Cristo e la Samaritana di Annibale Carracci
di Michele Brambilla
La II domenica di Quaresima nel rito ambrosiano prevede immancabilmente la lettura del brano di Gv 4,5-42, che narra l’incontro tra Gesù assetato e una donna samaritana presso il Pozzo di Giacobbe a Sicar, un villaggio della Samaria. Nella collezione della Pinacoteca di Brera, a Milano, è presente la versione che il pittore emiliano Annibale Carracci (1560-1609) diede di questo importante episodio evangelico. Carracci dipinse la sua opera nel 1593 per Palazzo Sampieri a Bologna. Per lo stile della sua Samaritana, Annibale si ispirò alla pittura veneziana coeva e al conterraneo Antonio Allegri, detto “il Correggio” (1489-1534).
La scena è ambientata in un paesaggio campestre, come indicato dal Vangelo di Giovanni. Sempre secondo il Vangelo, il dialogo sarebbe avvenuto a mezzogiorno, tuttavia il colloquio sembra protrarsi fino al pomeriggio. La luce dorata che filtra dagli alberi, infatti, è più da tramonto che da sole allo zenit. Sullo sfondo si notano i discepoli, intenti a trasportare le vivande che erano andati a comprare in paese (Gv 4,8).
Gesù siede sui gradini del pozzo come su una cattedra. Con la mano sinistra pare indicare un edificio, mentre con la destra addita Se stesso: è la risposta alla domanda della donna su quale sia il luogo in cui si deve adorare il Signore (Gv 4,20). All’epoca, infatti, i Samaritani invocavano Dio sul Monte Garizim, mentre per i Giudei era prescritto il Tempio di Gerusalemme. Gesù, pur ricordando in maniera molto netta che «la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4,22), spiana la strada al culto perfetto. Il culto gradito a Dio, infatti, non si eleva né da Sicar né da Sion, ma da chiunque, per grazia dello Spirito Santo, riconosca in Cristo il Messia atteso e l’Unigenito del Padre (Gv 4,21-26).
A rafforzare il concetto, Carracci pone proprio alle spalle di Gesù un edificio pagano pericolante: essendo di forma circolare, rimanda al tempio di Vesta nel Foro romano. Vesta (Estia per i Greci) era la protettrice del focolare domestico e le sue sacerdotesse non dovevano mai lasciar spegnere il fuoco sacro che ardeva nei suoi templi. Il rimando è ad un’altra parte del dialogo tra Gesù e la donna samaritana, quando ella ammette di non avere marito e di convivere more uxorio con un uomo che nel linguaggio odierno potremmo definire “compagno” (Gv 4,17-18). La conversione della samaritana passa anche dalla regolarizzazione del proprio status coniugale: l’unione che Dio prescrive e benedice è quella stabile, consacrata, tra un uomo e una donna, aperta alla vita. L’unione naturale è suggellata dal Sacramento del Matrimonio: la pagina giovannea diventa così un ottimo argumentum nella difesa della teologia sacramentaria cattolica.
La donna, udita la parola di Dio Figlio, lascia l’anfora e le corde della carrucola del pozzo, correndo in paese ad annunciare la venuta del Messia (Gv 4,28-29). Nel quadro di Carracci vediamo sia la brocca (rappresentata come un’anfora di grandi dimensioni) che il cestello, appoggiati sullo stesso gradino sul quale è seduto il Signore: è Lui l’acqua viva, trovata la quale non si avrà più sete (Gv 4,13-14). La simbologia dell’acqua rimanda anche al Battesimo, che ci immerge nel Mistero pasquale di Gesù, verso il quale ci stiamo incamminando nel percorso della Quaresima.
La Quaresima ambrosiana ha un’impostazione profondamente battesimale e richiama ogni redento al dovere di condurre i fratelli alla Salvezza che viene solo da Cristo.
Sabato, 12 marzo 2022