di Stefano Caprio da AsiaNews del 23/07/2022
Giusto cento anni fa, a settembre-ottobre 1922, furono espulsi dalla Russia sovietica in Germania, per disposizione personale di Lenin, oltre 300 illustri rappresentanti dell’intelligentsia scientifica, letteraria e artistica, come gesto di liberalità del regime che intendeva ottenere il riconoscimento internazionale del nuovo Stato dopo la guerra civile. Un filosofo da poco scomparso, Sergej Khoružij, che ha dedicato la sua vita alla ricostruzione della memoria culturale della Russia, chiamò quell’evento “la nave dei filosofi”, perché effettivamente la maggior parte degli espulsi fu costretto a imbarcarsi con una sola valigia, piena di nostalgie e rimpianti.
I russi all’estero furono in grado nello scorso secolo di salvare la cultura russa dalla completa cancellazione sovietica, e la fecero conoscere ancor più all’Occidente assetato di esplorare le varie dimensioni dell’anima, da Oriente a Occidente. I filosofi esuli crearono centri di ricerca e diffusione della storia e della teologia, come l’istituto Saint-Serge di Parigi in cui insegnarono i principali esponenti dell’esistenzialismo, della sofiologia e della neo-patristica come Nikolaj Berdjaev, Sergej Bulgakov, Georgij Florovskij e tanti altri.
Nel 2022, a causa della “rivoluzione ucraina” che ha nuovamente interrotto i legami della Russia neo-imperiale con l’Europa e l’intero Occidente, decine di migliaia di rappresentanti dell’intelligentsia creativa hanno abbandonato il Paese sui nuovi “aerei dei filosofi”, almeno finchè non verranno totalmente sbarrate le frontiere in uscita dal cupo isolamento putiniano. Insegnanti, pittori, musicisti, filosofi e studiosi di vari campi della scienza fuggono sulle rotte più accessibili tramite Istanbul, Erevan, la Georgia, l’Estonia o la Lettonia. Saranno in grado di salvare nuovamente la cultura russa, e affidarla alla comunità internazionale affinchè non si inaridisca e rimanga perduta? Sapranno creare nuove realtà e associazioni in esilio, coinvolgendo le tantissime persone che guardano alla Russia come una parte indispensabile dell’anima universale, e non solo come il regno maledetto del “ruscismo”?
Ne hanno discusso su Radio Svoboda due eminenti rappresentanti della nuova diaspora russa, la giurista Elena Lukjanova e il sociologo Sergej Erofeev, già da tempo attivi in centri accademici all’estero, come la “Libera università” aperta negli Stati Uniti. Essi fanno giustamente notare che le condizioni sono molto diverse rispetto a un secolo fa, quando i “filosofi” furono completamente separati dalla madre patria, mentre oggi esistono forme universali di comunicazione, per quanto si cerchi di limitarle e soffocarle; per cui “non si può chiamare in senso pieno una emigrazione o un esilio, piuttosto una ricollocazione”, come precisa Lukjanova. Inoltre, da molto tempo ormai “la scienza ha smesso di essere puramente nazionale, non potrebbe nemmeno esistere, sarebbe solo un simulacro propagandistico”, come in effetti appare in tanti proclami odierni sulla “diversità” dell’anima russa.
Nella retorica putiniana si insiste sulla “sovranità” anche per definire la cultura, e ha imposto nella variante russa di Wikipedia una trattazione specifica sulla cultura che si custodisce da ogni influsso straniero, espurgandola da qualunque citazione recente e basandosi solo su testi pubblicati tra gli anni Sessanta e Novanta. È la “guerra culturale” che accompagna i bombardamenti ucraini, per giustificare gli eventi con la distorsione della realtà e delle sue interpretazioni. Erofeev ha proposto in questi mesi alcune lezioni sulla “catastrofe russa”, evidenziando come il “regime”, che i sociologi chiamano “sistema”, si sia affermato nel corso di questi trent’anni post-sovietici proprio con la manipolazione progressiva della cultura.
Gli emigranti di cento anni fa dicevano “noi non siamo in esilio, siamo in missione”, quella di condividere con il mondo intero i tesori della tradizione e dell’arte russa. Come dice Erofeev, “bisognerebbe ringraziare Lenin per aver inviato all’estero Pitirim Sorokin e Fedor Stepun, per non parlare di tutti gli altri; perfino il filosofo preferito di Putin, Ivan Il’in, era su quella nave”. La nuova diaspora, in realtà, non è iniziata nel 2022, ma nel 2014, “la prima ondata di ricollocamento” secondo Lukjanova, dopo l’euforia patriottica dell’annessione della Crimea, che già annunciava tutta la revisione della storia e della cultura russa. Molti non hanno accettato la vergogna di quella svolta, che ha provocato una spirale repressiva oggi ormai quasi assoluta, e l’approvazione della nuova costituzione nel 2020 ha provocato la “seconda ondata”.
Gli intellettuali russi, o almeno quel che rimane della gloriosa tradizione dell’intelligentsia, non reggono al senso di colpa per ciò che avviene oggi in Russia, e questo impedisce loro di concepirsi come “missionari” della Russia nel mondo. L’ideologia sovietica poteva essere facilmente bollata come estranea alla tradizione, mentre oggi proprio la tradizione viene rivendicata nella versione “rivista” dal potere, confermando la continuità semantica dei termini tradizione/traduzione/tradimento, che impegna chiunque voglia esprimere una dimensione comune dello spirito. Le ondate degli “aerei dei filosofi” in realtà si succedono dagli inizi degli anni Duemila, dopo l’ascesa al potere di Putin e la ricostituzione dell’Ortodossia come Chiesa di Stato: se ne vanno i giornalisti, gli attivisti umanitari, i professori universitari, a seconda delle varie misure persecutorie che si succedono di anno in anno.
Le università russe più prestigiose, a cominciare dalla “Lomonosov Mgu” e la “Scuola di economia Vyška”, con migliaia di studenti pronti a cominciare un nuovo anno accademico dopo la pausa estiva, sono oggi dei deserti affidati a pochi propagandisti, perché la maggior parte dei veri studiosi e accademici se n’è andata o ha dato le dimissioni. Perfino la Scuola di specializzazione “Ss. Cirillo e Metodio” della Chiesa ortodossa è rimasta priva di una vera guida, dopo la cacciata del metropolita Ilarion (Alfeev) che l’aveva istituita e sostenuta per oltre un decennio, mettendo al suo posto il tetro conservatore Maksim Kozlov. Putin stesso ha decretato la non esistenza della scienza detta “politologia”, in quanto “priva di metodo”, e la critica dei sistemi politici è ormai un ricordo del passato, una breve parentesi nella storia della scienza russa, in cui il metodo viene imposto dall’alto e non ammette deviazioni.
Erofeev spiega che “in tutti gli anni post-sovietici nella sfera umanitaria e sociale è fiorito non soltanto il dilettantismo, ma un vero e proprio oscurantismo, che oggi regna ormai incontrastato”. Dopo il lungo inverno sovietico, la rinascita della cultura russa è stata comunque un fenomeno molto approssimativo, e l’appropriazione da parte del regime ha avuto vita facile, esaltando grossolanamente quanto era stato rimosso dall’ideologia sovietica. L’aspetto più clamoroso di questa propaganda semplificatoria è proprio la cultura religiosa, che ha ripreso in modo enfatico le sacre immagini dei santi e degli zar ortodossi, fino a reclutare perfino le icone nella guerra mediatica, come avvenuto nei giorni scorsi con la “Trinità” di Andrej Rublev.
La vera riscoperta della cultura, della storia e della religione in Russia è un compito del futuro, quando si sarà in qualche modo esaurita la strumentalizzazione neo-imperiale. In un certo senso, la guerra in Ucraina ha accelerato questo processo di superamento, dimostrando l’inconsistenza della nuova ideologia: l’Ucraina, che doveva essere cancellata in nome delle sacre origini del cristianesimo russo, ha oggi finalmente preso coscienza della propria identità nazionale, culturale e perfino religiosa. Questo propone un’interpretazione completamente opposta a quella imperiale di Putin e Kirill: l’Ucraina rappresenta una Russia capace di dialogo e integrazione con l’Europa e l’Occidente, che esiste da sempre anche a oriente del Dnepr, e rende la Russia una fucina di immagini e sintesi sempre nuove e originali, di valore universale per gli uomini di tutti i continenti.
Erofeev è convinto che “Putin ha abbreviato il corso della storia, non potrà durare ancora a lungo a imitazione di Stalin e Brežnev”. Il compito dei nuovi “filosofi”, russi e di qualunque altra nazionalità, è quello di cogliere il senso del tempo, senza lasciare la cultura e i tesori dello spirito in mano ai populisti e ai sognatori di nuovi imperi, che distruggono le città e le vite umane, ma non hanno la forza per distruggere l’anima. Questa è la missione che il tempo attuale impone a ciascuno di noi.