Con la benedizione degli ulivi e la solenne processione che precede la celebrazione principale della Domenica delle Palme la liturgia «ci ha invitato a intervenire e partecipare alla gioia e alla festa del popolo» che accolse Gesù a Gerusalemme in prossimità della fatidica Pasqua ebraica del 30 d.C., tuttavia la lunga lettura della Passione ci ha ricordato, subito dopo, che questa gioia «si appanna e lascia un sapore amaro» perché celava il piano di morte che i sommi sacerdoti e i farisei stavano architettando da tempo contro il Messia, come afferma Papa Francesco all’inizio dell’omelia pronunciata in piazza S. Pietro la mattina del 25 marzo.
In un’epoca in cui si straparla di “fake news” e di manipolazione dell’opinione pubblica il Papa addita quanto accadde nel pretorio di Pilato. Il “Crucifige” «non è un grido spontaneo, ma il grido montato, costruito, che si forma con il disprezzo, con la calunnia, col provocare testimonianze false» e trasforma, nel giro di pochi giorni, la folla spontaneamente osannante nella turba sanguinaria del Venerdì Santo.
«E così alla fine si fa tacere la festa del popolo, si demolisce la speranza, si uccidono i sogni, si sopprime la gioia; così alla fine si blinda il cuore, si raffredda la carità». Gesù però risponde ai frutti dell’odio con la logica del «(…) “patire con”, la compassione, che è la debolezza di Dio». Debolezza che non significa rassegnazione davanti al male, ma un consegnarsi spontaneo, per amore dell’uomo, affinché dalla morte di Uno solo scaturisca la vita eterna per tutti.
Anche per i fedeli «di fronte a tutte queste voci urlate, il miglior antidoto è guardare la croce di Cristo e lasciarci interpellare dal suo ultimo grido. Cristo è morto gridando il suo amore per ognuno di noi: per giovani e anziani, santi e peccatori, amore per quelli del suo tempo e per quelli del nostro tempo. Sulla sua croce siamo stati salvati affinché nessuno spenga la gioia del vangelo; perché nessuno, nella situazione in cui si trova, resti lontano dallo sguardo misericordioso del Padre».
Francesco formula questa esortazione davanti ad una piazza S. Pietro piena di giovani per la Giornata annuale della gioventù. In mezzo a quei giovani spiccano i ragazzi convocati in Vaticano per preparare il Sinodo di ottobre sulla pastorale giovanile e il discernimento vocazionale. «(…) cari giovani, la gioia che Gesù suscita in voi è per alcuni motivo di fastidio e anche di irritazione, perché un giovane gioioso è difficile da manipolare. Un giovane gioioso è difficile da manipolare!». Il Papa ricorda che «far tacere i giovani è una tentazione che è sempre esistita», riecheggiando Gv 21,15: «i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel Tempio “osanna al figlio di Davide”, si sdegnarono e gli dissero: “non senti cosa dicono costoro?”».
La verità, tuttavia, trionfa sempre, a volte sotto la forma paradossale del martirio. La testimonianza dei giovani deve però incontrare l’esemplarità degli adulti, pertanto il Papa conclude con un appello: «cari giovani, sta a voi la decisione di gridare, sta a voi decidervi per l’Osanna della domenica così da non cadere nel “crocifiggilo!” del venerdì. E sta a voi non restare zitti. Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili – tante volte corrotti – stiamo zitti, se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi griderete? Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre».