di Michele Brambilla
Nella Scrittura il numero sette ha un valore particolare, come ricorda Papa Francesco all’inizio dell’Udienza generale del 12 dicembre. «Proseguiamo il cammino di catechesi sul “Padre nostro”, iniziato la scorsa settimana», dice il Pontefice. «Gesù mette sulle labbra dei suoi discepoli una preghiera breve, audace, fatta», appunto, «di sette domande–un numero che nella Bibbia non è casuale, indica pienezza». Il sette significa quindi una pienezza di grazia e di presenza del Signore: non a caso vi sono sette tribù d’Israele, sette sacramenti, sette protodiaconi istituiti in At 6,1-6 (il primo rito di ordinazione della storia), sette virtù fra teologali (tre) e cardinali (quattro), e sette moltiplicato due sono le opere di misericordia.
Se comprende il numero sette, significa che il Paternoster è la preghiera perfetta, di cui il Papa sottolinea soprattutto l’audacia: «dico audace perché, se non l’avesse suggerita il Cristo, probabilmente nessuno di noi – anzi, nessuno dei teologi più famosi – oserebbe pregare Dio in questa maniera». Molto difficilmente gli uomini avrebbero compreso la paternità di Dio senza il Figlio incarnato. «Gesù infatti invita i suoi discepoli ad avvicinarsi a Dio e a rivolgergli con confidenza alcune richieste» utilizzando il medesimo appellativo che caratterizza il Suo rapporto personale con il Padre. «Non dice di rivolgersi a Dio chiamandolo “Onnipotente”, “Altissimo”, “Tu, che sei tanto distante da noi, io sono un misero”: no, non dice così, ma semplicemente “Padre”, con tutta semplicità, come i bambini si rivolgono al papà. E questa parola “Padre”, esprime la confidenza e la fiducia filiale».
Un canto in voga negli oratori negli anni 1970-1980, Preghiera per un amico che parte, a un certo punto chiede al Signore: «fa che chi lo incontra sempre possa ricordare che ogni uomo ha un padre buono come Te». Tutti gli uomini sono anzitutto figli. «La preghiera del “Padre nostro” affonda le radici nella realtà concreta dell’uomo». Il Santo Padre specifica, però, che i riferimenti alla quotidianità non si concentrano tutti nel primo versetto. «Ad esempio, ci fa chiedere il pane, il pane quotidiano: richiesta semplice ma essenziale, che dice che la fede non è una questione “decorativa”, staccata dalla vita, che interviene quando sono stati soddisfatti tutti gli altri bisogni. Semmai la preghiera comincia con la vita stessa», trae da essa alimento e motivazioni per potervi ritornare come forza santificante.
Francesco constata che «avere fede, diceva una persona» di cui non rivela il nome, «è un’abitudine al grido». Non un grido disperato, ma un clamor che è perenne tensione verso l’Alto. «Dovremmo essere tutti quanti come il Bartimeo del Vangelo (cfr. Mc 10,46-52) – ricordiamo quel passo del Vangelo, Bartimeo, il figlio di Timeo -, quell’uomo cieco che mendicava alle porte di Gerico. Intorno a sé aveva tanta brava gente che gli intimava di tacere: “Ma stai zitto! Passa il Signore. Stati zitto. Non disturbare. Il Maestro ha tanto da fare; non disturbarlo. Tu sei fastidioso con le tue grida. Non disturbare”. Ma lui, non ascoltava quei consigli: con santa insistenza, pretendeva che la sua misera condizione potesse finalmente incontrare Gesù» e ottenne di essere sanato dal Messia.
Il Papa condanna la distinzione “aristocratica”, operata nel passato, tra richiesta di intercessione e “lode pura”: sono scrupoli elitari, o dettati dalla poca fede. «Dio è il Padre che ha un’immensa compassione di noi, e vuole che i suoi figli gli parlino senza paura» e senza preconcetti.