Una teofania senza timore, per insegnare a non avere paura dell’incontro definitivo con il Signore e a costruire una nuova civiltà cristiana tramite un’alleanza tra le generazioni
di Michele Brambilla
Per l’udienza del 17 agosto Papa Francesco prende come riferimento la visione di Daniele. Il libro di Daniele, specie nei capitoli da 7 a 12, è considerato non solo profetico, ma anche apocalittico, nel senso che appartiene al genere di testi scritturali destinati ad indicare ai fedeli una lettura più profonda della realtà. La relazione che intercorre tra le profezie di Daniele e l’Apocalisse giovannea, nel Nuovo Testamento, è evidenziata dallo stesso Pontefice, per il quale «le parole del sogno di Daniele, che abbiamo ascoltato, evocano una visione di Dio misteriosa e al tempo stesso splendente. Essa è ripresa all’inizio del libro dell’Apocalisse e riferita a Gesù Risorto, che appare al Veggente come Messia, Sacerdote e Re, eterno, onnisciente e immutabile (Ap 1,12-15). Egli posa la sua mano sulla spalla del Veggente e lo rassicura: “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre” (vv. 17-18)».
Si comprende che «la visione comunica un’impressione di vigore e di forza, di nobiltà, di bellezza e di fascino». Si presenta la figura dell’Antico dei Giorni, la cui canizie non ha nulla della caducità umana, ma è un ulteriore decoro della persona. «Il termine biblico più diffuso per indicare l’anziano è», infatti, «“zaqen”: da “zaqan”, che significa “barba”. La chioma candida è il simbolo antico di un tempo lunghissimo, di un passato immemorabile, di una esistenza eterna». Monito per i catechisti: «non bisogna demitizzare tutto coi bambini: l’immagine di un Dio vegliardo con la chioma candida non è un simbolo sciocco, è un’immagine biblica, è un’immagine nobile e anche un’immagine tenera». Ci sono, infatti, catechisti ed educatori d’oratorio che sono tentati di adeguarsi allo scetticismo preconcetto della cultura contemporanea, pensando magari di sembrare “al passo coi tempi”, mentre «la Figura che nell’Apocalisse sta fra i candelabri d’oro si sovrappone a quella dell’“Antico dei giorni” della profezia di Daniele. È vecchio come l’intera umanità, ma anche di più. È antico e nuovo come l’eternità di Dio. Perché l’eternità di Dio è così, antica e nuova, perché Dio ci sorprende sempre con la sua novità, sempre ci viene incontro, ogni giorno in una maniera speciale, per quel momento, per noi. Si rinnova sempre: Dio è eterno, è da sempre» senza rinnegarsi mai.
Acquista, pertanto, un valore pedagogico l’episodio evangelico della Presentazione di Gesù al Tempio, nel quale sono centrali il vecchio Simeone e l’altrettanto anziana profetessa Anna: «la liturgia bizantina prega con Simeone: “Questi è Colui che è stato partorito dalla Vergine: è il Verbo, Dio da Dio, Colui che per noi si è incarnato e ha salvato l’uomo”. E prosegue: “Si apra oggi la porta del cielo: il Verbo eterno del Padre, assunto un principio temporale, senza uscire dalla sua divinità, è presentato per suo volere al tempio della Legge dalla Vergine Madre e il vegliardo lo prende tra le braccia”. Queste parole esprimono la professione di fede dei primi quattro Concili ecumenici, che sono sacri per tutte le Chiese. Ma il gesto di Simeone è anche l’icona più bella per la speciale vocazione della vecchiaia», che è insegnare ai nipoti che sono dono incommensurabile di Dio. Il Papa torna, quindi, a patrocinare un’alleanza tra giovani e anziani: «la testimonianza degli anziani è credibile per i bambini: i giovani e gli adulti non sono in grado di renderla così autentica, così tenera, così struggente, come possono fare gli anziani, i nonni. Quando l’anziano benedice la vita che gli viene incontro, deponendo ogni risentimento per la vita che se ne va, è irresistibile». Il Santo Padre si dice certo che «l’alleanza – e dico alleanza – l’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà la famiglia umana. Dove i bambini, dove i giovani parlano con i vecchi c’è futuro», perché viene trasmesso loro «l’orizzonte della nostra destinazione» eterna. «La morte», riconosce, «è certamente un passaggio difficile della vita, per tutti noi: è un passaggio difficile. Tutti dobbiamo andare lì, ma non è facile. Ma la morte è anche il passaggio che chiude il tempo dell’incertezza e butta via l’orologio: è difficile, perché quello è il passaggio della morte. Perché il bello della vita, che non ha più scadenza, incomincia proprio allora», nell’eternità del Paradiso, «ma incomincia dalla saggezza di quell’uomo e di quella donna, anziani, che sono capaci di dare ai giovani il testimone. Pensiamo al dialogo, all’alleanza dei vecchi e dei bambini, dei vecchi con i giovani, e facciamo in modo che non venga tagliato, questo legame. Che i vecchi abbiano la gioia di parlare, di esprimersi con i giovani e che i giovani cerchino i vecchi per prendere da loro la saggezza della vita».
Giovedì, 18 agosto 2022