Da Tempi del Febbraio 2020.
Chi è stato Giovanni Cantoni? Che cosa ha rappresentato nella storia del mondo cattolico italiano della seconda metà del Novecento? Sono le domande che chi lo ha conosciuto meglio e più a lungo si sentirà fare dai numerosi giovani che da qualche anno frequentano Alleanza cattolica senza averlo potuto conoscere. Da sette anni infatti viveva ricoverato in seguito a due ictus che lo avevano costretto in una casa di riposo, togliendogli le forze per una vita autosufficiente, ma lasciandogli però la lucidità, fino a un anno fa. Poi la morte, avvenuta il 18 gennaio di quest’anno a 81 anni. Chi era e che cosa ha fatto nella sua vita? Accanto alla famiglia, che gli ha dato la gioia di quattro figli e venti nipoti, si è dedicato alla costruzione di questa associazione di persone formate una per una (e le prime direttamente da lui) perché potessero essere dei militanti cattolici all’interno del mondo moderno, un tipo di associazione sostanzialmente assente negli anni Sessanta, quando Cantoni comincia a costituire un primo gruppo che tenga insieme la fede e la vita, nella loro dimensione pubblica e non solo personale. Egli porta in Italia il pensiero di molti studiosi che si ispirano alla scuola contro-rivoluzionaria, che nacque durante la Rivoluzione francese, cogliendo di quest’ultima il profilo epocale, e non di una delle tante rivolte presenti nella storia. Tra questi il leader brasiliano Plinio Correa de Oliveira e la sua opera principale Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, che Cantoni traduce e pubblica, arrivando nel 2009 a curarne una edizione speciale in occasione del cinquantenario (Sugarco). Alla base di quest’opera non c’è soltanto la denuncia della crisi drammatica in cui si trova l’uomo occidentale e cristiano a partire dal Rinascimento e dalla Riforma protestante, ma soprattutto l’indicazione di una strada per uscirne e ricostruire una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, per usare le parole di san Giovanni Paolo II. Così Cantoni spende la sua vita per realizzare questo progetto, non soltanto desiderando una cristianità nuova, ma cominciando a crearne i presupposti, cioè gli uomini, persone che credono in questo obiettivo e sono disposte a sacrificarsi per raggiungerlo. In questo senso non era un intellettuale, ma un uomo d’azione, che si serviva e molto delle idee, dei libri e dei relativi autori, ma come mezzo a un fine, per avviare la nascita di una cristianità nuova o, come recita uno dei suoi ultimi lavori, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio (Sugarco 2008). Una società cristiana non è un luogo dove i cristiani comandano a loro piacimento, piegando i non cristiani ai loro ideali. Essa è la conseguenza dell’amore per la gloria di Dio che si diffonde nella società e la contagia, come avvenne durante i primi tre secoli della storia della Chiesa, durante le frequenti persecuzioni, e come avverrà poi, fino all’autunno del Medioevo. Essa nasce dal basso e non è imposta ideologicamente dal potere come molti insinuano: e quando questo è accaduto, è stato subito denunciato come non cristiano. Cantoni amava ripetere che alla “leggenda nera” del Medioevo non si doveva contrapporre una “leggenda rosa”, che facesse diventare luminose le oscurità che invece ci sono state, ma ricordava come la cristianità sia una bene per i poveri e per i deboli, per aiutarli a vivere nella fede attraverso un ambiente che incoraggi e protegga la vita cristiana. Aveva ben presente la situazione attuale e l’apparente estrosità di un discorso simile. Parlare di società cristiana in un mondo che cancella ripetutamente le poche tracce di cristianesimo rimaste a livello legislativo, culturale, sociale? In un mondo i cui costumi e le abitudini tendono ad allontanarsi dalla fede e dalla vita cristiane? Eppure sapeva anche che senza ideali la vita non va avanti oppure si trascina in una mediocrità assoluta. Sapeva e constatava che i cattolici senza una meta, personale e pubblica, non avrebbero potuto essere il sale o il lievito della società. Sapeva che la società cristiana è una meta da avvicinare gradualmente, convincendo le persone una per una, in un’epoca in cui gli ambienti disponibili ad ascoltare queste considerazioni sono pochissimi. E allora invitava alla gradualità e alla pazienza storica, a custodire nel cuore i grandi ideali, alimentandoli con buone letture e tanta preghiera e con riunioni per conservare la fiamma, ma senza fughe in avanti, pretendendo che altri capissero subito quello che era stato “ruminato” per decenni.
Marco Invernizzi