Con il Battesimo siamo immessi in una condizione radicalmente nuova, la figliolanza divina in Cristo. Come testimoniò con coraggio il card. Stefan Wyszyński, prossimo alla beatificazione
di Michele Brambilla
Sulla novità e la grandezza incommensurabile della Rivelazione cristiana tutti gli Apostoli erano concordi. Papa Francesco, riprendendo con l’udienza generale dell’8 settembre il ciclo di catechesi sulla Lettera di san Paolo ai Galati, rimarca che «l’Apostolo insiste con quei cristiani perché non dimentichino la novità della rivelazione di Dio che è stata loro annunciata. In pieno accordo con l’evangelista Giovanni (cfr 1Gv 3,1-2), Paolo sottolinea che la fede in Gesù Cristo ci ha permesso di diventare realmente figli di Dio e anche suoi eredi. Noi cristiani diamo spesso per scontato questa realtà di essere figli di Dio. È bene invece fare sempre memoria grata del momento in cui lo siamo diventati, quello del nostro battesimo», vera immersione nella Pasqua di Cristo.
Come altre volte, il Papa chiede ai fedeli presenti all’udienza se si ricordano la data del loro battesimo. Per tutti il sacramento è stato l’inizio di una condizione nuova: «infatti, una volta che è “sopraggiunta la fede” in Gesù Cristo, si crea la condizione radicalmente nuova che immette nella figliolanza divina. La figliolanza di cui parla Paolo non è più quella generale che coinvolge tutti gli uomini e le donne in quanto figli e figlie dell’unico Creatore. Nel brano che abbiamo ascoltato egli afferma che la fede permette di essere figli di Dio “in Cristo”: questa è la novità. È questo “in Cristo” che fa la differenza», perché è solo dopo essere stati immersi nella morte e nella risurrezione di Gesù che noi possiamo chiamare Dio “Abbà”, «“Padre”? No, “papà” (cfr Gal 4,6)».
Proprio per questo la Chiesa supera tutte le divisioni terrene: «l’Apostolo afferma con grande audacia che quella ricevuta con il battesimo è un’identità totalmente nuova, tale da prevalere rispetto alle differenze che ci sono sul piano etnico-religioso. Cioè, lo spiega così: “non c’è Giudeo né Greco”; e anche su quello sociale: “non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina” (Gal 3,28)». I Giudei non potevano più rivendicare un “primato” sui pagani, ma «anche la seconda uguaglianza, tra “liberi” e “schiavi”, apre prospettive sconvolgenti. Per la società antica era vitale la distinzione tra schiavi e cittadini liberi. Questi godevano per legge di tutti i diritti, mentre agli schiavi non era riconosciuta nemmeno la dignità umana. Questo», denuncia il Santo Padre, «succede anche oggi» in molte parti del mondo. L’uguaglianza in dignità tra uomo e donna va valutata nello stesso modo: «c’è bisogno di riaffermarla anche oggi. Quante volte noi sentiamo espressioni che disprezzano le donne». Contrariamente a quanto sostenuto da una cattiva vulgata, san Paolo non è affatto un misogino: la coppia cristiana deve gareggiare nell’amore vicendevole, come Cristo ama la Chiesa.
«Come si può vedere, Paolo afferma la profonda unità che esiste tra tutti i battezzati, a qualsiasi condizione appartengano, siano uomini o donne, uguali, perché ciascuno di loro, in Cristo, è una creatura nuova». Riaffermarlo, in questo tempo profondamente materialista, significa combattere contro ogni svalutazione ontologica dell’umanità. Era così anche ai tempi del Servo di Dio card. Stefan Wyszyński (1901-81), che sta per assurgere agli onori degli altari (12 settembre). «Sul Cardinale Wyszyński», afferma il Pontefice rivolgendosi ai pellegrini polacchi, «san Giovanni Paolo II ha pronunciato le storiche parole: “Sulla Sede di Pietro non ci sarebbe questo Papa polacco, se non ci fosse stata la tua fede, che non si è piegata davanti alla prigione e alla sofferenza, la tua eroica speranza, il tuo fidarti fino in fondo della Madre della Chiesa”. Dio benedica la Polonia. Vi sostengano i vostri grandi santi e beati».
Giovedì, 9 settembre 2021