
Di Renato Farina da Libero del 31/08/2019. Foto da articolo
Anniversario tragico. Ottanta anni fa scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Prima si mossero le grandi potenze europee. L’Italia titubò, poi, sciaguratamente, seguì. Non per convinzione, ma per golosità, opportunismo, odore di facile preda. Credemmo di spartirci il miele, inghiottimmo polvere. Fummo annientati. Questo conflitto, oltre alla distruzione delle città e delle campagne, ai caduti in Russia, in Grecia e in Africa, alle famiglie perite sotto i bombardamenti, da ultimo generò una guerra civile da cui in fondo non siamo mai usciti. Per questo è una pessima storia oltre che per il mondo, anche per noi. D’accordo, annientò il nazifascismo, distrusse l’impero bellicosissimo del Sol Levante, spazzò via i campi di sterminio di Auschwitz, Mauthausen, Dachau eccetera, non poca cosa, all’Italia consentì un cammino di libertà e di democrazia (relativa). In compenso servì a consolidare l’impero comunista sovietico e i suoi gulag, consentendo l’instaurarsi di un analogo regime in Cina. Intanto fermiamoci ai primi giorni. Essi furono caratterizzati per noi dalla «non belligeranza». Ah, questa Italia. Nei suoi capi incerta, possibilista, astuta fino alla stupidità. Era accaduto lo stesso durante il precedente conflitto mondiale del 1914-18. Noi intervenimmo, come abbiamo imparato dal sussidiario, il 24 maggio del 1915, dopo oscillazioni da mercanti. In quel caso la vittoria ci arrise. Si dice così, ma è una brutta parola da dire ai 1.240.000 morti di cui 589.000 civili.
Proprio oggi, ottanta anni fa, il 31 agosto 1939, alle ore 12,40, Hitler firmò l’ordine di attacco alla Polonia per le 4,45 del giorno successivo. Pretesto: un falso attentato a una stazione radio tedesca. Casus belli ridicolo. In realtà la questione era Danzica, sul Baltico. Morire per Danzica? L’Europa non se la sentiva di rischiare di sentire sulla sua carne i denti del lupo alemanno, preferiva la politica dell’appeasement, con cui aveva di fatto accettato l’espansionismo tedesco. La Germania era alla ricerca del suo «spazio vitale».
Stritolata dall’infame trattato di pace di Versailles che l’aveva costretta alla nera miseria e all’umiliazione dell’occupazione francese della Ruhr, il risentimento nutrì il desiderio di rivalsa. In dieci anni, dopo un putsch fallito a Monaco di Baviera nel 1923, un caporale austriaco dal fascino perverso seppe guadagnarsi l’anima del popolo tedesco. La sua ideologia totalitaria e razzista, insieme a una efficace politica economica di piena occupazione, gli avevano assicurato, ancor prima dell’imposizione di un brutale regime dittatoriale, il successo elettorale.
L’ANNESSIONE
Nel 1938 prima l’annessione dell’Austria, poi l’occupazione dei Sudeti, trovarono una debolissima reazione nei governi occidentali. A Monaco gli dissero di sì, spinti dall’Italia, Francia e Gran Bretagna. Quindi nel 1939 Hitler ingoiò come delicati bocconi la Boemia e la Moravia. Mussolini assentiva. Sapeva che la guerra era imminente, ma era cosciente che l’esercito non era pronto. La Germania ne era perfettamente al corrente. Conosceva la nostra debolezza.
In passato, prima della Anschluss, Mussolini aveva ammassato le nostre truppe al Brennero. Il Duce aveva voluto mostrarsi con il busto eretto e la mascella quadrata al Fuhrer. Ma oramai era nelle spire sinuose del cobra. Le leggi razziali non furono una impo- sizione: il processo culturale di germanizzazione promosso da Galeazzo Ciano, genero e ministro degli Esteri, era inesorabile.
Ci fu un momento in cui parve che Benito da Predappio potesse optare per una neutralità come la Spagna, come la Svezia. Fu quando proprio Ciano, di ritorno da Berlino, gli dette notizia del patto ancora segreto tra Ribbentrop e Molotov: cioè tra Hitler e Stalin. Mussolini ne fu sconvolto. Secondo il massimo storico del fascismo, Renzo De Felice, il Duce ossessionato com’era dai rapporti con l’alleato berlinese, non si capacitava come fosse stato tenuto all’oscuro della trattativa, né del resto non capiva come fosse possibile affratellarsi con i bolscevichi. Comunismo a parte, non era proprio la Russia a dover offrire i suoi territori quale “spazio vitale” (cereali, petrolio, materie prime) necessario al Reich? C’era un’altra ragione, geopolitica, che mise sul chi va là il Cavalier Mussolini. Questo patto di amicizia di fatto metteva in seria discussione il futuro predominio degli interessi italiani nella regione balcanico-adriatica già concertato con Hitler. Mussolini era troppo intelligente per non sapere di essere comunque nei guai. Qualunque fosse stata la sorte della guerra, sconfitta o vittoria della Germania, sarebbe stato parte in causa. Alla fine si convinse che l’ «ora fatale» lo spingeva nelle braccia del piccolo dittatore con il ciuffo. Se avesse trionfato il Reich, con l’Italia immobile, non avrebbe partecipato alla spartizione delle spoglie di Albione e degli altri nemici, e forse sarebbe stato colonizzato dalle croci uncinate. Se avessero vinto gli anti-nazisti le “pluto-democrazie” avrebbero depredato l’Italia e spazzato via lui stesso, considerandoci complici fascisti. Per cui “non belligeranza”, prudente ma con molti salamelecchi al Fuhrer. Paurosa e sorniona ad un tempo. Egli coltivò l’idea di una “guerra parallela”. Cioè non subordinata alle strategie di Hitler ma ai nostri interessi. Intervenire tutelando i nostri spazi vitali, ma solo quando fosse stato conveniente. Del resto era convinto di strapazzare gli inglesi in Africa, e di spezzare le famose reni alla Grecia, senza bisogno dei tedeschi. Figuriamoci.
MUSSOLINI
Eccoci all’alba del 1° settembre. L’immensa armata tedesca si muove con squassante rapidità. La sua avanzata conosce ostacoli coraggiosi ma risibili. La cavalleria polacca si schianta contro i cingoli dei panzer. La Polonia si appella alla Francia e alla Gran Bretagna, cui è legata da una alleanza. Il 3 settembre prima Londra e poi Parigi dichiarano guerra al Reich. A metà settembre si muove da Est l’Armata Rossa, Stalin decide di sopprimere con un colpo alla nuca e di seppellire nelle fosse di Katyn, nell’attuale Bielorussia, 20mila ufficiali polacchi. Iniziò così il conflitto più spaventoso della storia del mondo. Se quella del 14-18 ha preso il nome equivoco di Grande Guerra (grande in che cosa?), la Seconda è stata più grande in orrore, cadaveri, devastazioni, atrocità consapevoli. Quella Prima e Grande, assicurano gli archivi dei Paesi coinvolti, costò alla famiglia umana 17 milioni di morti. La Seconda più di 68 milioni…
Giriamo però di nuovo lo sguardo verso una protagonista minore e riluttante, che però ha una certa importanza per noi: l’Italia. Nelle tredici puntate imperdibili attingibili su Netflix, per un totale di dodici ore di resoconti di Storia della Seconda Guerra Mondiale, con filmati autentici restaurati a colori e l’intervento dei maggiori storici internazionali, il nostro Paese figura di scorcio, nessun peso strategico, solo una sequenza di sconfitte, un fardello sulle spalle di Hitler. Ci trattano così. Alleati inetti di Hitler, poi passati con le forze anglo-americane vista la mala parata per cavarsela. Il contributo partigiano a una parte e l’apporto delle camicie nere all’altra parte non sono neppure citati, totalmente trascurabili dal punto di vista dei grandi numeri. Sono pitturati di brevi sequenze l’insurrezione di Napoli e i fiori lanciati dalle segnorine ai soldati Usa a Roma, mostrato l’orrore della macelleria messicana di piazzale Loreto.
Nella primavera di quel 1940, Mussolini aveva assistito da lontano e con invidia alla guerra lampo. Gli dicevano i capi di stato maggiore: non siamo pronti. Infine si decise a convocare i vertici militari il 29 maggio, e comunicò solo ad essi che era giunta l’«ora delle decisioni irrevocabili». Non parve entusiasta. Disse loro: «La situazione attuale non permette ulteriori indugi, perché altrimenti noi corriamo pericoli maggiori di quelli che avrebbero potuto essere provocati da un intervento prematuro». Fu troppo tardi lo stesso. Hitler, furibondo, ci tenne fuori dalle trattative armistiziali. (Un’altra volta, nel 1945, ci presentammo a Parigi, alla fine del conflitto, credendo di essere trattati – lo credevano i comunisti – come potenza vittoriosa. L’inviato di Stalin, il procuratore Andrey Vyshinsky, gelò i compagni italiani. «Non conosciamo fascisti o antifascisti, ma l’Italia sconfitta che ci invase». Ce la cavammo grazie all’umiltà coraggiosa di Alcide De Gasperi e al sostegno degli americani, che contavano sul Papa come argine al comunismo).
BILANCIO DRAMMATICO
Gli italiani cosa pensavano della guerra? In quel settembre, salvo minoranze silenziate e trascurabili, stavano con Mussolini. Erano d’accordo con lui quando parve tenerli lontano dal fuoco, vicini al Duce quando li spedì in questa avventura stolta e criminale, vicini anche al suo corpo appeso e tumefatto quando ci fu da sputargli addosso. Riguardo a quei giorni dell’agosto-settembre del 1939 ci sono poche testimonianze. Ne La vita ingenua, Vittorio Gorresio, gran giornalista e scrittore, racconta come si viveva nei punti contigui al regime.
«Scoppiò infine la guerra, ed io che in redazione (del Messaggero) avevo l’incarico dei servizi esteri trascorsi i primi giorni a decifrare il significato degli ordini che il ministero della cultura popolare trasmetteva quotidianamente alla stampa. 31 agosto: “Da oggi non insistere sul motivo e sui tentativi di salvare la pace. Ogni responsabilità deriva dall’Inghilterra”. 1° settembre: “L’impostazione dei giornali deve essere la seguente: a) Simpatia per la Germania; b) Abbandonare gradualmente il tema della responsabilità inglese anche nei titoli; c) Si può fare un sottotitolo per la parte che riguarda l’opera del Duce per la soluzione pacifica; d) Non pubblicare notizie di pretese proposte di pace che sarebbero state avanzate dal Duce”. (…) Un giorno chiesi chiarimenti, facendo notare le contraddizioni: “Non ti preoccupare” mi rispose il funzionario di turno “ricordati che ci sono momenti in cui anche il contraddirsi è obbligatorio”».
Povera Italia. È abbastanza meschino consolarci sostenendo che a noi andò meglio che a tanti altri popoli. Sono però i numeri ufficiali a parlare. Unione Sovietica: 25milioni di morti; Cina: 19.600.00, Germania: 7. 418. 000; Polonia: 5 623 000; Giappone: 2 630 000; Italia: 472.354. Senza dimen- ticare sei milioni di ebrei.