di Michele Brambilla
Papa Francesco apre l’udienza generale del 13 maggio, data nella quale si ricorda la prima apparizione della Madonna ai pastorelli di Fatima (13 maggio 1917), con una constatazione: «la preghiera appartiene a tutti: agli uomini di ogni religione, e probabilmente anche a quelli che non ne professano alcuna». Questo perché la preghiera si iscrive in quello che la Bibbia e gli autori spirituali chiamano “cuore”, vale a dire la sezione più intima e profonda della nostra interiorità. «A pregare, dunque, in noi», afferma il Papa, «non è qualcosa di periferico, non è qualche nostra facoltà secondaria e marginale, ma è il mistero più intimo di noi stessi. È questo mistero che prega».
«Le emozioni», infatti, «pregano, ma non si può dire che la preghiera sia solo emozione». Allo stesso modo, «l’intelligenza prega, ma pregare non è solo un atto intellettuale. Il corpo prega, ma si può parlare con Dio anche nella più grave invalidità. È dunque tutto l’uomo che prega, se prega il suo “cuore”». Secondo il Pontefice «la preghiera è uno slancio, è un’invocazione che va oltre noi stessi: qualcosa che nasce nell’intimo della nostra persona e si protende, perché avverte la nostalgia di un incontro», quello con il Signore. «Quella nostalgia», rimarca ancora una volta il Santo Padre, «che è più di un bisogno, più di una necessità: è una strada. La preghiera è la voce di un “io” che brancola, che procede a tentoni, in cerca di un “Tu”».
La preghiera cristiana vive, però anche di un’altra dinamica, quella inaugurata dall’Incarnazione: «[…] il “Tu” non è rimasto avvolto nel mistero, ma è entrato in relazione con noi. Il cristianesimo è la religione che celebra continuamente la “manifestazione” di Dio, cioè la sua epifania». Basti pensare al fatto che «Dio rivela la sua gloria nella povertà di Betlemme, nella contemplazione dei Magi, nel battesimo al Giordano, nel prodigio delle nozze di Cana. Il Vangelo di Giovanni conclude con un’affermazione sintetica il grande inno del Prologo: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). È stato Gesù a rivelarci Dio» come Egli è.
«Dio è l’amico, l’alleato, lo sposo»: cerca un’alleanza e non la sottomissione annichilente dell’interlocutore. «Nella preghiera si può stabilire un rapporto di confidenza con Lui, tant’è vero che nel “Padre nostro” Gesù ci ha insegnato a rivolgergli una serie di domande. A Dio possiamo chiedere tutto, tutto; spiegare tutto, raccontare tutto. Non importa se nella relazione con Dio ci sentiamo in difetto: non siamo bravi amici, non siamo figli riconoscenti, non siamo sposi fedeli. Egli continua a volerci bene», come ha dimostrato Gesù stesso nelle parole consacratorie pronunciate sul pane e sul vino nell’Ultima Cena. «In quel gesto», spiega infatti il Papa, «Gesù anticipa nel cenacolo il mistero della Croce. Dio è alleato fedele: se gli uomini smettono di amare, Lui però continua a voler bene, anche se l’amore lo conduce al Calvario. […] La pazienza di Dio con noi è la pazienza di un papà, di uno che ci ama tanto», con viscere che potremmo definire materne. «Proviamo tutti», esorta Francesco, «a pregare così, entrando nel mistero dell’Alleanza. A metterci nella preghiera tra le braccia misericordiose di Dio, a sentirci avvolti da quel mistero di felicità che è la vita trinitaria, a sentirci come degli invitati che non meritavano tanto onore».
Giovedì, 14 maggio 2020