«Tu rimani vergine in eterno e il Figlio che hai generato ha tolto il peccato del mondo» (liturgia ambrosiana)
di Michele Brambilla
Il 31 maggio si festeggia la Visitazione della Beata Vergine Maria, uno degli episodi più belli dell’infanzia di Cristo. Maria corse dalla cugina nonostante fosse già incinta, perché aveva saputo dall’angelo che anche Elisabetta era gravida. Quando le due donne si incontrarono, anche i feti si riconobbero e si salutarono dai rispettivi grembi: san Giovanni Battista iniziava, così, il suo ministero profetico, esultando per la presenza del Signore nell’utero della Madonna.
La liturgia della Chiesa ha sempre dato un grande rilievo alla ricorrenza; idem l’arte cristiana di ogni secolo. L’opera che meglio interpreta il mistero celebrato è forse l’affresco disegnato da Giotto di Bondone (1267-1337) nella Basilica Inferiore di S. Francesco ad Assisi (1306-11). Giotto, come sempre molto attento alla teologia e alla liturgia, non lascia nulla al caso. Il centro della scena è occupato quindi da Maria ed Elisabetta, ma soprattutto dai due “pancioni”.
Elisabetta si protende dal porticato della sua abitazione: il volto è scavato dall’età, eppure nel gesto dell’accoglienza rivela tutta la vitalità ridonatale dall’insperata gravidanza. L’abito è dorato, ma ricopre un corpo raggrinzito: è il simbolo della nostra umanità, creata per il Bene e la Gloria e incrinata dal peccato originale.
Ha però di fronte la soluzione al peccato: Maria, che tiene nel suo grembo il Messia atteso, come canta il rito ambrosiano nella sallenda dei Secondi Vesperi della festa: «Tu rimani vergine in eterno e il Figlio che hai generato ha tolto il peccato del mondo» con la Sua Pasqua. I sacerdoti ambrosiani intonano questa antifona davanti al battistero, dentro il quale i credenti sono immersi nella Passione e nella Risurrezione di Cristo. Nell’immagine di Giotto la Madonna è ritratta in un magnifico abito blu bordato di fasce dorate. Il colore è chiaramente un rimando al cielo, cioè al divino, e alla regalità: in Maria l’Infinito si è fatto finito, l’Immortale si è reso mortale per salvarci dalla morte eterna. La Vergine abbraccia la cugina e sembra proprio cingerle il ventre, come un chirurgo che venga a sanare qualche piaga. La piaga è il peccato ed Elisabetta si aggrappa a Maria e, attraverso lei, a Gesù.
Dietro la Madonna si nota il corteo degli inservienti che hanno accompagnato la Vergine presso Elisabetta: portano le provviste per il viaggio, i bagagli e, forse, qualche dono per l’anziana donna. I servi rappresentano l’umanità che assiste alla scena e brama anch’essa la Redenzione portata da Cristo. Solo i sovrani hanno un corteo, e in effetti Giotto si è ispirato alla servitù dei re terreni per alludere al corteo trionfale del vero Re, introdotto nel mondo dalla Regina. Anche lo sfondo è significativo: sopra le teste dei personaggi si nota un paesaggio brullo, con pochi alberi, sormontato da un cielo quasi notturno. Il pittore prefigura chiaramente la notte di Betlemme, nella quale il Bambino nascerà e riceverà l’adorazione che Gli spetta. Basta confrontare questa scena con la vicinissima Natività per averne una controprova. La natura si lascia avvolgere da questo azzurro intensissimo, segno della presenza di Dio, che la riempie già di dolcezza. La primavera trascolora nell’estate, il tempo è maturo perché esploda la Vita: «vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze» (Zc 8,4-5).
Sabato, 29 maggio 2021