di Stefano Chiappalone
C’è chi parla del «mal d’Africa», ma esiste certamente anche il «mal di Tirolo». Muovendo i primi passi sulla strada del ritorno, mi lascio incantare dalle ultime fugaci visioni della Stubaital, chiedendomi ironicamente come si traduca in tedesco la parola «saudade».
L’espressione portoghese allude a un misto di nostalgia romantica e di desiderio intenso, accompagnati da una miriade di sentimenti già sperimentati alcuni anni orsono, quando per la prima volta ho contemplato le tipiche costruzioni tirolesi che spuntano come altrettante isole tra il mare verde squillante delle colline e delle valli, ai piedi di monti maestosi che dominano la scena quali muti testimoni delle ere geologiche e storiche che non abbiamo vissuto e di quelle che non vivremo. Al fascino di quei luoghi mai visti in precedenza e tuttavia familiari, si aggiungevano le suggestioni storiche legate al patriota Andreas Hofer (1767-1810), il pacifico e barbuto oste che, di fronte all’avanzata delle truppe napoleoniche, dovette prendere le armi per difendere l’identità religiosa e culturale del Tirolo. La sua avventura finì con il tradimento, l’arresto e la fucilazione a Mantova, il 20 febbraio 1810, e i suoi ultimi passi terreni riecheggiano nell’inno Zu Mantua in Banden (A Mantova in catene).
Questa volta li ho sentiti riecheggiare nel villaggio di Neustift durante la processione dell’Assunta, un corteo religioso e civile in cui il Santissimo Sacramento e le statue della Vergine e dei santi sfilano accompagnati dalle splendide divise degli Schützen e dagli ancor più splendidi dirndl delle ragazze e delle signore, con il grembiule e il ricamo tipico. In quel corteo il ritmo militare si fonde con la solennità liturgica, gli spari a salve con i campanelli dei bambini, immersi in un tripudio di bellezza che sale dal Creato al Paradiso, passando per la birra, lo stinco di maiale e – perché no? – un sorso di Marillenschnaps, la grappa alle albicocche, naturalmente anch’essa da bere a gloria del Signore, secondo l’esortazione paolina (cfr. 1 Cor 10, 31).
A prima vista non si tratta di uno scenario diverso da tante feste religiose e civili o rievocazioni, se non fosse che qui c’è qualcosa in più: in Tirolo si può cogliere una dimensione “festiva” che non si esaurisce con il giorno della festa. Generalmente si va a vedere quel monumento, quel paesaggio, quell’evento specifico: qui invece si gode di tutto l’insieme. E benché vi siano edifici nell’asettico (anti)stile contemporaneo, la loro presenza è inversamente proporzionale rispetto alla prevalenza di case e alberghi dominati dal calore e dal colore del legno, in cui la modernità e la funzionalità non sono nemiche della tradizione né della bellezza, traboccanti di gerani variopinti e spesso ornate da scritte in caratteri gotici.
Sulle facciate di queste case secolarizzate quanto le nostre si stagliano persino crocifissi e santi dalla raffinatezza e dall’aspetto – per così dire – fiabesco, di quella «fiaba vera» del Vangelo, sovente oscurata da un certo kitsch religioso troppo spesso diffuso altrove. I tirolesi non sono certo immuni da quel «vuoto di senso» che è il male del nostro tempo, eppure dai loro abiti, dai loro edifici, dall’orchestrina che rallegra quanto i generosi boccali di birra, traspare quella lode sommersa, ma sempre pronta a riesplodere, che nella vecchia Europa ha fatto da fondamenta a castelli e cattedrali. Solo segni esteriori? Parafrasando il celebre adagio, si può dire che l’abito non fa gli Schützen, ma certamente aiuta a ricordare chi sono e da dove vengono.
Sabato, 21 settembre 2019