Dal sito del Centro Studi “Rosario Livatino” del 04/09/2019, commento di Marco Respinti alla sentenza dell’8° “circuito” della Corte di appello USA in tema di rispetto della libertà religiosa e delle convinzioni sui temi eticamente sensibili, in relazione allo svolgimento del proprio lavoro. Foto da sito
Un tribunale federale degli Stati Uniti d’America ha dato ragione a una coppia di professionisti, marito e moglie, che lo Stato del Minnesota, violando il Primo Emendamento alla Costituzione federale, avrebbe voluto costringere a infrangere la propria coscienza in nome dell’ideologia gender.
Carl e Angel Larsen sono titolari del Telescope Media Group a St. Cloud, nel Minnesota. In qualità di operatori cinematografici girano spot pubblicitari e filmati brevi su commissione. Ovviamente non entrano nel merito del contenuto dei video richiesti dai clienti, non fanno differenze, tanto meno discriminazioni, e non giudicano le intenzioni dei committenti. Svolgono professionalmente il proprio mestiere al meglio per soddisfarli. A meno però che questo non chieda loro di oltrepassare i limiti della coscienza. I Larsen, infatti, girano, tra l’altro, anche video-ricordo per le coppie di sposi, ma si oppongono fermamente alla richiesta di filmare coppie omosessuali. Sono cristiani praticanti, e in piena coscienza non se la sentono di avallare con la propria professionalità atti e manifestazioni che giudicano immorali. È un loro diritto. Nessuno dovrebbe essere infatti mai indotto, tanto meno costretto, ad agire contro coscienza, a maggior ragione quando l’obiezione di coscienza è esercitata in ragione di un credo esplicitato ed esplicito, supportato da ragionamenti e considerazioni ad hoc, insomma non solo ben argomentato ma in primis positivamente scelto e vissuto.
Nessuno dovrebbe mai infrangere questo ultimo tribunale del foro interno della persona ovunque, ma tantomeno negli Stati Uniti, dove il Primo Emendamento alla Costituzione federale, cioè l’Articolo 1 del Bill of Rights varato nel 1791 e da allora parte integrante della legge fondamentale del Paese, entrata in vigore nel 1789, recita: «Il Congresso [federale] non promulgherà alcuna legge che riconosca ufficialmente una religione [come religione di Stato] o che ne proibiscano il libero esercizio; o che limiti la libertà di espressione o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di sottoporre petizioni al governo per la riparazione di torti».
Se infatti nessuna legge degli Stati Uniti può impedire il libero esercizio della religione, nessuno può conculcare la coscienza di un cittadino statunitense che per motivi religiosi si rifiuti di compiere un determinato atto. A garantire ai coniugi Larsen il rifiuto di girare video “nuziali” omosessuali è cioè la Costituzione federale che protegge la libertà religiosa dei cittadini statunitensi da ogni e qualunque ingerenza.
La libertà religiosa garantita dal Primo Emendamento alla Costituzione federale configura il primo dei diritti politici dei cittadini statunitensi. Ogni altro loro diritto politico si fonda e si spiega a partire dalla libertà religiosa, che dunque è l’architrave della cosa pubblica americana. Quello stesso Primo Emendamento istituisce peraltro, al secondo comma, la libertà di parola (e di stampa) e, al terzo, la libertà sia di riunione sia di petizione al governo. Il secondo e il terzo comma (libertà di parola e libertà di assemblea con possibilità di appellarsi allo Stato) sono, negli Stati Uniti, logiche conseguenze del primo comma (libertà religiosa). La libertà religiosa sancita dal Primo Emendamento non è infatti semplicemente la libertà di credere (ché del resto nessuno potrebbe mai davvero impedirlo), ma è, espressamente, anche la libertà di vivere pubblicamente la fede. Per questo motivo il secondo comma ‒ una volta garantita in principio e per principio questa libertà religiosa, ovvero la libertà anche di esprimere pubblicamente la fede ‒ garantisce la libertà di espressione: anzitutto per tutelare appunto la dimensione pubblica della libertà di credere (se la fede non si potesse dire in pubblico, ne verrebbe meno la dimensione pubblica e la libertà stessa di credere verrebbe impoverita), quindi perché la libertà di vivere pubblicamente la fede religiosa è la matrice e il suggello di ogni libertà di parola che abbia minimamente senso. Di conseguenza il terzo comma garantisce la libertà di riunione anche, nel caso, per muovere rimostranze allo Stato per la riparazione di torti: senza questa possibilità di garantire pubblicamente la libertà di espressione, anche nei confronti dello Stato, la stessa libertà di espressione resterebbe un flatus vocis e una mera petizione di principio. La libertà di riunione e di petizione allo Stato viene cioè concretamente garantita solo dal diritto all’espressione pubblica della fede religiosa.
Esercitando obiezione di coscienza i Larsen esercitano insomma pienamente i propri diritti costituzionali. Abuso grave commette invece lo Stato del Minnesota, che avrebbe voluto imporre a quei professionisti non solo di produrre filmati lesivi delle loro libertà costituzionali, ma pure video gay di qualità che ritraessero l’omosessualità sotto una luce positiva, pena dover risarcire i clienti qualora questi non avessero alla fine gradito il prodotto.
Nel 2016 i Larsen hanno dunque presentato un esposto contro la Commissione per i diritti umani del Minnesota, il Minnesota ha dato loro torto e i coniugi hanno fatto ricorso in appello nell’ottobre 2018 con l’aiuto dell’Alliance Defending Freedom, la benemerita organizzazione no profit che fornisce assistenza legale nei casi in cui è in gioco la libertà religiosa, la vita umana dal concepimento alla morte naturale e la famiglia naturale. Venerdì 23 agosto la Corte d’appello dell’Ottavo circuito degli Stati Uniti ha finalmente dato ragione ai due professionisti, affermando, nella sentenza vergata dal giudice David Ryan Stras, che la produzione video del Telescope Media Group costituisce una forma di espressione e che come tale è protetta dal Primo Emendamento alla Costituzione federale.
La vicenda ricorda da vicino il caso di Jack Phillips, il proprietario della Masterpiece Cakeshop di Lakewood, in Colorado, di tutti gli altri pasticceri cristiani che si sono sempre rifiutati di confezionare dolci per “nozze” omosessuali e a cui la legge statunitense ha dato ragione.
Il punto nodale, però, come osserva raffinatamente Davide French su National Review, è che in più di un caso le agenzie governative americane si sono mosse dando l’impressione di ritenere le leggi contro la discriminazione degli omosessuali superiori alla libertà costituzionale di espressione. Se dunque avesse sentenziato contro i Larsen, la Corte d’appello dell’Ottavo circuito avrebbe sancito proprio questo puro e semplice ribaltamento della Costituzione federale e del primo dei diritti politici degli statunitensi, affermando, spiega bene French, che quanto stabilito dal Primo Emendamento, cioè la base di ogni diritto pubblico americano, sia soltanto una forma di esenzione speciale rispetto alle leggi universali che governano il Paese cui i credenti degli Stati Uniti ritengono erroneamente di avere diritto. Ma, dice sempre French, «[…] è esattamente il contrario. Il Primo Emendamento fa parte del documento che governa il nostro Paese e che riconosce i diritti inalienabili di tutti gli statunitensi, non solo dei credenti. Sono le amministrazioni locali e degli Stati quelle che chiedono esenzioni speciali. Sono loro che stanno cercando di chiamarsi fuori dalla legge suprema di questo Paese».
Marco Respinti