Card. Joachim Meisner, Cristianità 315 (2003)
Articolo trascritto da L’Osservatore Romano, Città del Vaticano 17-1-2003, dov’è comparso con il titolo Significato e attualità del documento, e presente in <www.vatican. va>. La traduzione è stata ritoccata sulla base dell’originale tedesco, diffuso dall’ufficio stampa dell’acidiocesi di Colonia, in Germania, e presente in <www.erzbistum-koeln.de>. Titolo redazionale.
Nell’ultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa cattolica celebra la solennità di Cristo Re. Non sempre è stato così: quando Papa Pio XI la introdusse nel 1925, la collocò intenzionalmente nell’ultima domenica di ottobre. Ciò aveva un grande significato dal punto di vista della realtà politica: infatti i comunisti russi erano giunti al potere con la rivoluzione dell’ottobre 1917, e così anche i fascisti italiani nell’ottobre 1922 con la loro Marcia su Roma. A tali rivolgimenti il Papa contrapponeva una festa, con la quale si evidenziava con chiarezza che non esiste alcun altro vero Re e Signore dell’universo se non Cristo solo. Non è certamente un caso che la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, ora presentata, porti la data del 24 novembre 2002 — cioè della festa di Cristo, “Signore dei signori e Re dei re” (Ap. 17, 14; 19, 16). Infatti si tratta ultimamente di questa regalità di Cristo, più esattamente: della partecipazione a essa dei laici cristiani, dei quali “è proprio e specifico […] il carattere secolare “ (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 31); “[…] per loro speciale vocazione […] è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (ibidem). Questa partecipazione dei fedeli laici alla regalità del loro Signore si realizza nella vita di fede personale, esige però anche in modo tassativo, oltre a questa, l’impegno dei cristiani in politica. Papa Giovanni Paolo II esorta tutti i cattolici: “Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l’azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio“ (Christifideles laici, n. 3).
A un primo, superficiale sguardo le indicazioni che la Nota offre per questo servizio dei laici nel mondo e al mondo, sembrano essere superflue o almeno in ritardo. La Chiesa si è aperta al mondo con zelo, qua e là forse perfino con eccesso di zelo; che i cristiani debbano realizzare anche una missione politica, appare pertanto facilmente come una verità ovvia. Di fatto, però, il documento si manifesta come altamente attuale, nella misura in cui, in modo esplicito, entra in problemi, questioni e rapporti, che oggi si designano abitualmente come “postmoderni”.
Il testo stesso già afferma di non prendere affatto in considerazione le molteplici forme di esercizio del potere in opposizione a Dio, che l’Apocalisse caratterizzava come “la bestia che viene dal mare” (13, 1ss). La Congregazione per la Dottrina della Fede non parla di dittature o di anarchie anticristiane — sebbene ne esistano ancora oggi —, ma de “le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà” (I. 1). In queste forme di società si trova il terreno ideale per una legittima e cristiana conformazione del mondo; il clima multiculturale e multireligioso delle forme democratiche di società rappresenta anzitutto un incoraggiante ambito ideale per l’impegno politico del cristiano. Chi ha mai vissuto in uno Stato anticristiano e ne ha sperimentato i perfidi metodi, può doppiamente apprezzare la tolleranza democratica.
Nondimeno si dimostra di avere uno sguardo vigile e realistico, quando si vedono pericoli anche e proprio nella democrazia (cfr. II. 2). Infatti la pluralità culturale e ideologica, in sé e per sé legittima, spesso comporta un pluralismo etico, propizio a “[…] leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore” (II. 2). L’illuminismo — per quanto ci abbia anche portato a un salutare progresso — mostra qui il suo tallone d’Achille. Al posto di valori morali “assoluti” ha sostituito una moralità generica, che si presenta in modo umano, ma che, mancando di contorni definiti, si è rapidamente squagliata. La “parabola dell’anello” di Lessing — un esponente dell’illuminismo — formula nel modo seguente la perdita della dimensione religiosa: “I vostri anelli sono falsi tutti e tre. Probabilmente l’anello vero si perse” (Nathan il Saggio III, 7). L’atteggiamento fondamentale di Lessing, che qui si delinea, agnostico nei confronti delle concrete convinzioni religiose, determina mediamente la nostra vita pubblica: a ciascuno la sua verità, a ciascuno i suoi valori!
Ora la Nota vaticana non costituisce affatto un ritorno alla situazione preilluministica, come facilmente si continua ad accusare la Chiesa. Fondamento delle sue chiarificazioni e indicazioni è anzi piuttosto la convinzione che esista una “[…] legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune” (II. 3). Già il Concilio Vaticano II nella sua Costituzione pastorale aveva richiamato che “per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che […] orienterà [i fedeli], in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia altri fedeli, altrettanto sinceramente, come succede abbastanza spesso e legittimamente, potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione. E se le soluzioni proposte da un lato o dall’altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa” (Gaudium et spes, n. 43).
Se il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede si dichiara dunque per la pluralità delle concrete strategie politiche, tuttavia esso sottolinea allo stesso tempo la necessità di princìpi etici, “[…] che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”” (II. 3). La Chiesa non pretende, a questo proposito, dallo Stato democratico l’accettazione di un “particolare patrimonio” cattolico o anche solo cristiano, ma semplicemente l’accettazione della creaturalità umana: il singolo uomo, così come la società umana nel suo insieme, si fondano su beni, valori e norme. Questi sono ancorati nella loro natura, e perciò ultimamente, nell’assolutezza del loro Dio creatore, così che essi non possono essere eliminati o relativizzati dall’uomo. Anche a questo proposito il Concilio Vaticano II è stato anticipatore, in quanto si dichiara decisamente per l’autonomia delle realtà terrene, e tuttavia aggiunge in modo inequivocabile: “Se invece con l’espressione “autonomia delle realtà temporali” si intende che le cose create non dipendono da Dio, che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora tutti quelli che credono in Dio avvertono quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (n. 36). L’esempio per eccellenza di questa condicio humana è “l’intangibilità della vita umana” (II. 4).
La Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede richiama alla coscienza questa difficile, spesso labile relazione fra autonomia terrena e riferimento a Dio. Non mette così in discussione le strutture democratiche, ma ricorda il loro fondamento, che consiste nel fatto che la democrazia, per sua natura, da una parte deve sempre essere ideologicamente neutrale e, dall’altra, non può mai essere neutrale dal punto di vista dei valori. La libertà democratica rappresenta in realtà da parte sua un bene, si fonda su convinzioni e valori e li presuppone. Un indifferentismo riguardo ai valori, portato fino in fondo, non è pertanto la condizione ideale della democrazia, ma la sua morte.
Il testo ricorda valori permanenti — e quindi costanti antropologiche, che come tali non sono legate a un’epoca, anche se la loro concreta conformazione può essere adattata alle circostanze del momento. Ciò diviene tangibile in riferimento agli esempi per le “esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili”, che il documento adduce: aborto, eutanasia e moderne forme di schiavitù come droga e sfruttamento della prostituzione sono da respingere radicalmente, mentre valori come famiglia, libertà religiosa, giustizia sociale e pace devono essere tutelate dallo Stato democratico (II. 4).
Con la Nota sull’impegno politico dei cattolici la Chiesa prosegue quella linea della philosophia perennis, che ha il suo inizio presso i filosofi greci classici. Questi primi “teorici della società” hanno sviluppato una riflessione su come il divino possa essere tradotto nel modo migliore nel terreno. Lo Stato ideale — così il Socrate di Platone — non si trova sulla terra; “ma forse nel cielo ne esiste un modello, per chi voglia vederlo e con questa visione fondare la propria personalità” (Platone, Repubblica, IX, 592). Questa trascendente oggettività dei valori e dei significati fondamentali sottrae lo Stato — anche e proprio quello democratico — a ogni arbitrio dei suoi cittadini, del quale altrimenti, con il tempo, potrebbe esso stesso rimanere vittima. In questo senso la linea proseguita nel presente documento, oltrepassando secoli e millenni, giunge non solo nel cuore del tempo presente, ma anche al di là di esso. Volendosi quindi porre la domanda sul significato e l’attualità del documento, esso andrebbe qualificato semplicemente come d’importanza vitale, anzi necessario per la sopravvivenza delle democrazie alle quali offre le linee indicative di un futuro.
“Che cos’è la verità?”, chiese una volta Pilato (Gv. 18, 38). La nostra società ha fatto propria questa domanda — e si ha sempre più l’impressione che essa non desideri affatto una risposta. La Chiesa però è stata chiamata e mandata nel mondo per rendere testimonianza alla verità, che in ultima analisi non è una cosa, ma una persona: Gesù Cristo. La missione profetica impegna tutti i fedeli, come una volta Ezechiele, a essere sentinelle per i propri contemporanei. Se la Chiesa non mette più in guardia contro i pericoli, la rovina colpirà lei come la società. In questo senso la denuncia della Congregazione per la Dottrina della Fede delle carenze di tante associazioni e organizzazioni cattoliche è più che comprensibile. Infatti le associazioni cattoliche sono collocate al punto di sutura fra Chiesa e Stato; esse hanno, pertanto, un significato importantissimo per il compito missionario della Chiesa nella società moderna. Tanto più autentica e affidabile dev’essere però anche la loro testimonianza cristiana. La Congregazione per la Dottrina della Fede non si limita a questo proposito a esortazioni, ma incoraggia e stimola allo stesso tempo i cattolici a non nutrire alcun complesso d’inferiorità. I cristiani hanno qualcosa da dire, perché Dio stesso ha affidato loro la sua parola!
La presente Nota vuole favorire “l’unità di vita del cristiano: la coerenza tra fede e vita, tra vangelo e cultura” (V. 9). Un cristianesimo della domenica, che si ritira nel ristretto ambito ecclesiale, viene meno alla sua missione e perde pertanto la sua ragion d’essere. Con la sua parola alle società democratiche la Chiesa non intende mettere in discussione la loro legittima autonomia; essa, al contrario, esige proprio il diritto democratico anche per sé stessa in un dialogo paritario. Fine e ideale della Chiesa non è la teocrazia nel senso corrente, “fondamentalistico”. Per la sua natura e la sua missione essa è il germe del Regno di Dio, nel quale si trova unita l’umanità fino a oggi così frammentata: non con mezzi esterni coercitivi, ma per convinzione interiore. È stato già detto, e dev’essere ripetuto espressamente a modo di conclusione: le indicazioni della Nota per l’attività politica dei cattolici sono di portata decisamente profetica; la loro osservanza è decisiva per la crescita o la decadenza delle società democratiche, alla lunga perfino per la loro sopravvivenza. Infatti anche e proprio le democrazie vivono della coscienza dei valori dei loro cittadini; se però tutto ha lo stesso valore, allora tutto diviene sempre più anche indifferente. Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede ha pertanto quel significato e attualità, che competono solo a “considerazioni inattuali”.
+ Joachim Card. Meisner
Arcivescovo di Colonia