[vc_row][vc_column width=”1/3″][recensioni categoria=”Romanzi” autore=”John R. R. Tolkien” pagine=”248″ prezzo=”19.00 euro” anno=”2016″ editore=”Bompiani” isbn=”978-8845281259″][/vc_column][vc_column width=”2/3″][vc_column_text]
«Kullervo figlio di Kalervo è forse il meno piacevole degli eroi di Tolkien: rozzo, lunatico, scontroso e vendicativo, oltre che fisicamente poco attraente. Eppure questi elementi conferiscono maggiore realismo al personaggio, rendendolo per assurdo seducente, nonostante tutti i difetti o, forse, proprio in virtù di essi».
È così che la curatrice Verlyn Flieger, statunitense, una delle massime esperte del tema, introduce La storia di Kullervo di J.R.R. Tolkien (1892-1973), un racconto e alcuni saggi critici sull’epica che sono l’ennesima perla ritrovata nella miniera di bozze e inediti dello scrittore e filologo inglese che Bompiani pubblica in italiano nella traduzione di Luca Manini (pagg. 248, euro 19,00).
Del testo si sa da più di 30 anni grazie all’epistolario dello stesso Tolkien (La realtà in trasparenza, trad. it., Bompiani, Milano 2001) e a J.R.R. Tolkien. La biografia (trad. it., Fanucci, Roma 2002) di Humphrey Carpenter (1946-2005). Nel 2010 l’edizione critica della Flieger è stata pubblicata su Tolkien Studies: An Annual Scholarly Review, edito dalla West Virginia University Press di Morgantown sotto la direzione di luminari quali Douglas A. Anderson, Michael D.C. Drout e la stessa Flieger, e quindi stampata in volume da HarperCollins nel 2015.
Il racconto fu composto tra il 1912 e il 1916 da un Tolkien giovanissimo, ancora studente di Lingue germaniche nell’Exeter College dell’Università di Oxford. Da poco, dal 1911, aveva approcciato anche il finlandese, lingua poi funzionale a uno dei suoi colpi di genio maggiori: la creazione di una grammatica elfica completa. E proprio dall’amore per il finlandese nacque il suo Kullervo, giacché di Kullervo ce n’è infatti un altro, nel Kalevala, il poema epico nazionale finlandese composto da Elias Lönnrot (1802-1884).
Filologo, medico e botanico con la passione per le saghe, sulla base di antichi poemi e di carmi popolari della tradizione linguistica balto-finnica della Carelia (una lingua oggi parlata da uno sparuto gruppo di persone), Lönnrot ricreò a metà Ottocento un intero ciclo mitico per restituire alla sua patria una memoria a lungo dispersa. Tolkien ne fu singolarmente colpito tanto da mettere mano a un “calco”, scritto quando ancora la Terra di Mezzo e i suoi personaggi immortalati ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli non erano ancora nemmeno abbozzati.
Lönnrot è infatti il modello artistico e culturale di Tolkien. Come lui, Tolkien accarezzò a lungo l’idea di comporre una intera nuova mitologia per la propria patria, l’Inghilterra, giudicata povera in confronto alle grandi epiche greche, latine, celtiche e scandinave. La colossale storia delle Tre Ere della Terra di Mezzo, dalla creazione dell’universo da parte di Ilúvatar ai tempi ultimi della battaglia al Nero Cancello di Mordor, avrebbero dovuto essere questo, ma Tolkien accantonò il progetto per impossibilità fisica. Aveva ragione. Il mito autentico è il prodotto di un popolo e di una storia, non di un individuo solo. Il limite del Kalevala di Lönnrot è questo e Tolkien se ne rese conto, superando il collega finlandese specie per umiltà; eppure il germe di quell’impresa meravigliosa resta sempre sottotraccia in tutta la narrativa tolkieniana. E sgorga appunto dal deforme, sfortunato Kullervo.
Sia il Kullervo di Lönnrot sia quello di Tolkien sono lontani dall’oleografia un po’ di plastica del supereroe. Il personaggio è ossianico e la scena tragica. Ci sono il male e la catastrofe, ma ne La storia di Kullervo ci sono anche più Tolkien, anche biografico, e più Terra di Mezzo che forse in qualsiasi altra narrazione dello scrittore inglese. Il Tolkien vero, però, non quello dei gadget e della cultura di massa. Il Tolkien per cui la vita è milizia, il Tolkien che sa che tutto andrà male tranne l’esito finale, il Tolkien non pessimista ma dal crudo realismo.
La storia di Túrin Turambar cantata ne Il Silmarillion, rinarrata più volte nel complesso incompiuto di The History of Middle-earth e infine ripresa ne I figli di Húrin portato a compimento dal figlio Christopher (trad. it. Bompiani, 2007) ha qui le radici. Ma il Túrin che nasce dalla mente di Tolkien, osserva la Flieger, non è più il Kullervo del Kalevala, bensì l’appropriazione debita che ne ha fatto Tolkien. Tolkien era così: della storia e della letteratura s’impadroniva, convinto che le cose come sono andate una volta siano solo il punto di partenza per un cammino molto più lungo. Il viaggio vero è entrarci per viverle. La vita, oltre che milizia, è pellegrinaggio, e nulla è già scritto una volta per tutte. A partire da Kullervo, Tolkien supera fatalismo e rassegnazione. La speranza ritorna. Umberto Eco (1932-2016) ha confessato di sognare l’impossibile: scrivere un giallo in cui l’assassino è il lettore. Tolkien lo ha fatto. Ha scritto un mondo in cui i protagonisti siamo noi lettori ogni volta che viviamo, sperando, le sue pagine.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
Il deforme eroe del “Kalevala” alle radici della Terra di Mezzo
in Libero [Libero quotidiano], anno LI, n. 77, Milano 18-03-2016, p. 27
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