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La “teologia del lamento” e le divisioni nella Chiesa

3 Ottobre 2016 - Autore: Marco Invernizzi

Una importante meditazione di Papa Francesco ci invita a riflettere sulle divisioni nella vita della Chiesa. Commentando il 12 settembre le parole della prima lettera di San Paolo ai Corinzi (11, 17-26), il Pontefice ha ricordato le «divisioni ideologiche, teologiche, (che) laceravano la Chiesa: il diavolo semina gelosie, ambizioni, idee, ma per dividere! O semina cupidigia: pensiamo ad Anania e Saffira, ai primi tempi». Perché, ha rimarcato, «sin dai primi tempi le divisioni ci sono state e quello che fa la divisione nella Chiesa è distruzione: le divisioni distruggono, come una guerra: dopo una guerra tutto è distrutto e il diavolo se ne va contento».

La divisione si insinua astutamente nel nostro cuore, senza farsi riconoscere inizialmente e nascondendosi dietro pretesti assolutamente legittimi. È vero o no che tante cose non vanno nella Chiesa? È vero o no che tante persone, anche autorevoli, seminano eresie più o meno consapevolmente, oppure danno scandalo con la loro vita, oppure sono avare, mentono e si comportano con arroganza?

E allora ogni occasione è buona per criticare, accusare e scoraggiare. Nasce la “teologia del lamento“. Spesso serve a giustificare il proprio “fare nulla“, ma molte volte si traduce in un attivismo frenetico, ma che porta soltanto o soprattutto rancori, maldicenze, pettegolezzi, che sembrano partire dallo scandalo per il comportamento degli uomini importanti della Chiesa (e qualche volta sono scandali autentici), ma che molte volte  sono semplicemente l’espressione di un rancore profondo, che può avere origini diverse.

Certamente  esiste la crisi della Chiesa. Esiste dal tempo del beato Paolo VI, che la denunciò con parole diventate famose, ed esisteva anche prima, come per esempio si comprende dalla lettura dell’ultimo libro-intervista di Benedetto XVI, dove parla di come negli Anni cinquanta molti come lui erano consapevoli di come la teologia neoscolastica del tempo non fosse più in grado di comunicare con l’uomo contemporaneo e fosse necessario un nuovo approccio per parlare agli uomini di quell’epoca.

Questa crisi ha una storia e dei personaggi che la hanno sostenuta, dal giansenismo al modernismo fino al progressismo postconciliare. Però questa crisi non deve diventare un’ossessione e trasformarsi in un continuo lamento, come se nella Chiesa non ci fosse sempre qualcosa di buono, come se lo Spirito santo avesse smesso di sostenere e guidare il corpo di Cristo, pur nelle molte contraddizioni.  Infatti, un atteggiamento del genere divide invece di risanare, ferisce l’unità del corpo invece di rinnovarla. Come possiamo pensare di attirare le persone a Cristo e alla sua Chiesa se di quest’ultima mostriamo sempre e soltanto il volto dilaniato dalle divisioni ideologiche e dalle debolezze esistenziali?

La storia della Chiesa è piena di divisioni e di tradimenti. Di fronte al male e agli errori si può reagire in modi diversi, lasciandosi annichilire oppure ricordandosi che il primo dovere del nostro apostolato consiste nel lasciare trasparire la gioia di essere stati “presi” da Cristo e da Sua Madre. Le divisioni hanno avuto diverse origini: il denaro e l’ambizione, ma anche le ideologie o le diverse posizioni teologiche. Ci sono diversi modi di reagire di fronte a esse: San Francesco ha ricordato con la testimonianza della propria vita il valore inestimabile nel cristianesimo della povertà evangelica, ma lo ha fatto nell’obbedienza assoluta. Lutero ha risposto alla crisi della Chiesa rompendo la comunione. Spesso le parole sono armi letali, come sono diventate le 95 tesi di Lutero del 1517, quando diedero inizio alla ribellione protestante. Sono come un’azione terroristica, dice Papa Francesco, perché portano alla divisione.

Per decenni le calunnie contro Pio XII hanno trovato sponde dentro la Chiesa, anche se erano infondate, perché si voleva fargli pagare il suo anticomunismo. Per decenni, in senso contrario, si sono levate voci contro Paolo VI, accusandolo di essere favorevole al neomodernismo, nonostante il suo magistero sostenesse il contrario. In questo caso il risultato è stato uno scisma, quello di Ecône, ma contro Pio XII è esistito ed esiste uno “scisma sommerso” fatto di ostracismo e oggettiva “collusione con il nemico”. Per decenni abbiamo ascoltato le critiche contro certi gesti di Giovanni Paolo II, a seconda dell’impostazione ideologica: chi criticava la Dominus Jesus e chi l’incontro di Assisi, dimenticando che l’unicità salvifica di Cristo e l’ecumenismo possono e devono convivere perché non solo non sono contraddittori, ma entrambi i gesti hanno di mira l’unità.

Così oggi i nostalgici di Benedetto XVI criticano ferocemente Francesco e generano amarezza e rancori, mentre esistono seguaci del regnante Pontefice che ne compromettono l’opera missionaria presentandolo per quello che non è.

Prendiamo dunque sul serio il monito del Santo Padre e facciamo un esame di coscienza sull’uso improprio delle nostre parole, che spesso feriscono e producono solo amarezza. Certo esiste sempre un buon motivo per lamentarsi, ma non esiste un lamento utile alla causa di Dio se non viene fatto con grande prudenza, con ricercata carità, con la volontà di non rompere, ma di integrare, di sanare e non di esasperare il contrasto, di amare e servire la verità ma anche di esercitare la mitezza e la pazienza di cui Gesù è sempre stato maestro.

Marco Invernizzi

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