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La regalità anche sociale di Cristo

22 Novembre 2016 - Autore: Marco Invernizzi

I grandi mezzi di comunicazione, con poche eccezioni, stravolgono il senso della Lettera apostolica Misericordia et misera di Papa Francesco, insistendo esclusivamente sulla decisione di estendere la facoltà di assolvere dal grave peccato dell’aborto a tutti i sacerdoti, così come era avvenuto durante il Giubileo, e così facendo dimenticare tutto il resto del documento. Si tratta di una forma di “intossicazione” della comunicazione usata dai servizi segreti, in particolare dal Kgb come racconta il bel romanzo Il Montaggio, che ha come scopo quello di concentrare l’attenzione dei lettori su un punto per distogliere dal resto, nel caso specifico i 900 milioni di persone che nel mondo hanno varcato le Porte sante e il testo completo della Lettera del Pontefice, che mette al centro della “conversione pastorale” richiesta ai preti e ai fedeli il sacramento della confessione, come base per una riconciliazione che partendo dai cuori delle persone potrebbe rigenerare anche le nazioni.  

Noi ritorneremo sul documento, ma intanto celebriamo la conclusione dell’Anno giubilare ricordando le parole del Santo Padre pronunciate nell’omelia di domenica scorsa, festa di Cristo Re e giorno della chiusura della Porta Santa di Roma. 

La regalità anche sociale di Cristo è lo specifico di Alleanza Cattolica, nata con lo scopo di costruire una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, per usare le parole di san Giovanni Paolo II. Questa regalità è spesso fraintesa e viene confusa con la conquista del potere politico, con la confessionalizzazione dello Stato e della società o l’imposizione della fede o di una cultura. Così alcuni, in buona fede, ne hanno timore, come già ricordava Thomas Eliot nella sua celebre opera L’idea di una società cristiana, mentre altri la avversano ideologicamente, impregnati di quella ideologia laicista nata nel 1789 che tende a escludere la religione dalla vita pubblica delle nazioni.

In realtà, il desiderio che Gesù regni nei cuori e nelle società nasce soltanto dall’amore per la persona e dal desiderio della sua felicità eterna. Questo vuole fare intendere il Magistero quando spiega che la fede cristiana si diffonde per attrazione e non per proselitismo.

Spunti di riflessione importanti in questo senso sono contenuti nell’omelia di Papa Francesco in occasione della Festa di Cristo Re, domenica scorsa 20 novembre.

«La sua regalità è paradossale» – ha detto il Papa ricordando la festa del Signore della storia – e «il suo trono è la croce; la sua corona è di spine; non ha uno scettro, ma gli viene posta una canna in mano; non porta abiti sontuosi, ma è privato della tunica; non ha anelli luccicanti alle dita, ma le mani trafitte dai chiodi; non possiede un tesoro, ma viene venduto per trenta monete».

Presentata così, la regalità di Cristo può essere più facilmente accolta dall’uomo postmoderno, uscito dalla mentalità ideologica (se ne è uscito, naturalmente), “sazio e disperato” come diceva il card. Giacomo Biffi, oggi neppure più sazio ma soltanto disperato, cioè privo di uno scopo per la propria vita, causa principale, secondo Victor Frankl, delle malattie psicosomatiche contemporanee.

Una regalità appunto che nasce dalla volontà di cercare le persone per aiutarle; per questo «il nostro Re si è spinto fino ai confini dell’universo per abbracciare e salvare ogni vivente. Non ci ha condannati, non ci ha nemmeno conquistati, non ha mai violato la nostra libertà, ma si è fatto strada con l’amore umile che tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,7). Solo questo amore ha vinto e continua a vincere i nostri grandi avversari: il peccato, la morte, la paura».

L’accoglienza della Sua regalità, tuttavia, passa attraverso chi è in grado di testimoniarla e poi di spiegarla, cioè passa attraverso la nostra vita. Se l’amore per Cristo re non nasce nel cuore, difficilmente potrà diventare attraente per la società: «Sarebbe però poca cosa credere che Gesù è Re dell’universo e centro della storia, senza farlo diventare Signore della nostra vita: tutto ciò è vano se non lo accogliamo personalmente e se non accogliamo anche il suo modo di regnare», ha detto sempre Papa Francesco.

Per ragioni diverse, siamo spesso tentati di rifiutare la regalità, seguendo un’altra logica: «Quante volte siamo stati tentati di scendere dalla croce. La forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il regno di Dio».

La ricerca del potere e del successo sono state spesso autentiche controtestimonianze nella vita pubblica dei cattolici, non perché il successo e il potere siano in sé negativi, ma perché non sono stati utilizzati soltanto per aiutare i poveri e per diffondere il regno di Dio, ma sono diventati degli idoli che hanno provocato e continuano a provocare rancori e conflitti anche all’interno della comunità ecclesiale. La lunga stagione del potere democristiano in Italia non ha fermato il processo di scristianizzazione e contemporaneamente ha ritardato l’inizio della nuova evangelizzazione, rendendo quest’ultima poco credibile, ma qualcosa di simile avveniva anche nella Francia precedente la Rivoluzione del 1789 e in generale nei Paesi governati dall’assolutismo di Stato, illuminato o meno che fosse.

Gli errori nella storia si pagano nella storia e quanto venne dopo fu una “purificazione” permessa dalla Provvidenza, come scrisse Joseph de Maistre e come compresero i cattolici più avveduti, senza per questo rinunciare a combattere quella rivoluzione che stava approfittando delle ferite e delle contraddizioni presenti nel corpo sociale.

Oggi bisogna fare come i nostri maestri fecero allora: combattere tutte le battaglie possibili per ritardare il processo di disgregazione e contemporaneamente presentare una Chiesa “povera per i poveri”, come dice Papa Francesco, lontana dai Palazzi del potere e dal profumo del danaro, rendendo attrattivo il cristianesimo che cerca le persone per amore, imitando il suo Signore inchiodato sulla croce come un malfattore.

In questo senso, «quest’Anno della misericordia ci ha invitato a riscoprire il centro, a ritornare all’essenziale. Questo tempo di misericordia ci chiama a guardare al vero volto del nostro Re, quello che risplende nella Pasqua, e a riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è accogliente, libera, fedele, povera nei mezzi e ricca nell’amore, missionaria».

Marco Invernizzi

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