L’analista che ha contribuito alla legge: facciamo giurare i politici, Donald compreso, di non votare nuovi balzelli. Pena la gogna
C’è anche un italiano dietro alla riforma fiscale di Trump. Principale regista della campagna che ha portato a questa legge è stata infatti la Americans for Tax Reform (Atr): un «Advocay Group» che fu stabilito nel 1986 su iniziativa di Ronald Reagan apposta per difendere i suo Tax Reform Act del 1986. Grover Norquist, l’uomo cui Reagan diedel’incarico,è tutt’ora il presidente della Atr. Ma uno dei suoi più stretti collaboratori è Lorenzo Montanari: nato a Reggio Emilia nel 1974, e Direttore
dei Programmi e Affari Internazionali della Atr. Come ci spiega, «è da 30 anni che ci battevamo per una riforma di questo tipo. Non posso dire che questa riforma sia del
tutto nostra: ovviamente, c’è stato un compromesso fra molti interessi. Ma la grande
idea di Grover era sempre stata quella di abbassare la Corporate Tax, che dal 35% del livello federale più il 3,9 di quello locale arrivava al 38,9. Tantissimo, e al di sopra della media europea. Tra il 15% che proponeva Trump e il 20% e qualcosa del Congresso si è arrivati al 21%, che con la Corporate State degli Stati arriva al 24,9. E così siamo tornati in linea con la media europea».
Come ha fattola Atr a ottenere questo risultato?
«Con due strumenti. Uno è il Taxpayer Protection Pledge: un giuramento con cui i candidati si impegnano a non aumentare le tasse. Se qualcuno viola il giuramento che ha fatto noi lo denunciamo con energia: come abbiamo fatto con George Bush padre, che
infatti ha perso le elezioni. Poi ci sono gli Wednesday Meetings, in cui leader ed esponenti del mondo conservatore e libertarian possono incontrarsi per concordare strategie. Così in 30 anni siamo riusciti a ridefinire il programma del Partito Repubblicano, selezionando e scremando la sua classe dirigente».
Ma come è finito un italiano a lavorare alla Atr?
«Mi sono laureato in Scienze Politiche a Bologna, e pure a Bologna ho fatto un Master
in Relazioni Internazionali. Poi ero stato analista politico free lance sull’America Latina
e consulente di monitoraggio internazionale con l’Unione Europea. Ho pure un Master
in Political Managment alla George Washington University, dove ho lavorato come ricercatore, e ho sviluppato la prima partnership tra la George Washington University e la Iulm di Milano. Mi riconoscevo già nel mondo liberal-conservatore e nel 2008 decisi di andare negli Stati Uniti per lavorare nel ruolo della advocacy e del lobbying. La prima
settimana la passai al Leadership Institute, che è il centro di formazione di tutti gli attivisti conservatori. Lì conobbi Grover Norquist, che parlava appunto dell’Atr. Mi piacque, feci domanda e mi presero per quattro mesi. Infine nel 2012 la Atr mi ha chiamato per aprire il dipartimento internazionale e per guidare Property Rights Alliance. Abbiamo sviluppato un network di Taxpayers Groups affini alla Atr in tutto il
mondo. Dal 2007 abbiamo iniziato anche a far pubblicare un Indice dei Diritti di Proprietà, per cui è stata importante la forte amicizia che c’è tra Grover Norquist e il sociologo peruviano Hernando de Soto. In Italia è nostro partner l’Istituto Bruno Leoni. Dopo 11 edizioni oggi l’Indice è un punto di riferimento usato da 250 università e tantissimi ricercatori, oltre che da Forbes, Financial Times, Casa Bianca e Nazioni Unite».
Mala riforma fiscale statunitense sarebbe applicabile all’Italia?
«Può e deve essere considerate un modello anche per l’Italia. Certo, dovrebbe essere
appositamente adattata al nostro Sistema Paese, ma certamente può essere considerate
un ottima road-map. Soprattutto per quanto riguarda la riduzione delle tasse sull’individual income e sulla corporate tax che in Italia resta al livello altissimo del 27,9%: 24% di Ires e 3,9 di Irap. Trovo incoraggiante vedere rappresentanti del centrodestra italiano come Berlusconi o Salvini appoggiare l’idea della flat tax: un’idea altamente caldeggiata in tempi non sospetti dall’ex ministro Fitto e dall’On. Capezzone, sostenitori della flat tax e di uno schock fiscal da 40 miliardi su tasse e spesa pubblica. Personalmente credo che l’idea di una flat tax al 25% proposta dall’Istituto Bruno Leoni nella persona del prof. Nicola Rossi potrebbe essere la giusta rivoluzione per permettere all’Italia di rilanciare l’economia e i consumi».
Maurizio Stefanini
Da Libero del 23/12/2017. Foto da investireoggi.it