Vero e proprio unicum nella storia dell’arte, il dipinto di Bruegel riflette l’umano intreccio di materia e spirito, carnale e spirituale.
di Stefano Chiappalone
La lotta tra Carnevale e Quaresima è un dipinto del 1559, conservato a Vienna, che rappresenta un unicum nella produzione – già singolare di suo – del pittore olandese Peter Bruegel (1525-1569), detto il Vecchio, per distinguerlo da suo figlio PieterBruegel il Giovane (1564-1638). La scena, mai raffigurata prima né dopo nella storia dell’arte, si svolge in un ambito paesano e contadino, contrassegnato da quello stile “brulicante” che lo avvicina al predecessore Hieronimus Bosch vissuto qualche decennio prima (1453-1516), di cui Bruegel riprende anche qualche guizzo di “surrealismo” ante litteram.
Carnevale e Quaresima sono rappresentati rispettivamente da un uomo piuttosto rotondo che cavalca una botte, impugnando uno spiedo a mo’ di arma, scortato da una serie di figuranti in maschera piuttosto bizzarri; e da una figura alta e secca, come le aringhe (cibo penitenziale per eccellenza) posate sulla pala da forno che impugna. Talmente emaciata da non distinguersi più se maschile o femminile, il suo carretto con su – a differenza di quello carnevalesco – soltanto pane e miele (l’arnia) viene trainatoda un frate e una monaca (o una beghina), ed è accompagnata da figure compunte che a loro volta recano pane e “raganelle” (si tratta di strumenti di legno che suonavano, o meglio, rumoreggiavano durante la Settimana Santa quando taceva il suono delle campane).
Tutt’intorno si svolge una sorta di sagra di paese piuttosto affollata e movimentata, in cui gli schieramenti di Carnevale e Quaresimasi intrecciano e quasi si confondono. Chi intento a giochi e divertimenti, chi alla preghiera e all’elemosina (molti di meno) e tra loro i poveri invalidi che chiedono la carità e altri che si aggirano a capo chino senza guardarsi intorno, pensando ai propri affari, magari portando le proprie anfore. Nel grande marasma alla Quaresima sembra riservato meno di un terzo della scena, delimitato, quasi a mo’ di barricata, dal banco del pesce, altro simbolo quaresimale (nonché cristico), mentre i poveri invalidi sulla parte sinistra sono troppo vicini all’osteria per trovare qualcuno che si interessi a loro, come invece fanno, sulla destra, alcuni personaggi appena usciti di chiesa, tra cui un ricco signore, ben vestito, nobile o notabile quantomeno, che porge del denaro ai mendicanti.
Altri elementi si possono sbirciare all’interno della navata: le statue velate, la confessione, i rami d’ulivo nelle mani dei fedeli in uscita
Dall’altro lato invece balli, una sorta di processione godereccia aperta da zampogne con il palo della cuccagna, un ragazzo in piedi su una botte che tracanna una brocca di vino (di sicuro non è acqua a giudicare dalla foga), senza avvedersi che qualcun altro dalla finestra sta per svuotargli addosso il vaso da notte. E poi l’osteria, “al naviglio blu”, che fa da contraltare alla chiesa. Altri giochi, mascherate e bevute, persino una figura addormentata sulla botte, che forse ha bevuto troppo. Si intravede anche un incontro amoroso nell’oscura finestra in alto (non dimentichiamo che le locande dei secoli passati servivano anche altre “pietanze”, saziando più tipi di “fame”).
Carnevale e Quaresima, osteria e chiesa da un capo all’altro, gozzoviglie e preghiera, terra e cielo, tempo ed eterno: una dicotomia che è sempre presente e sempre sfumata nell’umano intreccio di carnale e spirituale. Come ben sapeva quel sagace e avveduto confessore – di cui alcuni lettori hanno forse sentito parlare – il quale era solito affermare che “l’uomo è fatto di anima… e porco”.
Sabato, 11 marzo 2023