Il fuoco dello Spirito “disturba” fino a che non si diventa testimoni. La stessa misericordia divina non è un anestetico, ma lo strumento principe per rinnovare il mondo a misura d’uomo e secondo il piano di Dio
di Michele Brambilla
Spiegando le parole di Gesù nella pagina evangelica del giorno, all’inizio dell’Angelus del 14 agosto, Papa Francesco evidenzia che, «mentre è in cammino con i suoi discepoli, Egli dice: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49)».
Di quale fuoco parla il Signore? «Come sappiamo, Gesù è venuto a portare nel mondo il Vangelo, cioè la buona notizia dell’amore di Dio per ciascuno di noi. Perciò ci sta dicendo che il Vangelo è come un fuoco, perché si tratta», afferma il Papa, «di un messaggio che, quando irrompe nella storia, brucia i vecchi equilibri del vivere, sfida a uscire dall’individualismo, sfida a vincere l’egoismo, sfida a passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla vita nuova del Risorto, di Gesù risorto. Il Vangelo, cioè, non lascia le cose come stanno; quando passa il Vangelo, ed è ascoltato e ricevuto, le cose non rimangono come stanno. Il Vangelo provoca al cambiamento e invita alla conversione», quindi alla missione, perché «non dispensa una falsa pace intimistica, ma accende un’inquietudine che ci mette in cammino, ci spinge ad aprirci a Dio e ai fratelli».
Il Pontefice precisa ulteriormente il concetto citando un suo confratello gesuita del Novecento: il Vangelo «ci invita a riaccendere la fiamma della fede, perché essa non diventi una realtà secondaria, o un mezzo di benessere individuale, che ci fa evadere dalle sfide della vita e dall’impegno nella Chiesa e nella società. Infatti – diceva un teologo –, la fede in Dio “ci rassicura, ma non come vorremmo noi: cioè non per procurarci un’illusione paralizzante o una soddisfazione beata, ma per permetterci di agire” (De Lubac, Sulle vie di Dio, Milano 2008, p.184). La fede, insomma, non è una “ninna nanna” che ci culla per farci addormentare. La fede vera è un fuoco, un fuoco acceso per farci stare desti e operosi anche nella notte», fino a che tutti non siano salvi.
«Fratelli e sorelle», esorta il Santo Padre, «verifichiamoci su questo, così che anche noi possiamo dire come Gesù: siamo accesi del fuoco dell’amore di Dio e vogliamo “gettarlo” nel mondo, portarlo a tutti, perché ciascuno scopra la tenerezza del Padre e sperimenti la gioia di Gesù, che allarga il cuore – e Gesù allarga il cuore! – e fa bella la vita». «E un pensiero speciale», aggiunge, «va ai numerosi pellegrini che oggi si sono radunati nel Santuario della Divina Misericordia a Cracovia, dove vent’anni fa San Giovanni Paolo II fece l’Atto di Affidamento del mondo alla Divina Misericordia. Più che mai vediamo oggi il senso di quel gesto, che vogliamo rinnovare nella preghiera e nella testimonianza della vita», in un tempo in cui, dice ricordando la guerra in Ucraina, la conflittualità sembra essere diventata la modalità ordinaria del rapporto tra gli uomini. «La misericordia», ovvero l’amore di Gesù nella sua piena dimensione oblativa, «è la via della salvezza per ognuno di noi e per il mondo intero. E chiediamo al Signore, misericordia speciale, misericordia e pietà per il martoriato popolo ucraino».
La Divina misericordia non è, quindi, un rifugio intimista, né una risposta facile e “zuccherosa” al dramma dell’umanità contemporanea, ma la sua concreta ancora di salvezza, lo strumento principe per realizzare un mondo a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, come amava ripetere Papa Wojtyla.
Lunedì, 15 agosto 2022