Nella recente “Conferenza delle Parti” COP27, svoltasi a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre, i principali leader politici mondiali hanno riconfermato la necessità e l’urgenza di proseguire nella transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. La guerra in Ucraina è considerata un’occasione per accelerare verso tale obiettivo: illusione o realtà?
di Maurizio Milano
In una recente analisi di Mark P. Mills, esperto di energia e tecnologia e senior fellow del Manhattan Institute, intitolata «Illusione della “Transizione Energetica”: un Reset della Realtà», l’autore dimostra, dati alla mano, che la scelta politica di abbandonare i combustibili fossili per spostarsi verso le tecnologie “SWB” (acronimo di Solar, Wind, Batteries), ovvero energia solare ed eolica con accumulo a mezzo di batterie, è tecnicamente impossibile. L’interesse di tale analisi è che essa non parte dalla vexata quaestio del cosiddetto “riscaldamento climatico di origine antropica”, dalle supposte “perdite e danni” del cambiamento climatico e dalla conseguente necessità e urgenza della transizione energetica, al centro della recente COP27: lo studio, invece, muove dai limiti fisici del modello SWB. Secondo l’autore, la transizione energetica perseguita non è compatibile con le esigenze attuali, e ancora meno prospettiche, dei sistemi industriali e delle famiglie, nei Paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. In altre parole, anche se i politici continueranno a investire risorse finanziarie immense, spesate su contribuenti e consumatori, perseguendo il miraggio della decarbonizzazione con emissioni nette di anidride carbonica (CO2) a zero per il 2050 – continuando così a falsificare la concorrenza e a creare scarsità facendo lievitare i prezzi energetici, e alimentari – tale obiettivo non potrà comunque essere raggiunto a causa di limiti fisici, oggettivi e verificabili. Da qui il riferimento, nel titolo dell’analisi, a un necessario “reset della realtà”: insomma, un “ritorno al reale” alla Gustave Thibon (1903-2001), di cui si sente davvero la necessità e l’urgenza in un momento storico dominato da prospettive ideologiche che si prefiggono di sfruttare le crisi, vere o presunte, per “ripensare, resettare e reimmaginare il nostro mondo”.
Mills mette in evidenza come le economie globali stiano affrontando un potenziale shock energetico, il terzo nell’ultimo mezzo secolo, dopo la crisi petrolifera tra l’autunno del 1973 e l’inverno del 1974 con l’esplosione del prezzo del greggio a seguito della “Guerra del Kippur” (6-25 ottobre 1973) e quindi la seconda crisi petrolifera a seguito della rivoluzione iraniana del 1978-79. Il conflitto militare in corso in Ucraina ha messo in evidenza come «il mondo rimanga profondamente dipendente da forniture affidabili di petrolio, gas naturale e carbone». I decisori politici si stanno rendendo conto, secondo l’autore, dell’«enorme difficoltà di rimpiazzare anche un mero 10% degli idrocarburi globali – la quota fornita dalla Russia – per non parlare dell’impossibilità di rimpiazzare il fabbisogno complessivo mondiale degli idrocarburi con le tecnologie SWB, solare, eolico e batterie. Due decenni di politiche ambiziose e migliaia di miliardi di dollari Usa di investimenti, la maggior parte sulle tecnologie SWB, non hanno prodotto una “transizione energetica” con l’eliminazione degli idrocarburi. Al di là delle motivazioni ispirate all’evoluzione climatica, è un’illusione pericolosa credere che spendendo ancora di più, e più velocemente, si otterrà il risultato. La lezione dei decenni recenti ha reso evidente come le tecnologie SWB non possano essere incrementate in caso di bisogno, e che non siano neppure intrinsecamente “pulite” e indipendenti dagli idrocarburi, oltre a non essere economiche. L’unico modo per abbassare in modo significativo i prezzi dell’energia mantenendo economie floride – sganciandole dalla dipendenza dal petrolio e dal gas naturale russo – è di incrementare radicalmente la produzione di idrocarburi […] risparmiando al mondo migliaia di miliardi di dollari». Le nuove tecnologie SWB possono quindi fornire certamente un contributo incrementale, ma non rimpiazzare gli idrocarburi, «da cui dipende circa l’84% del fabbisogno mondiale di energia, un semplice calo del 2% rispetto a 20 anni orsono [a fronte di] un 5% coperto da solare ed eolico».
Un discorso realistico, che contraddice la vulgata dello sviluppo sostenibile e del mito del Green New Deal,propagandato dall’Agenda ONU 2030, dalla Commissione Europea, dall’Amministrazione Biden e dal World Economic Forum di Davos. Proseguire lungo la strada della de-carbonizzazione – o addirittura accelerare portando l’obiettivo del taglio di emissioni di CO2 per il 2030, rispetto ai livelli del 1990, dal precedente 55% ad almeno il 57%, come deciso dall’Unione Europea alla COP27 – contribuirà inevitabilmente alla crescita dell’inflazione. Oltre alle politiche monetarie e fiscali ultra-espansive, tra le cause dell’impennata dei prezzi degli ultimi 12-18 mesi ci sono, infatti, anche le politiche energetiche di abbandono del nucleare e gli inadeguati investimenti negli idrocarburi, la cui criticità è stata messa a nudo, ma non determinata, dalla guerra in Ucraina.
Sulle politiche energetiche si nota poi una strana saldatura tra la “base” dei movimenti ecologisti catastrofisti e il “vertice” politico-economico-finanziario globalista, entrambi accomunati dal disinteresse ideologico per quegli investimenti che consentirebbero di continuare a migliorare la tecnologia, e quindi ridurre il fabbisogno di energia, l’emissione di CO2 e l’inquinamento, per meglio convivere col supposto riscaldamento climatico. Invece del bene possibile si sta inseguendo un sogno: ingenuamente, a meno che tale sogno,in realtà, altro non sia che la narrazione strumentale all’imposizione dall’alto di un cambio di paradigma economico-sociale-politico, col superamento di quanto rimane dei già ridotti spazi di libertà economica privata, di sussidiarietà e di sovranità nazionale. La prospettiva che si apre, come oramai apertamente dichiarato a tutti i livelli, è infatti quella di una rinnovata pianificazione statalistica e sovranazionale, col rischio di indurre politicamente delle decrescite assai poco felici, comprimendo proprietà, libertà e autonomia personale e famigliare, a partire dai più deboli: un processo in corso da molti anni, in accelerazione post-CoViD, di cui si vedono chiaramente i primi effetti.
Mills insiste sull’esistenza di limiti insuperabili nella “fisica dell’energia”, sottolineando che non possiamo aspettarci degli sviluppi nella tecnologia SWB anche solo lontanamente paragonabili a quelli esponenziali di cui ha beneficiato il settore informatico: pensiamo, ad esempio, alle prestazioni delle batterie al litio, che seppur triplicate dalla loro introduzione denotano dei tassi decrescenti di miglioramento. Per quanto la tecnologia SWB possa ancora migliorare, le tempistiche pianificate dai governi non sono quindi adeguate alle esigenze attuali, né tantomeno a quelle future. Per costruire una batteria di un’auto, ad esempio, occorrono decine e decine di chilogrammi di metalli industriali, dal litio al cobalto, dal rame alle terre rare, costosi e spesso concentrati in Paesi con rischi geopolitici, come la Russia e la Cina. Se davvero bisognasse sostituire tutto il parco auto attuale nel mondo, e magari dare la possibilità anche alle famiglie dei Paesi in via di sviluppo di potere beneficiare in futuro di un’auto propria, è evidente come la quantità di materiali necessari sarebbe spropositata rispetto alla possibilità di estrarli e lavorarli, senza parlare dei tempi e dei costi. Anche da un punto di vista puramente ecologico, occorrono verosimilmente decine di migliaia di chilometri perché un’autovettura elettrica “ammortizzi” la CO2 emessa in fase di produzione, data la necessità «dell’estrazione di circa 250 tonnellate di materiale per costruire la batteria»: il green, quindi, non è neppure così pulito come viene presentato.
L’autore evidenzia come «le conseguenze della soggiacente fisica dell’energia siano visibili in cinque punti chiave: i costi reali, la velocità dei grandi sistemi, l’utilizzo di materiali per la costruzione dei macchinari, la localizzazione dei fornitori dei materiali chiave e l’impatto inflazionistico nel forzare i mercati ad adottare sistemi energetici ad alta intensità di materiali».
Costi. I costi reali delle tecnologia SWB sono molto superiori a quelli apparenti, perché si tratta di industrie fortemente finanziate con investimenti pubblici, scaricati in modo neppure trasparente sui contribuenti. Se cessassero tali sussidi, i costi salirebbero decisamente, danneggiando i consumatori, per esempio rendendo beni di lusso le auto elettriche. Mills evidenzia come i costi delle batterie dovrebbero diminuire di venti volte per renderle confrontabili con le fonti energetiche tradizionali, ma tale ipotesi è impossibile per limiti fisici, legati ai materiali utilizzati, che rendono piuttosto probabile un futuro incremento dei costi di produzione. Sulle auto elettriche, ulteriori problemi sono poi legati sia all’autonomia di percorrenza sia ai tempi lunghi necessari per le ricariche, con ovvie implicazioni sull’autonomia negli spostamenti e sui costi per costruire stazioni di rifornimento che, dati i tempi di ricarica, dovrebbero moltiplicare i punti di accesso. I maggiori costi si abbatterebbero necessariamente su tutta la struttura produttiva, distributiva e di consumo, rischiando di mettere fuori mercato interi comparti, a partire da quelli più energivori. Per di più, vista l’elevata dipendenza dell’energia solare ed eolica da fattori climatici, ed essendo molto costoso immagazzinare l’energia prodotta a mezzo di batterie, si rischierebbe di avere periodiche cadute nelle forniture che potrebbero portare a periodici e improvvisi lockdown energetici.
Velocità. Mills evidenzia come la decisione di rendersi indipendenti da gas e petrolio russo, e in generale dai combustibili fossili, accelerando sulle rinnovabili richieda investimenti di portata tale da apparire irrealistici, sia lato economico-finanziario sia semplicemente dal punto di vista delle potenzialità costruttive degli impianti che sarebbero necessari, nei tempi pianificati.
Materiali. L’autore ricorda che «i sistemi energetici comportano l’uso di minerali e materiali per costruire i macchinari necessari e le infrastrutture fisiche [con una] transizione energetica che è “uno spostamento da un sistema energetico ad alta intensità di combustibili a uno ad alta intensità di materiali” [con stime] di incremento delle forniture dei materiali come il litio, la grafite, il nickel e le terre rare del 4.200%, 2.500%, 1.900% e 700%, rispettivamente, entro il 2040». Queste necessità non sono dovute a «errori di progettazione ma sono inerenti alla natura delle tecnologie SWB». Per costruire un’auto elettrica, ad esempio, occorrono «circa 180kg in più di alluminio e circa 70kg in più di rame, rispetto a un veicolo tradizionale alimentato a benzina […] Questi sono incrementi significativi quando si costruiscono milioni di veicoli elettrici annualmente e allo stesso tempo occorre sostenere la domanda esplosiva degli altri minerali, necessari per la costruzione di altri impianti eolici/solari oltre che per batterie di accumulo energetico. Senza parlare del fabbisogno nascosto di idrocarburi nel settore minerario che, anche prima dell’espansione per soddisfare la maggiore domanda nella transizione già utilizza circa il 40% dell’energia dell’industria globale […] La sostituzione completa degli idrocarburi utilizzando le tecnologie SWB richiederebbe una quantità di minerali superiore alle riserve globali conosciute […] e comporterebbe quindi l’apertura di molte più miniere di quelle che esistono ora, e molto più velocemente che in qualsiasi altro momento della storia […] Ciò significa che, indipendentemente dai prezzi, dalle politiche e dalle regolamentazioni, il mondo non sarà in grado di costruire i macchinari per soddisfare le aspirazioni di transizione». Per di più, i movimenti ecologisti che spingono per le rinnovabili sarebbero probabilmente i primi a ostacolare l’apertura delle nuove miniere necessarie per realizzarle: un cortocircuito evidente.
Fornitori. Al momento «ci sono molti fornitori di idrocarburi, e i produttori dominanti hanno solo una frazione della quota di mercato rispetto a quella dei materiali per l’energia». Molti dei minerali e materiali necessari per la transizione energetica sono invece concentrati in pochi Paesi, alcuni dei quali comportano elevati rischi di tipo geo-politico. «La quota di mercato complessiva dei materiali necessari per la transizione della Cina è doppia rispetto alla quota di mercato OPEC del petrolio. La Cina è anche il primo produttore di alluminio […] con una quota di mercato del 40%», sottolinea l’autore. Accrescere la dipendenza da pochi fornitori, per di più con regimi autoritari, su un tema centrale come quello energetico, rappresenta un rischio “esistenziale” che nessun Paese sviluppato dovrebbe correre. In un suo noto aforisma, Henry Kissinger (1923-) diceva che «chi controlla l’energia può controllare interi continenti»: un rischio geopolitico che andrebbe preso sul serio.
Prezzi solare, eolico, batterie. La transizione energetica verso le tecnologie SWB comporterebbe un incremento della domanda delle materie prime necessarie di portata tale da indurre forti tensioni inflazionistiche, con ricadute pesantissime sui sistemi produttivi, distributivi e sui consumatori e contribuenti. I limiti fisici dell’energia sono particolarmente evidenti nelle batterie, dove i miglioramenti tecnologici si confronteranno con prezzi dei materiali in forte crescita, rendendo quindi improbabili diminuzioni future dei prezzi. Senza considerare che «ironicamente, il petrolio e il gas pesano per circa i due-terzi dell’energia utilizzata nel settore minerario […] Le politiche di transizione che faranno salire i costi degli idrocarburi inflazioneranno anche in modo diretto i costi delle estrazioni e dei minerali».
In conclusione, l’analisi di Mills dimostra chiaramente che la transizione energetica, ammesso che sia necessaria e urgente, o comunque desiderabile, rimane tecnicamente impossibile, a meno che non si intenda, ad esempio, rendere le auto private un bene di lusso per pochi privilegiati, tenere sotto controllo la popolazione mondiale abbassando gli standard di vita e limitando la possibilità di spostarsi e di viaggiare e di beneficiare delle moderne comodità a cui pochi, al di là della retorica, sarebbero davvero disposti a rinunciare: una prospettiva decrescista che potrebbe apparire romantica ma che in realtà porterebbe indietro di cent’anni il benessere raggiunto, respingendo milioni di persone in condizioni di povertà estrema. Data la popolazione mondiale e le legittime aspettative di miglioramento di vita dei Paesi meno sviluppati, l’energia sarà sempre più un bene primario e strategico: disporre di energia affidabile, a basso prezzo e con un ampio mix di fonti e di fornitori di approvvigionamento deve quindi considerarsi prioritario per la sicurezza e il benessere nazionale di ogni Paese e per preservare la civiltà per come la conosciamo.
Per chi ha a cuore il bene comune, la priorità non deve quindi essere la transizione, bensì la sicurezza energetica, e molto bene ha fatto il governo Meloni a ridenominare in tal senso il Ministero dell’Ambiente. È verosimile che anche altri Paesi, a cominciare dalla Germania, saranno presto chiamati a fare i conti con il reale: il “socialismo verde” indotto dalla supposta emergenza, climatica ed energetica, è un lusso che il mondo non può permettersi.
Martedì, 22 novembre 2022