto scacco o addirittura in ostaggio, come è capitato per alcuni sacerdoti.
Lo scontro politico-ecclesiastico in Ucraina è quindi un groviglio di fattori storici, culturali, politici e ora anche militari, che hanno radici antiche ed espressioni attuali, e riflettono il grande scontro tra i cristiani d’Oriente e d’Occidente nella vita dei tanti popoli europei.
Giovedì, 21 dicembre 2023