La preghiera, dice il Papa, non è un orpello e non deve venire meno nei momenti tristi, perché Gesù continua ad esercitare il Suo sacerdozio a nostro favore.
di Michele Brambilla
L’udienza generale del’11 novembre vede lo stesso Papa Francesco annunciare che «ieri è stato pubblicato il Rapporto sul doloroso caso dell’ex-cardinale Theodore McCarrick. Rinnovo la mia vicinanza alle vittime di ogni abuso e l’impegno della Chiesa per sradicare questo male». Un modo per evitare il ripetersi di simili vicende è adottare il consiglio che il Pontefice rivolge, citando un suo santo predecessore, ai cattolici polacchi: «essere veramente liberi non significa affatto fare tutto ciò che mi piace, o ciò che ho voglia di fare. […] Essere veramente liberi significa usare la propria libertà per ciò che è un vero bene».
La preghiera è sicuramente un antidoto al peccato. Il Papa rivela che «qualcuno mi ha detto: “Lei parla troppo sulla preghiera. Non è necessario”. Sì, è necessario. Perché se noi non preghiamo, non avremo la forza per andare avanti nella vita. La preghiera è», infatti, «come l’ossigeno della vita»: senza di essa l’anima inaridisce e muore eternamente. Francesco ribadisce che «la preghiera è attirare su di noi la presenza dello Spirito Santo che ci porta sempre avanti. Per questo, io parlo tanto sulla preghiera».
«La preghiera», prosegue, «dev’essere anzitutto tenace: come il personaggio della parabola che, dovendo accogliere un ospite arrivato all’improvviso, in piena notte va a bussare da un amico e gli chiede del pane. L’amico risponde “no!”, perché è già a letto, ma lui insiste e insiste finché non lo costringe ad alzarsi e a dargli il pane (cfr Lc 11,5-8)» di cui ha bisogno. Il Pontefice fa riferimento anche ad una seconda parabola: «la seconda parabola è quella della vedova che si rivolge al giudice perché l’aiuti a ottenere giustizia. Questo giudice è corrotto, è un uomo senza scrupoli, ma alla fine, esasperato dall’insistenza della vedova, si decide ad accontentarla (cfr Lc 18,1-8)». Dio non è né un amico scocciato, né un giudice corrotto, ma «questa parabola ci fa capire che la fede non è lo slancio di un momento, ma una disposizione coraggiosa a invocare Dio, anche a “discutere” con Lui, senza rassegnarsi davanti al male e all’ingiustizia», che sembrano contraddire l’esistenza di una divinità provvidente. Quella del male è solo una vittoria apparente, perché Dio ascolta con attenzione ed esaudisce la preghiera dell’umile (Lc 18,9-14).
«L’insegnamento del Vangelo è chiaro: si deve pregare sempre, anche quando tutto sembra vano, quando Dio ci appare sordo e muto e ci pare di perdere tempo. Anche se il cielo si offusca, il cristiano non smette di pregare», perché «la sua orazione va di pari passo con la fede. E la fede, in tanti giorni della nostra vita, può sembrare un’illusione, una fatica sterile. Ci sono dei momenti bui, nella nostra vita, e in quei momenti la fede sembra un’illusione. Ma praticare la preghiera significa anche accettare questa fatica». Le “notti della fede” passano: Gesù, colui che per primo sperimentò l’angoscia nel Getsemani alla vigilia della Sua Passione, rimane sempre con noi. Come spiega il Catechismo, «Gesù “prega per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro capo; è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo, dunque, in Lui la nostra voce, e in noi la sua voce” (n. 2616)».
Giovedì, 12 novembre 2020