Lo scorrere degli anni conferisce una sorta di aureola a oggetti o edifici che ridestano sogni e memorie.
di Stefano Chiappalone
Una fotografia che abbia almeno quindici anni, meglio ancora se supera i venti (ormai anche gli anni Novanta e relativi cimeli cominciano a essere annoverati nel vintage); se addirittura è in bianco e nero rasentiamo la poesia. Uno dei primi modelli di radio, con la manopola, o un orologio di quelli che si ricaricano, trovato chissà dove tra le cianfrusaglie di un nonno o di un vecchio zio. Mettiamoci anche una musicassetta o un floppy disk, ormai inutilizzati e inutilizzabili: quello che ci sembrava banale ora risplende di una sorta di aureola che lo fa apparire letteralmente un tesoro riemerso… dal passato. Non in senso puramente cronologico, piuttosto come una sorta di wunderkammer della memoria, che ridesta un bagaglio di ricordi (recenti o ancestrali, vissuti o tramandati) e di sogni (realizzati o incompiuti).
È il tempo che rende tutto nuovo, ma allo stesso tempo – si perdoni il gioco di parole – è il tempo a rendere tutto più naturale, come una casa che appena costruita può apparire un intruso nel paesaggio ma col passare degli anni (e delle crepe, delle intemperie, delle generazioni) ne viene quasi assimilata. Persino certe villette abbandonate mantengono una pur funerea dignità, come se da un momento all’altro qualche incantesimo potesse riportarle agli antichi splendori e tornasse qualcuno ad affacciarsi dalle finestre vuote in cui dimorano solo ragni e rampicanti. Una sola eccezione è data da quei capannoni in stile industriale che spesso hanno vita breve e in capo a venti o trent’anni, appena la “fabbrichetta” fallisce o si sposta altrove, si riducono in breve a spaventosi scheletri da cui girare al largo. Tutto il contrario di certe chiesette di campagna che anche dopo l’abbandono si ostinano a preservare una qualche sacralità, come se le sacre rovine ancora trattenessero i fumi di incenso.
E che dire dell’arte, degli stili architettonici che hanno reso grande la cultura europea? La nostra epoca ripiegata sul presente finisce poi per inchinarsi di fronte a ciò che resta di quel passato con cui pure vorrebbe tagliare i ponti. Certo, non tutto è oro quel che luccica ma non è una luce fasulla quella che filtra da una torre, una bifora, un rosone o più banalmente dai ricordi di infanzia.
È vero, come diceva il filosofo francese Gustave Thibon (1903-2001) che «il volto del passato ci attira soltanto nella misura in cui è su di lui il riflesso dell’eterno». Ma anche il passato in quanto passato ha il suo fascino ed è tutt’altro che sterile, nella misura in cui ridesta – e fa rivivere – in noi qualcosa di sorgivo.
Sabato, 2 settembre 2023