di Giuliano Rovere
Nelle tradizioni liturgiche antiche, la festa dell’Ascensione e l’invio dello Spirito Santo erano considerate un’unica festa in ragione della profonda unità teologica esistente tra Pasqua, appunto Ascensione e Pentecoste a celebrare la redenzione operata da Dio. Dalla fine del secolo IV, l’Ascensione compare però come festa a sé stante, celebrata il giovedì della sesta settimana dopo la Pasqua. Il martedì e il mercoledì, gli uffici liturgici bizantini celebrano la conclusione del periodo di Pasqua, ripetendo i versetti più caratteristici della liturgia e cantando ripetutamente «Cristo è risorto» mentre il celebrante con una mano incensa la chiesa e i fedeli, e con l’altra regge il trichirion pasquale, il candelabro a tre ceri che rappresenta la Santissima Trinità.
Il racconto dell’Ascensione che conclude il vangelo di san Luca (cfr. Lc 24, 50-52) è semplice ed essenziale: «Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio». Si potrebbe pensare che gli apostoli avrebbero dovuto essere tristi per la dipartita del Salvatore, mentre l’evangelista ci stupisce riferendo che «tornarono a Gerusalemme con grande gioia»,
La prima strofa del vespero spiega il significato della festa e il motivo della gioia degli apostoli: «Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall’eternità, nel suo seno dimora. Lo Spirito Santo ordina a tutti gli angeli: alzate, principi le vostre porte. Genti tutte, battete le mani, perché Cristo è salito dove era prima».
La liturgia bizantina ricorda che con Cristo la natura umana sale nell’alto dei cieli e siede alla destra del Padre, e questo rende ragione sia dello stupore degli angeli sia della grande gioia dell’umanità intera. L’Ascensione rappresenta infatti la festa del Cielo che si apre all’uomo: il Cielo diventa la nostra patria autentica e definitiva. Un’altra strofa che si canta al gloria del vespro riprende lo stesso tema, approfondendolo: «Tu che senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l’hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo le celesti schiere degli incorporei, sbigottite per i prodigio, estatiche stupivano e, prese da timore, magnificavano il tuo amore per gli uomini. Con loro noi quaggiù sulla terra glorificando la tua discesa fra noi e la tua dipartita da noi con l’ascensione, supplici diciamo: o Tu che con la tua ascensione hai colmato di gioia infinita i tuoi discepoli e la Madre di Dio che ti ha partorito, per le loro preghiere concedi anche a noi la gioia dei tuoi eletti, nella tua grande misericordia».” Oggi dove relativismo e materialismo orgogliosamente trionfano nella vita personale e sociale, la festa dell’Ascensione ricorda a tutti che l’uomo è fatto per il Cielo e che il Cielo, attraverso la Chiesa, è già incontrabile qui sulla Terra.
Sabato, 12 maggio 2018