di Stefano Chiappalone
«Un gioioso cercatore della bellezza»: così lo scorso 29 agosto padre Lorenzo Renelli si rivolgeva al confratello eremita fra’ Claudio Canali (1952-2018), che era entrato nell’eternità due giorni prima, anticipando di poco lo scoccare della mezzanotte della memoria liturgica di quell’altro grande cercatore di bellezza che fu sant’Agostino di Ippona (354-430). Fra’ Claudio è il primo ad aprire gli occhi al cielo nella piccola comunità benedettina che a partire dagli anni 1980 si è aggregata intorno a fra’ Mario Rusconi nell’eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca), riconosciuta poi nel 1994 dall’arcivescovo di Lucca mons. Bruno Tommasi (1930-2015). La comunità si inserisce peraltro nella plurisecolare tradizione eremitica della Garfagnana ed è affiliata agli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona.
Quel minuto monaco dai mille talenti, fra’ Claudio, era noto ai più perché da giovane fu leader del gruppo musicale chiamato Biglietto per l’inferno: un nome però da non fraintendere alla ricerca dello scoop sul diavolo che si fa angelo, poiché, come fra’ Claudio stesso spiegava, l’inferno cantato dal gruppo era costituito proprio da un mondo dominato dal vuoto di senso; un inferno che le canzoni dell’allora giovane Canali volevano non celebrare ma richiamare all’attenzione, suonando un campanello d’allarme su quella vacuità che egli stesso avvertiva senza però sapere bene come colmare. La ricerca agostiniana sintetizzata nel celebre «Tardi t’amai, bellezza antica e tanto nuova» riecheggia nelle sue peregrinazioni, inclusa un’esperienza in India, che trovano requie dapprima ai piedi della Madonna di San Martino in Valmadrera e quindi nell’eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano, da Lecco a Lucca.
A Minucciano, dove dagli anni 1990 trascorre la propria esistenza monastica e dove muore all’età di 66 anni, i talenti di Claudio Canali, ormai fra’ Claudio, non muoiono, al contrario rifioriscono attraverso una purificazione che non è solo personale, ma anche estetica. La sua voce inconfondibile risuona nell’ufficio divino, l’eremo e il bosco circostante si ornano di santi scolpiti dalla sua mano sapiente, mentre lui stesso si lascia a propria volta plasmare dal Divino Artista: «Mentre tu lavori il marmo, Dio lavora te», mi disse una volta al termine di un indimenticabile vespro nel bosco, passeggiando sotto una Luna grandissima che ci faceva sentire piccoli al punto giusto per lasciarci abbracciare dal Creatore di ogni bellezza.
Fra’ Claudio trova ispirazione nella cella eremitica che, lungi dal limitarlo, lo affaccia direttamente sul Cielo. Lì scrive e dipinge con creatività inesauribile e con lo stesso fervore con cui serve la Vergine nel coro o nell’orto, nell’ora et labora. Persino le inevitabili ristrettezze della vita monastica, le incomprensioni umane, la lotta contro se stesso – come ricorda padre Lorenzo nell’omelia delle esequie ‒, hanno solo apparentemente frenato quel torrente di gioia che è stato fra’ Claudio, ma solo perché potesse irrompere più fragoroso, purificandone la ricerca che passa dal bello al sublime, in una sorta di Pasqua estetica che trova ora compimento nell’eternità. Da lì fra’ Claudio fa capolino e sorride, indicando la strada a noi che portiamo nel cuore la nostalgia di una bellezza perduta che non è solo memoria, ma soprattutto promessa.