In un mondo di “fluidi”, è bene ricordarsi, con Eleazaro, che la Fede è carne
di Michele Brambilla
«Nel cammino di queste catechesi sulla vecchiaia», annuncia Papa Francesco all’udienza del 4 maggio, «oggi incontriamo un personaggio biblico – un anziano – di nome Eleazaro, vissuto ai tempi della persecuzione di Antioco Epifane. È una bella figura», quella di Eleazaro. «La sua figura ci consegna una testimonianza dello speciale rapporto che esiste fra la fedeltà della vecchiaia e l’onore della fede. È uno fiero questo! Vorrei parlare proprio dell’onore della fede, non solo della coerenza, dell’annuncio, della resistenza della fede», perché la fede cattolica si porta con il giusto orgoglio.
«Il racconto biblico», spiega il Santo Padre, «narra l’episodio degli ebrei costretti da un decreto del re a mangiare carni sacrificate agli idoli. Quando viene il turno di Eleazaro, che era un anziano novantenne molto stimato da tutti e autorevole, gli ufficiali del re lo consigliano di fare una simulazione, cioè di fingere di mangiare le carni senza farlo realmente», un po’ come, qualche secolo dopo, alcuni zelanti funzionari romani suggerivano ai cristiani di gettare un po’ di incenso agli dei pagani conservando, in interiore homine, la propria professione di fede. Eleazaro, però, sfida il paganesimo: vuole che la sua testimonianza sia pubblica per dare l’esempio ai più giovani.
«Il punto centrale è questo: disonorare la fede nella vecchiaia, per guadagnare una manciata di giorni, non è paragonabile con l’eredità che essa deve lasciare ai giovani», perché essa vale la vita eterna! Non solo la sua, ma soprattutto quella degli altri. «L’antica gnosi eterodossa, che è stata un’insidia molto potente e molto seducente per il cristianesimo dei primi secoli, teorizzava proprio su questo, è una cosa vecchia questa: che la fede è una spiritualità, non una pratica; una forza della mente, non una forma della vita», mentre invece informa anima e corpo. La fede è carne, non solo spirito, ma «la seduzione di questa prospettiva è forte, perché essa interpreta, a suo modo, una verità indiscutibile: che la fede non si può mai ridurre a un insieme di regole alimentari o di pratiche sociali. La fede è un’altra cosa. Il guaio è che la radicalizzazione gnostica di questa verità vanifica il realismo della fede cristiana, perché la fede cristiana è realistica, la fede cristiana non è soltanto dire il Credo, ma è pensare il Credo, è sentire il Credo, è fare il Credo», incentrato sull’Incarnazione di Dio.
«La tentazione gnostica che è una delle – diciamo la parola – eresie, una delle deviazioni religiose di questo tempo, la tentazione gnostica rimane sempre attuale. In molte linee di tendenza della nostra società e nella nostra cultura, la pratica della fede subisce una rappresentazione negativa, a volte sotto forma di ironia culturale, a volte con una occulta emarginazione», denuncia. La società contemporanea spinge i cattolici a nascondersi, se va bene, in sacrestia, perché il mondo deve procedere secondo criteri completamente diversi. Invece, «la pratica della fede non è il simbolo della nostra debolezza, ma piuttosto il segno della sua forza. Non siamo più ragazzi. Non abbiamo scherzato quando ci siamo messi sulla strada del Signore», dice a tutti i presenti, anziani e “anziani spirituali”.
«La fede merita rispetto e onore fino alla fine: ci ha cambiato la vita, ci ha purificato la mente, ci ha insegnato l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo» e, guardando a noi, tanti altri faranno altrettanto, scegliendo di mettersi alla sequela del Vangelo.
Giovedì, 5 maggio 2022