L’incontro di Dante col musico Casella
di Leonardo Gallotta
I due poeti, Dante e Virgilio, si trovano, all’alba, sulla spiaggia del Purgatorio – siamo nel secondo canto – e ad un tratto, all’orizzonte, appare sul mare un punto luminoso, che diviene sempre più grande, mostrando qualcosa di bianco a destra, a sinistra e sotto. Arrivato più vicino, i due poeti riescono a distinguere chiaramente la figura di un angelo che sta a poppa di una veloce imbarcazione che sembra volare sull’acqua, spinta dalle ali dell’angelo, nonostante sia piena di spiriti. Questi, sbarcati, cantano tutti insieme un salmo. E sono poi benedetti dall’angelo che immediatamente riparte.
Quale salmo cantano le anime? Si tratta del salmo CXIII il cui incipit è posto al verso 46: In exitu Isräel de Aegypto, , canto di liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana. Si tratta di una breve, ma vivace commemorazione lirica dei prodigi operati da Dio a favore di Israele nell’esodo dall’Egitto fino all’ingresso in Palestina. Un tempo, nella liturgia cattolica, tale salmo si cantava nell’accompagnamento del morto al cimitero. È chiara la simbologia, vale a dire la liberazione dell’anima dai vincoli terreni e dal peccato.
Le anime, sbarcate sulla spiaggia, sono ignare del luogo e chiedono a Dante e Virgilio di indicar loro la via per salire al monte, ma Virgilio risponde che anch’essi non sono esperti del luogo e che lì son giunti per una via diversa dalla loro, che è stata aspra e difficile. Accortesi poi, a causa del respiro di Dante, che questi è vivo, gli si affollano intorno. Una delle anime si fa avanti per abbracciare Dante e Dante fa un movimento simile, ma il suo tentativo è vano perché il corpo dell’anima è sottile e quindi inconsistente. Nell’anima Dante riconosce l’amico Casella e gli chiede come mai è arrivato lì dopo tanto tempo.
Chi era Casella? Secondo gli antichi commentatori fu un musico che dovette essere all’incirca contemporaneo di Dante e che morì prima del 1300, ossia prima dell’inizio del viaggio dantesco nell’aldilà. Per il resto la documentazione su di lui è pressoché inesistente. Alla domanda di Dante Casella risponde che le anime non condannate all’Inferno si riuniscono alla foce del Tevere dove l’angelo, secondo il volere di Dio, sceglie quelle che deve traghettare. Da tre mesi, tuttavia, l’angelo ha accolto chiunque voglia salire sulla sua barca, senza nessuna preclusione. E’ evidente il riferimento al primo Giubileo della Chiesa cattolica, indetto da Bonifacio VIII il 22 febbraio del 1300. Per questo Casella fu “benignamente” accolto dall’angelo che ora “ha dritta l’ala” alla foce del Tevere.
A questo punto occorre segnalare il parallelismo contrastivo tra il nocchiero celeste del Purgatorio e il nocchiero della livida palude (Acheronte), del III canto dell’Inferno, vale a dire Caronte, “Caron dimonio dagli occhi di bragia” come dice Dante. Diverso poi è l’atteggiamento delle anime: mentre quelle salvate in Purgatorio cantano un salmo di ringraziamento per essere scampate alla voragine infernale, quelle dannate fanno l’opposto. Dice Dante (If. III, 103-105) “Bestemmiavano Dio e i lor parenti,/ l’umana spezie e ‘l loco e il tempo e ‘l seme/ di lor semenza e di lor nascimenti”.
Ancora: se il paludoso fiume Acheronte è presente nella mitologia greca ed etimologicamente significa “fiume del dolore”, perché Dante come punto di raccolta delle anime salvate sceglie la foce del Tevere? La risposta non può essere che questa: il Tevere è il fiume di Roma, Caput mundi, Città eterna, sede del Papato, centro della Cristianità e della Chiesa, grazie alla quale soltanto ci si può salvare. Poteva forse Dante optare per un altro fiume?
Ma il racconto prosegue. Già Virgilio aveva detto alle anime che il cammino suo e di Dante per giungere lì alle rive purgatoriali era stato aspro e difficile. Dante chiede allora a Casella di confortare il suo animo con il canto e il musico intona una canzone, “Amor che ne la mente mi ragiona”, pubblicata e commentata da Dante nel Convivio. Casella cantò così soavemente che, dice il poeta, “la dolcezza ancor dentro mi suona”. Ma anche tutte le anime, compreso Virgilio, furono così prese da quel canto “come a nessun toccasse altro la mente”. Insomma tutti stanno, rapiti, in ascolto di Casella ed ecco riapparire improvvisamente Catone che rimprovera gli spiriti per la loro lentezza nell’andare verso il monte a togliersi la “scorza”, cioè l’impurità dovuta ai peccati.
Quale il significato di quest’ultimo intervento di Catone? Dante vuol dire sostanzialmente questo, come suggerisce Umberto Bosco: l’ansia di espiare è compenetrata di un’ancora superstite umanità; l’uomo, pur ansioso di avviarsi per la via del bene, può farsi prendere da sensazioni terrene, come ad esempio la dolcezza di una musica. Certo, la voce di Catone è la voce stessa di Dante: per salire bisogna sciogliersi dalla terra e, anche se non peccaminosi, dai suoi allettamenti.
Sabato, 27 maggio 2023