Di Marina Casini da Avvenire del 25/11/2021
«A una diffusa opinione pubblica di benpensanti può sembrare esagerato e inopportuno, anzi, addirittura fastidioso che si continui a riproporre come questione decisiva il problema del rispetto della vita appena concepita e non ancora nata. Dopo i laceranti dibattiti concomitanti alla legalizzazione dell’aborto […] non si dovrebbe considerare ormai risolto il problema ed evitare quindi di riaprire ormai superate contrapposizioni ideologiche? Perché non rassegnarsi ad aver perso questa battaglia e non dedicare invece le nostre energie a iniziative che possano trovare il favore di un più grande consenso sociale? Restando alla superficie delle cose, si potrebbe essere convinti che, in fondo, l’approvazione legale dell’aborto ha cambiato poco nella nostra vita privata e nella vita delle nostre società. In fondo tutto sembra continuare esattamente come prima. Ognuno può regolarsi secondo coscienza: chi non vuole abortire non è costretto a farlo. Chi lo fa con l’approvazione di una legge – così si dice – forse lo farebbe comunque. Tutto si consuma nel silenzio di una sala operatoria, che almeno garantisce condizioni per una certa sicurezza dell’intervento. Il feto che non vedrà mai la luce è come se non fosse mai esistito. Chi se ne accorge? Perché continuare a dare voce pubblica a questo dramma? Non è forse meglio lasciarlo sepolto nel silenzio della coscienza dei singoli protagonisti?». Rileggevo queste parole di Joseph Ratzinger, quando mi è arrivato il messaggio dei Vescovi italiani per la 44ª Giornata per la Vita, quest’anno dedicato al bellissimo tema Custodire la vita. Un messaggio vibrante e intenso, profondamente calato nel tempo che stiamo vivendo e nello stesso tempo memore del senso della Giornata.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la Giornata è l’appuntamento istituito dalla Chiesa italiana all’indomani dell’approvazione della legge sull’aborto per esprimere la volontà di non arrendersi alla più grave delle ingiustizie: l’uccisione di esseri umani, poveri, innocenti, inermi, organizzata dallo Stato. Ecco perché il messaggio dei Vescovi, che mi è giunto mentre rileggevo il brano di Ratzinger, mi è sembrato particolarmente illuminato dal senso della Giornata. Non per nulla i nostri pastori sottolineano una «malintesa affermazione di libertà », «una distorta concezione dei diritti», una «visione della persona umana e dei rapporti sociali assai lontana dal Vangelo e dallo spirito della Costituzione» anche a proposito della pretesa di riaffermare il cosiddetto «diritto all’aborto» e della «prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente». Ancora: «Il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita. Mettere termine a un’esistenza non è mai una vittoria, né della libertà, né dell’umanità, né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate sole con i loro problemi e la loro disperazione». L’accento quest’anno è posto sul ‘custodire’, sul ‘custodirci’; è il tema dell’accudimento dell’altro soprattutto nel momento della fragilità: «Ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui – si legge nel testo – che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione»; «la risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia». Assolutamente vero. Domandiamoci allora: qual è l’origine più profonda del custodire? È lo sguardo sull’altro: in base a come ‘guardo’ accolgo e custodisco, oppure allontano e rifiuto. «Lo sguardo sull’altro custodisce la verità e la dignità dell’uomo», scriveva Ratzinger, aggiungendo: «È così anche chiaro che lo sguardo che liberamente accetto di volgere all’altro decide della mia stessa dignità. Così come posso accettare di ridurre l’altro a cosa, da usare e distruggere, allo stesso modo devo accettare le conseguenze di questo mio modo di guardare, conseguenze che si ripercuotono su di me. «Con la misura con cui misurate, sarete misurati». Lo sguardo che porto sull’altro decide della mia umanità. Posso trattarlo come cosa solo nella dimenticanza della sua e della mia dignità, del suo e mio essere immagine e somiglianza di Dio. L’altro è custode della mia dignità».
Tutto questo ha molto a che fare con la Giornata per la Vita. Infatti per vedere tutto l’uomo bisogna vedere solo l’uomo, l’uomo cioè nella massima fragilità. Custodire il bambino non nato e promuovere il suo diritto a nascere, prendersi cura della sua mamma non è qualcosa che riguarda soltanto la vita nascente ma tutta la vita, specialmente quella più fragile e quella più inerme, perché ci pone nella prospettiva in cui si illumina tutto il panorama dell’umano, la società, le relazioni tra gli uomini, la struttura del vivere insieme.
Ecco la grandezza e il significato della Giornata della prima domenica di febbraio, che ci offre l’opportunità di rafforzare il nostro impegno e svegliare gli animi moltiplicando e coordinando iniziative di informazione e di formazione a favore della vita. Prepariamoci a preparare la Giornata per farla poi seguire da un più vigoroso impegno: perché ogni giorno è una ‘giornata per la vita’.