Di Anthony Lam da Avvenire del 02/10/2019. Foto redazionale
«Per i democratici di Hong Kong, non sempre d’accordo con i metodi dei manifestanti ma sicuramente al loro fianco, la giornata del 1° ottobre non è stata un tempo-limite alle proprie rivendicazioni. Quello che è certo è che la repressione contribuirà ad alzare ancora il livello della tensione e la risposta sarà decisa». Fino a pochi giorni fa, in molti pensavano che ieri sarebbe stato un limite invalicabile per la protesta, che Pechino non avrebbe tollerato una sfida aperta in un momento tanto importante. Invece, come conferma l’attivista cattolico Anthony Lam, la società civile di Hong Kong non smetterà di chiedere giustizia e benessere.
Il 4 settembre, il capo dell’esecutivo ha annunciato il ritiro della controversa Legge di riforma dell’estradizione che a fine maggio aveva riacceso tensioni mai sopite dalla “rivoluzione degli ombrelli” nel 2014. Perché non è bastato?
Il ritiro della legge sarebbe stato bene accolto oltre tre mesi fa, all’inizio delle proteste, ma oggi non è più sufficiente perché la popolazione di Hong Kong ha sofferto troppo e chiede concrete riforme. Il mondo guarda a Hong Kong e chi manifesta nelle strade lo fa perché è costretto ma sa anche di essere un esempio.
Che cosa chiede l’opposizione al governo locale e come pensa di piegare leadership locale e Pechino?
Noi avevamo chiesto che venisse istituito un comitato indipendente che facesse luce sulle violenze subite dai manifestanti, in maggioranza pacifici, da parte della polizia e bande violente di ignota provenienza. Una simile iniziativa è stata più volte accolta in passato, non si capisce perché Carrie Lam ancora si opponga. Come conseguenza, l’opposizione ha alzato il tiro con la richiesta di dimissioni del governo e di punizione dei responsabilidelle violenze contro i cittadini.
Dopo quattro mesi le cose sembrano sfuggire a ogni controllo. Ci sono vie d’uscita e come la leadership politica e quella della protesta possono arrivarci?
Se il governo accettasse, una possibile soluzione sarebbe di radunare i leader delle varie componenti sociali di Hong Kong (inclusi quelli religiosi) e stabilire una piattaforma di discussione, ma finora questo non è stato accolto e il colloquio della scorsa settimana tra la Lam e decine di cittadini non ha avuto alcun effetto pratico. A molti, la sua incertezza, anche comprensibile, sembra ispirata solo dal desiderio di indebolire la protesta, di prendere tempo.
Quali sono le parti coinvolte nella protesta e che cosa si aspettano di ottenere?
La risposta è semplice. Si tratta della stragrande maggioranza della popolazione di Hong Kong, che vuole che il territorio mantenga le sue prerogative di Stato di diritto, libertà civili e benessere che vanno degradandosi. La situazione sociale ed economica sta peggiorando e anche questo è motivo di malcontento.
Nelle imponenti manifestazioni delle scorse settimane, la presenza cristiana è stata costante e visibile. Perché questo impegno e qual è la posizione dei cattolici?
I gruppi cristiani sono sempre stati parte essenziale dei movimenti sociali a Hong Kong e anche oggi non si fanno da parte. Le ragioni sono molteplici e hanno a che fare anche con necessità concrete, non solo ideali, ma la fede li spinge a alzare la voce contro ogni genere di ingiustizia.