Nota del 10 gennaio 2020.
La Dottrina Sociale della Chiesa sembra, da qualche tempo, nuovamente trascurata non dal Magistero, ma dalla ricezione del medesimo da parte della cosiddetta “opinione pubblica cattolica”. Per ricordare la sua importanza, riproponiamo questo articolo, scritto da Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica, 29 anni fa, in occasione del centenario dell’enciclica di Leone XIII “Rerum Novarum”.
Giovanni Cantoni, Cristianità n. 189 (1991)
L’«Anno della Dottrina sociale della Chiesa»
Martedì 1° gennaio 1991, nell’omelia pronunciata durante la Messa di Capodanno, il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha, fra l’altro, detto: “In quest’Anno del Signore 1991, la Chiesa commemora un grande evento, di portata mondiale, rivelatosi col passare del tempo non privo di valore profetico: la promulgazione dell’Enciclica “Rerum Novarum” ad opera di Papa Leone XIII, il 15 maggio 1891, la prima Enciclica “sociale” dei tempi moderni, avente come tema: “La condizione degli operai”.
“Questo storico avvenimento ci invita a rivolgere la nostra attenzione, durante quest’Anno 1991, alla dottrina sociale della Chiesa; cioè a quell’insegnamento dottrinale per il quale il Magistero della Chiesa, assistito dallo Spirito, e sorretto al tempo stesso dai pareri dei teologi e degli specialisti delle scienze sociali, intende illuminare con la luce del Vangelo le vicende quotidiane degli uomini e delle donne nelle varie comunità di cui sono parte — dalla famiglia alla società internazionale.
“Voglio quindi proclamare quello che oggi s’avvia Anno della Dottrina sociale della Chiesa, invitando con ciò i fedeli, nel contesto della commemorazione dell’Enciclica “Rerum Novarum”, a meglio conoscere, approfondire e diffondere l’insegnamento della Chiesa in materia sociale” (1).
La proclamazione pontificia si articola in più elementi, la cui illustrazione — per quanto sintetica — può permettere di cogliere la portata dell’indizione: si tratta anzitutto della ricorrenza, il centenario della pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum da parte di Papa Leone XIII, quindi della definizione della dottrina sociale, finalmente dell’invito a meglio conoscerla, ad approfondirla e a diffonderla, avendone presente — last but not least — il valore profetico.
1. Il centesimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum
Il 15 maggio 1891 vedeva la luce, dopo una lunga gestazione, l’enciclica Rerum novarum, “sulla condizione degli operai”. Il documento ebbe all’epoca una straordinaria risonanza, e questa risonanza non si è spenta, ma è stata esaltata nei decenni seguenti dai successori di Papa Leone XIII, che hanno fatto esplicitamente eco e riferimento a esso tutte le volte che hanno ritenuto di dover intervenire in materia genericamente sociale e specificamente socio-economica, sia con interventi formalmente minori che con interventi maggiori, come — per esempio — con la pubblicazione di encicliche o con la diffusione di radiomessaggi. Così, dal 1891, si è venuta costruendo una “catena” di documenti, di cui Papa Giovanni Paolo II annuncia imminente un nuovo “anello”, appunto “[…] un’Enciclica commemorativa del centenario di quella del mio predecessore, la quale si proporrà di assumerne l’eredità, aggiornandola alla luce delle nuove problematiche dei nostri tempi”. E nella formula dell’annuncio sono già felicemente indicati tutti i caratteri di questa catena, consistenti anzitutto nell’assumere l’eredità della precedente espressione del Magistero, accrescendone così la rilevanza attraverso la continuità (2), quindi facendo — nello stesso tempo — fronte alle nuove problematiche, cioè rispondendo alle sollecitazioni proprie dei tempi.
2. La dottrina sociale della Chiesa, insegnamento dottrinale del Magistero
Quanto il Santo Padre dice brevemente e in specie dell’enciclica Rerum novarum permette di cogliere quanto afferma relativamente alla dottrina sociale in genere. Dunque, a fronte di determinate problematiche storiche, il Magistero interviene o semplicemente con un richiamo a una dottrina già esplicitata in precedenza ma evidentemente disattesa, oppure esplicitando, in modo più o meno radicale e tendenzialmente globale, una dottrina implicita, compiendo così un’operazione suggerita dal presentarsi di una problematica storica radicalmente o parzialmente nuova, cioè di una modalità nuova di presentarsi delle conseguenze del peccato originale quanto alla vita sociale — cioè della questione sociale — e della loro storica capitalizzazione. Così, a fronte della condizione degli operai dopo la prima rivoluzione industriale e dopo l’organizzazione e l’istituzionalizzazione delle sue conseguenze sulla base dei princìpi della Rivoluzione detta francese, vede la luce l’enciclica leonina, che intende rispondere a una problematica storica radicalmente nuova. Così, ancora, a fronte di mutamenti in aspetti della questione sociale, compaiono documenti che intendono illuminare problematiche storiche parzialmente nuove.
In questo modo prende corpo “[…] quell’insegnamento dottrinale per il quale il Magistero della Chiesa, assistito dallo Spirito, e sorretto al tempo stesso dai pareri dei teologi e degli specialisti delle scienze sociali, intende illuminare con la luce del Vangelo le vicende quotidiane degli uomini e delle donne nelle varie comunità di cui sono parte — dalla famiglia alla società internazionale”.
L’immagine che descrive la “materia sociale” è quella delle “vicende quotidiane degli uomini e delle donne nelle varie comunità di cui sono parte”: la vita di tutti i giorni degli uomini e delle donne in quanto esseri sociali trova luce per essere compresa e per essere vissuta nella morale sociale predicata dalla Chiesa, recta ratio agibilium, sapere teorico-pratico in quanto orientato all’azione a partire e nella prospettiva di un orizzonte dottrinale.
Lo spettro di questa morale sociale è molto più vasto della nozione di “socialità” corrente nei tempi moderni, nozione cui si allude quando l’enciclica Rerum novarum viene indicata, se non definita, come “la prima Enciclica “sociale” dei tempi moderni”. Infatti, se la nozione di “socialità” corrente nei tempi moderni induce a considerare l’aggettivo “sociale” come equivalente se non a “economico”, certo a “socio-economico”, l’indicazione fornita dalla definizione che si può ricavare dall’omelia di Papa Giovanni Paolo II fa riferimento alle “varie comunità di cui sono parte [gli uomini e le donne] — dalla famiglia alla società internazionale”. Quindi, il panorama si stende dalla famiglia — prima società fondata sul matrimonio, al quale il riferimento è implicito nell’indicazione della dicotomia sessuale della persona umana, espressione principe della naturale socialità dell’uomo — alla società internazionale, coprendo così il campo della socialità naturale, facilmente articolabile nelle diverse espressioni sociali in senso stretto — socio-sociali, appunto come la famiglia e l’educazione —, socio-economiche e socio-politiche.
Dal canto suo, “[…] il Magistero della Chiesa, assistito dallo Spirito, e sorretto al tempo stesso dai pareri dei teologi e degli specialisti delle scienze sociali, intende illuminare con la luce del Vangelo”; cioè, il Magistero della Chiesa in materia sociale — come, per altro, tutto il Magistero della Chiesa — cerca luce nella Rivelazione in senso stretto, cioè nel Vangelo — la parte per il tutto —, e trova sostegno nello Spirito, di cui la Chiesa stessa è in qualche modo “manifestazione”; inoltre, si avvale delle opinioni elaborate dai teologi, e delle teorie e dei dati — talora semplicemente indicativi della verità dei fatti quanto alla loro esistenza e alla loro fenomenologia, ma talora rivelativi anche della loro natura, cioè della “verità delle cose” —, offerti dagli specialisti delle scienze sociali, fra i quali le considerazioni precedenti sulla nozione di “socialità” impongono di rubricare certamente anche il filosofo e lo storico, e non semplicemente — per esempio — il sociologo e l’economista.
Quindi, il Magistero della Chiesa si esprime in un “insegnamento dottrinale”, cioè in un messaggio da docente — soprannaturalmente illuminato e naturalmente colto — a discente, e questo messaggio è razionalmente organizzato, sia per l’intrinseca ratio della materia che ne è oggetto, sia perché la consonanza con la naturale razionalità dei destinatari ne favorisca uno stabile apprendimento, a sua volta presupposto di una seria realizzazione. E questo insegnamento dottrinale mira a illuminare la vita sociale delle persone umane, attraverso l’illuminazione della loro coscienza sociale.
3. Conoscenza, approfondimento e diffusione dell’insegnamento della Chiesa in materia sociale
Nel contesto della ricorrenza il Santo Padre Giovanni Paolo II ripropone il tema della conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, quindi quello del suo approfondimento e, finalmente, quello della sua diffusione. Già la riproposizione tematica del problema della conoscenza della dottrina in questione è segno della insoddisfacente condizione di tale conoscenza, da parte sua evidente presupposto indispensabile sia dell’approfondimento che della diffusione, quindi di una vita sociale illuminata.
Non è la prima volta che Papa Giovanni Paolo II denuncia la carente conoscenza della dottrina sociale: per esempio, già nel 1984 ricordava all’assemblea plenaria della Pontificia Commissione Iustitia et Pax che “vi è già tutto un insegnamento sociale della Chiesa, che si tratta di raccogliere, di mettere in luce, di spiegare, di approfondire, di proseguire e di far conoscere. Risale a molto lontano. La conoscenza dei testi dei Padri della Chiesa, dei grandi teologi e dei principali interventi in materia sociale nella storia della Chiesa sarebbe a questo proposito molto utile. I documenti del Magistero costituiscono evidentemente le fonti principali, soprattutto quelli che, da un secolo, hanno analizzato le situazioni contemporanee e orientato gli sforzi sociali dei cristiani”; quindi si chiedeva: “Questi testi sono stati sufficientemente letti, studiati, compresi in profondità, con tutte le loro implicazioni?”, e rispondeva “Non è certo”, precisando che “soltanto questo approfondimento dottrinale permette di situare adeguatamente la responsabilità dei cristiani nell’immenso campo sociale, la responsabilità di tutti i membri del popolo di Dio, ciascuno secondo la sua missione specifica” (3).
4. Il “valore profetico” dell’enciclica Rerum novarum in specie e della dottrina sociale in genere
Nel linguaggio corrente “profezia” sta a significare “previsione di un evento futuro o di fatti ignoti alla mente umana, espressione di capacità divinatoria”; ma, nel linguaggio ecclesiastico, il termine dice riferimento non solo alla previsione di eventi futuri o di verità ignote, ma anche alla comunicazione agli altri, cioè alla proclamazione pubblica, di verità, la cui disattenzione può comportare sgradevoli conseguenze prevedibili. In genere, la dottrina sociale è proclamazione pubblica di verità sociali, la cui disattenzione comporta appunto sgradevoli conseguenze prevedibili. In specie — per esempio —, l’enciclica leonina, affrontando il tema della condizione degli operai, mette in guardia contro ogni intervento a loro favore che non abbia alla base la dottrina naturale e cristiana sul lavoro e sulla proprietà privata, e “profetizza” i guasti di una società collettivistica, il cui esito è la socializzazione della miseria: “[…] la collettivizzazione dei beni proposta dal socialismo va assolutamente rigettata, perché nuoce a quei medesimi a cui si deve recar soccorso, offende i diritti naturali di ciascuno, altera le funzioni dello Stato, e turba la pace comune. Resti fermo, adunque, che nell’opera di migliorare le condizioni della povera gente, si deve premettere come fondamento indiscutibile il diritto della proprietà privata”; diversamente, “ed oltre l’ingiustizia, appare fin troppo chiaro quale confusione e scompiglio ne seguirebbe in tutti i settori della società, e quale dura e odiosa servitù nei cittadini. Si aprirebbe la via agli asti, alle recriminazioni, alle discordie: le fonti stesse della ricchezza inaridirebbero, tolto ogni stimolo all’ingegno e all’attività individuale: e la sognata uguaglianza non sarebbe di fatto che una condizione universale di abiezione e di miseria” (4).
La tesi relativa al valore profetico del Magistero contrasta radicalmente con il luogo comune — fuor della Chiesa rivoluzionario e all’interno della Chiesa progressista — secondo cui, di volta in volta, la Chiesa, il mondo cattolico, i cattolici, e così via, affronterebbero sempre in ritardo le emergenti problematiche storiche. Al luogo comune risponde adeguatamente Papa Paolo VI, appunto relativamente all’intervento in campo sociale: “[…] nell’orizzonte storico dell’ottocento, che estende la sua giornata anche nel nostro secolo, […] una volta ancora […] [si] fa vedere la carità sociale della Chiesa, la quale, davanti al sorgere dell’industria moderna, con la conseguente formazione d’una classe operaia e proletaria, non ha avuto manifesti clamorosi per promuovere un’emancipazione sovversiva dei lavoratori che siano nel bisogno e nella sofferenza, ma con intuizione vitale ha subito offerto, senza attendere nè l’esempio nè l’indicazione altrui, la sua amorosa, positiva, paziente, disinteressata assistenza ai figli del popolo; li ha circondati di comprensione, di affezione, di istruzione, di amore; ha loro spianato la via per la loro elevazione sociale; ed il lavoro moderno, tanto conclamato, ma tanto spesso artificiosamente pervaso di inquiete passioni, essa ha insegnato a compierlo con amore e con abilità, con dignità e coscienza di quanto esso valga per la vita temporale non solo, ma per quella spirituale altresì, se congiunto al respiro dell’anima, la fede e la preghiera, e se irradiato e benedetto dall’esempio di Cristo, e di colui che a Cristo fu Padre putativo, custode provvido, l’umile e grande lavoratore, S. Giuseppe.
“La sociologia della Chiesa ha anche in questa luminosa schiera di Beati e di Santi votati al bene del popolo una sua eloquente e positiva manifestazione” (5).
Dunque, di fronte alla novità costituita dalla condizione degli operai prodotta dalla Rivoluzione industriale, la Chiesa manifesta subito la sua attenzione fattiva, non parolaia e sovversiva; quindi — dopo aver adeguatamente meditato sui fatti alla luce della Rivelazione, della ragione e dell’esperienza — interviene anche con un giudizio dottrinale, mettendo in guardia da cure peggiori del male che si vuol curare.
Nel corso degli ultimi secoli la Chiesa, attraverso il suo Magistero, ha messo reiteratamente in allerta a proposito dei tentativi di bloccare, di ostacolare e di deviare lo sviluppo umano e cristiano della civiltà europea, tentativi all’origine di amare delusioni. All’epoca, spesso, la Chiesa non è stata capita. Oggi, il macroscopico esito fallimentare di tale ambiguo sviluppo rende possibile riconoscere la puntualità del suo discernimen- to (6). Oggi, quindi, “[…] nel contesto della commemorazione dell’Enciclica “Rerum Novarum”” — uno dei documenti incompresi non solo ad extra, ma talora anche ad intra —-, l’indizione dell’Anno della Dottrina sociale offre occasione provvidenziale “[…] a meglio conoscere, approfondire e diffondere l’insegnamento della Chiesa in materia sociale”, cioè a promuovere “[…] la dovuta formazione della coscienza sociale” (7), indispensabile perché venga ripreso il cammino dell’umana e della cristiana civiltà, in Europa e nel mondo intero, liberato almeno dalle mortali ambiguità di cui si sono già potute verificare le tragiche conseguenze (8).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Giovanni Paolo II, Omelia durante la santa Messa nel giorno di Capodanno, dell’1-1-1991, n. 6, in L’Osservatore Romano, 2/3-1-1991. Tutti le citazioni senza riferimento sono tratte da questo documento.
(2) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 25.
(3) Giovanni Paolo II, Discorso all’assemblea plenaria della Pontificia Commissione Iustitia et Pax, del 30-11-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 2, p. 1335.
(4) Leone XIII, Enciclica Rerum novarum, del 15-5-1891, in I documenti sociali della Chiesa da Pio IX a Giovanni Paolo II (1864-1982), a cura e con introduzioni di padre Raimondo Spiazzi O.P., Massimo, Milano 1983, n. 12, pp. 108-109.
(5) Paolo VI, Allocuzione per la beatificazione del Ven. Servo di Dio Leonardo Murialdo, sacerdote, fondatore della Pia Società Torinese di S. Giuseppe, del 3-11-1963, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. I, pp. 283-284.
(6) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione “Libertatis conscientia”, del 23-3-1986, n. 20.
(7) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, del 30-12-1988, n. 60.
(8) Cfr. Idem, Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura, del 12-1-1990, in L’Osservatore Romano, 13-1-1990; e Idem, Discorso ai rappresentanti del mondo della cultura, delle Chiese non cristiane e agli studenti, a Praga, del 21-4-1990, ibid., 23/24-4-1990; e, a commento di entrambi, il mio Cultura, Europa e “rieducazione”, in Cristianità, anno XVIII, n. 180-181, aprile-maggio 1990.