Frammenti di un viaggio da Caino a Cristo
Le parole di un poeta contemporaneo che sa scavare nel dramma della Storia, sempre alla ricerca di un senso, possibile soltanto al di là del contingente.
di Luca Finatti
Non trovava il filo,
così spaccato dalle domande;
cercava la teologia nella storia,
dove risiedesse
la fonte dei cicli e dei ritorni.
Il silenzio sembrava vincere
sulle creste nere delle montagnei
Nel panorama della poesia italiana contemporanea, difficile trovare chi sa porre domande metafisiche e indicare sentieri letterari per possibili risposte, come fa Alessandro Rivali, nato il 5 aprile 1977 a Genova, da qualche anno vicedirettore di Studi Cattolici, rivista storica delle Edizioni Ares.
Sarebbe riduttivo definire ‘raccolte poetiche’ i suoi tre libri finora pubblicati, perché in ognuno si dipana un percorso epico – narrativo, un attraversamento di luoghi ed eventi storici colti sullo sfondo di una cristiana Provvidenza, dinanzi alla quale il poeta s’interroga inquieto, alla ricerca della verità, come un Giobbe moderno.
Nel libro d’esordio intitolato La Riviera del Sangue prevale il tema della guerra: viaggiando a ritroso nel tempo, dopo suggestioni e ricordi della Seconda Guerra Mondiale, si trapassa alla memoria dell’assedio di Otranto da parte dei Turchi nel 1480, dove ottocento cristiani superstiti accettarono il martirio piuttosto che l’abiura:
Venne il tempo:
di pettinarsi con chele di ferro,
di cucire le palpebre con chiodi
di slacciare la trama delle vene
e arare coi denti la galaverna.
Perché era sopraggiunta la cancrena,
il tempo assoluto della guerraii.
Il linguaggio è crudo ma descrittivo, analitico, non drammaticamente espressionista: non c’è disperazione, bensì un’aspirazione di oggettività dello sguardo per arrivare a un senso più profondo, dov’è sempre possibile la redenzione, perché Rivali sa bene che la guerra in Terra trova soluzione solo in Cielo.
Ci sono infatti tre poesie dedicate a san Giovanni evangelista, alla Storia che si fa visione apocalittica, con un’allusione forse alla Donna che salva, qui abbozzata in un gesto semplice, quotidiano:
“Vedevi già diradarsi
le tenebre, tirate via
come ragnatele da una mano
– il lampo di una donna
che ravvia i capelli –
la luce incendiare le colline?”.
Il tuo nome era Giovanni.
Luce che splende nelle tenebreiii.
Nel secondo libro intitolato La caduta di Bisanzio i luoghi e i tempi sono quelli che segnano la morte di una civiltà e il presagio di un mondo nuovo.
Nella prima sezione dedicata ai resti di Pompei, l’eruzione è rivissuta quasi in diretta, con allusioni biblicheiv:
Volle osservare la caduta,
la neve di cenere e frantumi
dilatare i polmoni della necropoli,
le tombe aprirsi al soffio del sisma.
Si leggeva ancora il dolore
che smembrava il calco,
chiedeva l’ultimo favore agli dèi,
un riparo per i corpi nel vigneto,
per le ossa nella Villa dei Misteriv.
Bisanzio 29 maggio 1453 è la parte più intensa, dove il supplizio dei cristiani assediati è tanto più impressionante quanto il linguaggio si fa tecnico, quasi un resoconto delle strategie militari utilizzate:
Per spegnere la resistenza
asciuga la rete idrica della città;
dona la sete al nemico e vedrai
scomposte le sue ossa in battagliavi.
Ma la ragione della fine della civiltà bizantina ha cause remote e radicate nel cuore: “discordia interna”, come fa intuire questa poesia dedicata a Eugenio Corti e al suo capolavoro Il cavallo rossovii:
Al tarlo del fuoco
s’aggiunse la discordia interna;
la spada separò ogni casa
e i figli replicarono ai padri.
Il cavallo rosso danzò sugli spalti
con lenta e ossessiva cadenza:
a ogni sussulto saliva il fumo
di una generazione perdutaviii.
E poi il viaggio continua nell’Eldorado immaginato dagli scopritori delle Americhe, a Persepoli, nella Palestina biblica abitata dal violento Lamec e nella mitica città di Atlantide.
Un’unica sezione dell’opera è dedicata a un uomo e non a un luogo dello spirito, ed è intitolata “Giovanni della Croce”, controcanto intimo ai drammi della Storia:
Io, Giovanni, rispondo:
«Questa sera di sangue,
circondato da lampade in fiamme,
sono lo sposo evocato dal Cantico,
vedo le pareti dei secoli incendiarsi
come cotone trascinato dal vento
e la nuova Bisanzio sorgere sulle acque»ix.
È però nell’ultimo libro finora pubblicato che Rivali ci consegna un compiuto e organico poema di frammenti di respiro epico: protagonista di ogni sezione è Caino, personaggio biblico, ma anche simbolo di ogni possibile male acquattato nel cuore dell’uomo; lo vediamo gettato nella Storia mentre vaga e riflette su tragedie immani e vicende più personali:
Caino,
sarò io con te, sibilò il serpente,
sarò segno della tua violenza,
delle fessure nelle coscienze. […]
Regredirai alla stagione dell’ansia,
avrai in dono una potenza guasta
e non saprai amare una donnax.
Il viaggio inizia nell’antica Mesopotamia e Caino, come il leggendario Gilgamesh, ha nostalgia d’eternità. La violenza delle guerre passate si salda con quella futura in una poesia dedicata alla scrittrice armena Antonia Arslan e alle vicende dolorose del suo popolo perseguitato:
Adesso sorpassi la storia.
Voli sui roghi d’Armenia.
Hai visto le sorgenti di Mush,
le vergini immerse nei vaporixi.
In una delle sezioni più belle del poema, protagonista diventa Ötzi, la mummia naturale risalente al Neolitico, scoperta nel 1991 ed ora nel Museo archeologico dell’Alto Adige a Bolzano. Probabilmente morto in seguito a una ferita alla spalla causata da una freccia,Ötzi è forse un altro Abele vittima di ingiusta e fraterna violenza?
La mummia dall’osso slogato
nella millenaria vasca di vetro.
In quota. Senza tempo. […]
Il ritrovamento che disorienta
è l’interezza del bulbo oculare:
quell’iride che intravide l’Eden
oltre le mandibole delle Alpixii.
Le altre sezioni del libro raccontano di Hiroshima e del Museo del Prado, di pittura ma soprattutto di scultura, quella dei cimiteri, luoghi prediletti dal poeta per la sua meditazione sulla vita e sull’arte.
Le città dell’ombra, La tomba degli amanti e il Monumento di Margherita di Brabante (1313/14) raccontano il mistero di alcune statue sepolcrali dei cimiteri di Milano e Genova, dove alla fine si ritrova Caino, ormai saturo del male compiuto e delle sue conseguenze, un Caino come tutti noi, diventato pellegrino in cerca di misericordia:
Aveva sfogliato l’albero del male
e ora guardava la fuga dei secoli.
Luca annotava parabole:
la tenerezza di Emmaus,
il conforto della cena al tramonto.
Ricordò l’estremo perdono,
l’assassino straziato dai corvi:
“Ricordati di me,
quando sarai nel Regno”xiii.
Sabato, 27 agosto 2022
i Alessandro Rivali, La caduta di Bisanzio, Jaca Book, Milano, 2010, p. 99.
ii A. Rivali, La Riviera del Sangue, Associazione Culturale Mimesis, Milano, 2005, p. 83.
iii Ibid., p. 74
iv “Spirito vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano” Ezechiele 37, 7-10.
v A. Rivali, La caduta di Bisanzio, cit., p. 18.
vi Ibid., p. 32.
vii Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Edizioni Ares, Milano, 1983.
viii A. Rivali, La caduta di Bisanzio, cit., p. 33.
ix Ibid., p. 48.
x A. Rivali, La terra di Caino, Mondadori, Milano, 2021, pp. 9-10.
xi Ibid., p. 46.
xii Ibid., p. 98, 104.
xiii Ibid., p. 129.