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La verità sulle elezioni in Polonia

30 Novembre 1993 - Autore: Pierre Faillant de Villemarest

Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 223 (1993)

 

La verità sulle elezioni in Polonia

 

Dieci anni dopo la morte, Juri Vladimirovic Andropov trionfa a Varsavia
con l’andata al potere di nazionalsocialisti garantiti dai governi occidentali.
L’analisi di Pierre Faillant de Villemarest si avvale di informazioni fornite, da Cracovia, da Lenis Roch e, da Varsavia, da Urzula Doreszewska.

Secondo le analisi correnti delle elezioni che si sono svolte in Polonia il 19 settembre 1993, cin­quan­taquattro anni dopo che la Germania na­zio­nal­so­cialista e l’Unione Sovietica si sono divise le spoglie di questo paese, il loro risultato avrebbe sor­preso i ministeri degli Esteri.

Ora, chiunque avesse soggiornato a Varsavia prima della tornata elettorale — è il mio caso — era in grado di pre­vedere se non un successo tanto consistente dei comunisti — organizzati nell’Alleanza della Sinistra Democratica, nel Partito Contadino e nell’Unione del Lavoro —, almeno il loro nuovo peso in parlamento. Infatti, dopo l’estate del 1992, Lech Walesa e i suoi alleati dell’Unione Democratica hanno fatto di tutto per spazzare via i partiti e i movimenti autenticamente nazionali. Insieme, nel giugno del 1992, avevano fatto cadere il solo governo veramente anticomunista giunto al potere in Polonia dopo il 1939, perché il primo ministro, Jan Olszewski, e i ministri dell’Interno e della Difesa avevano scatenato non certo una «caccia alle streghe», ma osato licenziare vecchi agenti del KGB e della polizia segreta comunista. E fatto sapere all’opinione pubblica che almeno settantaquattro funzionari dei ministeri, dell’amministrazione e della polizia avevano lavorato per questo o per quell’apparato comunista sovietico, quindi dovevano almeno essere messi in pensione. Invece, è stato bocciato il Governo.

Quindi giornali nazionali e anticomunisti, per nulla estremisti, come il quotidiano Nowy Swiat, «Mon­do nuovo», la rivista Spotkania, «Incontri», e così via, sono stati perseguitati e costretti a chiudere, le radio e due reti te­levisive accuratamente «normalizzate», men­tre diverse pubblicazioni del­l’Esta­bli­shment statunitense — Newsweek, Businnes Week, The Wall Street Journal — insinuavano che le liste degli ex agenti comunisti sovietici erano «dubbie». Finalmente, Lech Walesa, pur dichiarando che non erano «credibili», si serviva di tali liste — per esempio — per allontanare da sé uno dei suoi collaboratori più vicini, citati in esse. Egli privava delle sue funzioni un ufficiale dei servizi di sicurezza, Adam Hodysz, che, durante lo stato d’assedio, aveva informato Solidarnosc mettendo a repentaglio la propria vita, con il pretesto che, «chi aveva tradito ieri i suoi padroni, poteva tradire anche quelli attuali»…

Perché il 49% di astensioni

Disorientata, l’opinione pubblica ha dedotto da tutto questo che i governi occidentali volevano indubbiamente una Polonia economicamente funzionante, ma che non fosse politicamente anti­co­mu­ni­sta al punto da epurare i propri funzionari pubblici. Questo spiega in gran parte l’astensionismo, il 49% dei 28 milioni di iscritti nelle liste elettorali, la cui maggioranza è costituita da cattolici gravemente delusi da tutta una parte dell’alto clero, all’interno del quale una minoranza auspicava uno «Stato clericale» e un’altra frazione il mantenimento al po­tere di una sorta di sinistra democratica legata ai diktat dei politici e degli economisti progressisti d’America e dell’Europa Occidentale.

Un’altra ragione delle astensioni — oltre a quelle che indicherò più avanti — è stata la predisposizione di una legge elettorale che, con ogni evidenza, intendeva impedire il permanere in parlamento di una rappresentanza autenticamente nazionale e cristiana piuttosto che eliminare lo spezzettamento dell’opinione pubblica in un numero dis­sen­na­to di partiti e di gruppuscoli.

Infatti a chi di dovere era noto che la sinistra, inquadrata da 900.000 comunisti della vecchia no­men­klatura, sarebbe andata alle elezioni in tre formazioni, ma coordinate dietro le quinte allo scopo di dividersi un eventuale successo della sinistra. E che la «destra», presa nella trappola della molteplicità «ragionevole», nel nome della democrazia e del pluralismo delle opinioni, non poteva trovare un punto d’intesa per vincere.

Infatti, mentre la KPN, la Confederazione per una Polonia Indipendente, ha giocato da sola, i partiti nazionali non sono riusciti a costituire una coalizione con liste uniche. Al punto che, alla vigilia della data ultima per la presentazione delle liste, l’animosità personale fra Ieroslav Kaczynski, presidente del Partito del Centro, e Jan Olszewski, capo della coalizione fra Cristiani Nazionali, Movimento per la Repubblica — di Jan Parys, ex ministro della Difesa — e così via, ha portato Ieroslav Kaczynski a rompere ogni alleanza. Perciò, la destra cristiana e nazionale, andata allo scrutinio in formazioni separate, non ha raggiunto la percentuale necessaria per ottenere i seggi equivalenti al suo peso nel paese. Pur totalizzando cinque milioni di voti su poco più di quat­tordici milioni di votanti, non ha nessun seggio in par­lamento, mentre la sinistra social­co­mu­nista, con nep­pure sette milioni di voti, ha raccolto 300 seggi su 460.

Le ragioni principali del «successo» comunista

I socialcomunisti hanno giocato bene. In Polonia vi sono sette milioni di pensionati. A costoro hanno detto, giorno e notte, che avrebbero dato loro quanto il governo uscente rifiutava, cioè l’indiciz­za­zio­ne delle pensioni sulla base del costo della vita e anche un aumento delle pensioni stesse.

In Polonia vi è un 40% di contadini. I social­comu­ni­sti hanno detto ai contadini che, non essendo stati collettivizzati ieri — infatti è il solo paese in cui il 70% dei contadini non lo è stato —, adesso non rischiavano nulla. E avrebbero anche avuto nuovi materiali e sovvenzioni.

«La maggior parte degli uomini d’affari ci ha sostenuto», ha detto alla stampa Aleksander Kwa­s­niew­ski, capofila dei socialcomunisti. Infatti, almeno il 56% dei «nuovi» padroni, nati dalle pri­va­tiz­za­zioni, hanno finanziato la sinistra. Perché? Perché sono uomini dell’apparato che al momento giusto, nel 1989, hanno fatto la svolta democratica e si sono lanciati negli affari e nelle priva­tiz­za­zioni. Sia con il denaro del partito comunista che con quello degli occidentali. Facile! Sapevano in anticipo ciò che sarebbe stato messo in vendita…

Quanto preconizzava Juri Vladimirovic Andropov

Nel 1982, Juri Vladimirovic Andropov, quando era il numero uno dell’URSS, dopo essere stato per quattordici anni alla testa del KGB, preconizzava la necessità, per evitare l’esplosione dell’impero e, comunque, per permettere la sopravvivenza del comunismo, di «precedere le riforme». Ha così ripreso nell’Europa Orientale il sistema dei «fronti nazionali» del 1945-1947, cioè prima della guerra fredda, e ha sostituito ai quadri troppo vecchi e irrigiditi giovani comunisti che si sarebbero dichiarati democratici, socialisti, e così via… Mikhail Sergheevic Gorbaciov ha ripreso questo piano dopo il 1986 e fino al 1991. Se non è riuscito a controllare il suo svolgimento, vi è riuscito il KGB.

Un’opera pubblicata in Germania, intitolata Gruppe Ljutsch, «Il gruppo raggio di luce», di cui sono autori Andreas Bönte e Ralf G. Reuth, spiega «che il KGB aveva costituito un gruppo segreto molto prima del 1989 per guidare i cambiamenti nella Repubblica Democratica Tedesca… che questo gruppo funziona ancora oggi»! Solamente nella Repubblica Democratica Tedesca? In Polonia hanno vinto la tecnica e la tattica di Juri V. Andropov. E The Washington Post del 22 settembre 1993 concludeva il suo editoriale, dedicato all’esame delle elezioni polacche, in questi termini: «La Polonia è il luogo in cui l’Occidente, proseguendo i suoi giudiziosi in­coraggiamenti, può mostrare nel migliore dei modi che le riforme procedono bene…». Ma con i comunisti!…

Stranamente, su Libération, su Le Monde e altrove, si è letto che i polacchi hanno sbagliato a pra­­ticare l’«amnesia», mentre, quando per parte mia chiedevo, dopo il 1990, «la necessaria de­co­mu­­ni­stiz­za­zio­ne all’est», ero trattato da fanatico partigiano della «caccia alle streghe». Si tratta di una presa di coscienza tardiva? No: con Adam Michnik, costoro temono che l’eccessivo successo dei comunisti riporti l’anti­co­munismo. Come si vede, la differenza non è una sfumatura!

Pierre Faillant de Villemarest

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