Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 224 (1993)
Dopo la consultazione del 12 dicembre 1993
La Russia «umiliata e offesa»: popoli alla ricerca di sé stessi
Per fronteggiare il crollo del mondo socialcomunista sovietico non bastano «pane e libertà»: serve un grande progetto, che soddisfi le esigenze di un grande paese e che gli impedisca di cadere vittima di nuovi inganni.
Nelle votazioni per eleggere i membri dei due rami dell’Assemblea Federale della Federazione Russa — il nuovo parlamento articolato nel Consiglio della Federazione e nella Duma di Stato, rispettivamente la Camera Alta e la Camera Bassa —, svoltesi il 12 dicembre 1993, alle urne si sono recati centosette milioni di elettori, suddivisi in novantasettemila seggi e disposti lungo undici fusi orari; erano in lizza tredici liste, di cui sei veramente contrarie al comunismo; ed erano presenti novecento osservatori stranieri, senza contare i giornalisti accreditati in permanenza o alla ricerca di uno scoop. Ed è venuta la pretesa sorpresa: un «certo» Vladimir Volfovic Zhirinovski ha ottenuto più voti dei «riformisti» di Boris Nicolaevic Eltsin.
Ci si era dimenticati troppo rapidamente che, nel 1991, di fronte allo stesso Boris N. Eltsin, nella corsa per la presidenza, Vladimir V. Zhirinovski aveva già ottenuto circa sette milioni di voti. E che, in questo paese eurasiatico, improvvisamente precipitato a zero dal punto di vista economico e geopolitico, come se avesse perso tempo per più di settant’anni, anche se i popoli che ne fanno parte non vogliono più saperne di comunismo, l’umiliazione esigeva qualcosa di più di «pane e libertà»: un grande progetto invece di un inganno sanguinoso. Ci si era dimenticati che in questo paese si deve reimparare tutto, a cominciare dalla gestione di sé stessi. Lo «Stato provvidenza» faceva tutto, garantiva tutto, anche se si lavorava poco o male, anche se si viveva da pidocchi, fatta eccezione per la nomenklatura.
E poi, improvvisamente, il vuoto. La tristezza e lo squallore di un impero disgregato e l’irruzione, con il pretesto di aiutare, di consiglieri e di affaristi, che facevano della Russia una sorta di laboratorio per esperimenti di ogni tipo, portando al proprio seguito la pornografia, il silenzio degli stranieri davanti al mercato nero divenuto la regola e, quindi, trasformando il paese in un meraviglioso trampolino per strutture mafiose già organizzate, dal momento che sono nate quando era al potere Leonid Ilic Breznev, e sono riuscite a installarsi all’interno dell’apparato comunista.
«Soprattutto nessuna caccia alle streghe!», raccomandavano i ministeri degli Esteri dei governi del mondo occidentale. Quindi, gli ex comunisti sono rimasti all’interno delle strutture in attività, oppure si sono disposti all’esterno, per approfittare, grazie ai loro cari colleghi, delle privatizzazioni, attraverso le quali impadronirsi dei beni messi in vendita, con la collaborazione della mafia oppure degli amici funzionari assolutamente disposti a compiere «crimini occulti»; cioè, hanno manovrato senza difficoltà per conservare il potere, quanto basta per bloccare o sabotare un cambiamento epocale.
Aleksandr Isaevic Solzenicyn, nella lezione magistrale tenuta nel settembre del 1993 a Schaan, nel principato del Liechtenstein, in occasione del ricevimento della laurea honoris causa da parte dell’Accademia Internazionale di Filosofia di Vaduz, ha stigmatizzato «l’attuale capitalismo nascente», che «ha promosso il saccheggio della ricchezza della nazione», e ha concluso, tre mesi prima dello svolgimento della tornata elettorale russa di dicembre: «Tutto ciò ha indotto il popolino impreparato e indifeso a provare nostalgia per l’“uguaglianza nella povertà”».
Qualche informazione su Vladimir Volfovic Zhirinovski
Da dove viene Vladimir V. Zhirinovski, tribuno di talento, i cui slogan e il cui programma proclamato potrebbero portare solo sangue e sofferenza a un paese che ha evitato la guerra civile per miracolo? Infatti, nel corso della campagna elettorale, ha affermato che, con lui, «i soldati monteranno di nuovo la guardia alle frontiere del 1975»; che, se i giapponesi volevano riprendere le Isole Curili, «vi è solamente da bombardarli, magari con bombe atomiche»; e, già tre anni fa, aveva detto agli armeni che avrebbe saputo come costringerli, senza guerra, a ritornare a far parte dell’URSS. Come? «Per fame»; e ai baltici, che la politica giusta nei loro confronti era quella di Mikhail Serghevic Gorbaciov, quella dei carri armati nelle strade…
Quarantasette anni, avvocato, ha studiato alla Scuola di Lingue Orientali e parla turco — infatti, che cosa faceva in Turchia, qualche anno fa, prima di uscire dall’ombra? —, tedesco, francese, inglese e, bene, la lingua del paese in cui è nato, il Kazakistan. Uscito da una famiglia di sei figli, questo antisemita — attualmente dice «antisionista» — è peraltro mezzo ebreo. Comunque, questo anticomunista ha beneficiato, dal 1989 al 1991, di molte protezioni: da quando è stato abolito l’articolo 6 della Costituzione, che toglieva al PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il privilegio di essere il solo partito possibile, ha fondato il Partito Liberal-Democratico, sotto lo sguardo compiacente del KGB e senza mai venire a scontro con i comunisti, se non in incidenti di scarso rilievo, dovuti ad agitatori ignari del fatto che, al momento, gli eredi di Juri Vladimirovic Andropov applicavano i suoi consigli del 1982: «Invece di repressioni senza fine, salite sui treni dei “dissidenti”, fino a controllarli e a trasformarli in compagni di strada!».
Vladimir V. Zhirinovski ha speso novecentomila dollari per la campagna elettorale. Da dove venivano? Dalla mafia o dal denaro segreto dell’ex PCUS, messo da parte dal 1987 fino all’estate del 1991, «per la brutta stagione»? La sua demagogia detta nazionalista è bastata a captare i voti degli scontenti, degli umiliati, dei russi che ricordano che il 70% dei quadri della Rivoluzione d’Ottobre, della Terza Internazionale, dell’NKVD — la polizia politica dell’URSS dal 1934 al 1936 —, erano, fino al 1938, ebrei, più numerosi degli asiatici e dei lettoni della prima ora.
Comunque, il suo braccio destro, il sessantaquattrenne Akhmet Khalitov, è un tataro.
Vi sono elementi per porsi molti quesiti quando Vladimir V. Zhirinovski afferma di voler attorno a sé solo soggetti dagli occhi azzurri, dai capelli biondi, e così via.
E ora, come la mettono gli uomini di Boris Nicolaevic Eltsin?
In attesa di poter svolgere un’analisi più approfondita dei risultati elettorali — sarà possibile soltanto alla fine di gennaio del 1994, quando si sapranno i dati definitivi regione per regione e la ripartizione dei seggi nelle due Camere —, colpisce la mancanza di carisma, il dormicchiare tranquillo, la carenza di argomenti dei «tenori» della parte eltsiniana. Quali che fossero le loro rivalità oppure le sfumature nei rispettivi programmi di riforma, parlavano proprio come se la loro vittoria fosse inevitabile.
Il popolo russo sogna l’ordine, la sicurezza nelle strade, motivazioni per i sacrifici da fare. Gli sono stati offerti discorsi e dolcetti, come al tempo del PCUS. Non si esce certamente da quasi un secolo di mancanza d’aria facendo l’abitudine alle tribune libere. Ma, dal canto suo, Vladimir V. Zhirinovski sapeva dove colpire. Senza la copertura della nuova Costituzione, oggi Boris N. Eltsin sarebbe spazzato via. Quest’ultimo, da parte sua, potrebbe fare due scelte drammatiche: 1. prestare ascolto a Egor Teymur Gaidar, leader del blocco filogovernativo Scelta della Russia, quando questo economista, un tecnico perfetto ma senza ideali e senza dinamismo, chiede immediatamente un fronte «contro il fascismo», da realizzare anche con i comunisti: il che piace certamente ai progressisti americani, che nel 1993, come nel 1945, sognano la reintegrazione del comunismo nel «gioco democratico», ma non piace certamente alla maggioranza dei popoli della Russia; 2. tentare di accordarsi con Vladimir V. Zhirinovski, facendolo entrare nel nuovo governo, ma verrebbe sopraffatto da questo agitatore perfetto.
Gli uomini di Boris N. Eltsin o i loro alleati hanno in mano più carte vincenti di quanto non si dica per imporre la stabilità economica, senza la quale non vi sarà stabilità politica, ma una Repubblica di Weimar russa. Diversamente da due anni fa, le riserve del Tesoro sono ricostituite con sette miliardi di dollari invece degli appena venti milioni alla fine del 1991. Il saldo commerciale è positivo. Le divise straniere raggiungono i diciotto milioni di dollari. Al momento, urge risanare progressivamente i circuiti commerciali, eliminando le organizzazioni mafiose, che si sono installate nelle strutture del paese e che controllano almeno un quarto dei circuiti stessi, compreso quello energetico.
Bisogna farla finita con gli stridenti contrasti fra una minoranza di nuovi ricchi e la metà del popolo russo, che vive sulla soglia della povertà. Bisogna ridare all’esercito il suo tenore morale, e fare in modo che i cittadini ritornino a sperare nel loro paese, che all’inizio del secolo XX era divenuto una potenza economica e che ha tutti i mezzi per vivere indipendente e sovrano.
Il resto dipende dagli occidentali, che hanno voluto imporre alla Russia, d’un sol colpo, lo stesso abito democratico che è stato confezionato per gli Stati Uniti d’America, per la Gran Bretagna e per la Francia, con l’arroganza di un sarto di lusso, che tratta il cliente come un ritardato. Inoltre, i russi hanno l’impressione che, con il pretesto di aiutarli, qualcuno voglia assumere il controllo delle loro ricchezze naturali. I governi occidentali devono mostrare, e non solamente a parole, di volere collaboratori e non subordinati.
Quanto all’espansionismo «grande russo», cui si richiama Vladimir V. Zhirinovski, si distruggerà da solo. I propositi di questo tribuno hanno impaurito anche i comunisti ritornati o rimasti al potere negli Stati dell’Europa Centrale o in Lituania. Se gli Stati Uniti d’America, gli Stati dell’Europa Occidentale e il Giappone dicono insieme, chiaramente e fermamente, al governo di Mosca che è fuori discussione il ritorno alla satellizzazione seguente il 1945, o a qualcosa del genere, i suoi dirigenti capiranno. Il popolo russo, dal canto suo, lo capisce già molto bene. Non vuole una nuova guerra, ma, dopo essere sopravvissuto, vuole vivere. Basta ascoltarlo. Ma fino a questo momento gli uomini di governo del mondo occidentale hanno ascoltato solamente i componenti della nomenklatura.
Pierre Faillant de Villemarest